I signori erano coloro che davano in concessione le terre ai vassalli, che in cambio si impegnavano a svolgere dei servizi. I servi della gleba, figure a metà tra schiavi e uomini liberi, erano legati alla terra e non vi era alcun limite alle prestazioni lavorative, che il signore poteva pretendere da loro. Nella versione tecnologica del feudalesimo i signori sono le grandi aziende tecnologiche, il cui potere negli ultimi anni è cresciuto così tanto da avere la capacità di influenzare profondamente i comportamenti dei cittadini e delle società sotto diversi punti di vista, tra cui quello economico, politico e sociale. Musk da solo con la sua piattaforma X negli ultimi mesi ha mostrato al mondo intero con quanta facilità un singolo uomo dotato dei giusti mezzi possa manipolare il dibattito globale, decidendo arbitrariamente cosa amplificare e cosa silenziare. I vassalli sono coloro che contribuiscono al sistema messo in piedi dai signori.
Il caso più comunemente citato è quello di Amazon. Jeff Bezos è il signore proprietario della sua feudo-piattaforma, i vassalli sono i venditori. Chi lavora per Amazon, come i magazzinieri, equivalgono ai valvassori e valvassini. In questo gioco di ruolo i fruitori delle piattaforme sono i servi della gleba, che offrono le proprie prestazioni in maniera gratuita. Questo aspetto è più evidente quando si parla di social media o app come Google Maps. Non si paga e non si vende niente, ma più tempo si passa su queste app, più si crea engagement e maggiore diventa il loro capitale sociale. Varoufakis sostiene che il tecnofeudalesimo abbia portato alla morte del capitalismo, creando quindi un nuovo sistema economico e sociale.
In questo nuovo sistema ci sono due aspetti da considerare. Il primo è che il capitalismo è guidato dal profitto, mentre il feudalesimo era guidato dallo sfruttamento della terra. E il tecnofeudalesimo? Se si guarda a piattaforme come Amazon, AirBnb, Meta e Google, la principale fonte di guadagno deriva proprio dal mettere in affitto parte del proprio feudo digitale per dare visibilità a chi lo richiede. Nel caso dei social o di Google invece la moneta di scambio sono i dati personali. Noi servi della gleba doniamo i nostri dati personali ai grandi signori della tecnologia, per poter vivere nel loro regno, accedere al loro spazio. “Se non stai pagando per un prodotto, allora il prodotto sei tu”.
C’è chi sostiene che questo paragone rischi di semplificare troppo la realtà dei fatti. Il sociologo e giornalista Evgeny Morozov sostiene che sicuramente il tecnofeudalesimo solleva importanti preoccupazioni nei confronti delle grandi aziende tecnologiche, ma allo stesso tempo va a semplificare la complessa realtà capitalista. Le big tech non creano esclusivamente controllo e dipendenza come i signori feudali, ma guidano l’innovazione portando a concorrenza, crescita e progresso incessante, che sono propri del capitalismo. Morozov afferma che anche la caratteristica del monopolio non è estranea al capitalismo, né tanto meno al consolidamento del potere da parte delle grandi aziende tecnologiche.
Quello a cui si sta assistendo, sostiene il sociologo, è un passaggio ad una forma più aggressiva di capitalismo e non un ritorno al feudalesimo. Il concetto di tecnofeudalesimo ci vede come semplici schiavi di fronte alle piattaforme digitali, ma questi spazi virtuali per alcuni possono rappresentare invece la libertà. L’articolo di Humaira Rabin per The Diplomat racconta come Instagram e gli altri social media siano per le donne afghane un modo per sfidare il processo di cancellazione dalla vita pubblica portato avanti dai talebani. I social hanno permesso loro di aprire attività commerciali, libertà che nella vita reale viene fortemente limitata. Per molte famiglie questa rappresenta una fonte di sostentamento in un panorama economico che sta andando a picco. Ciò che rappresenta lo spazio virtuale per le donne afghane è uno dei molti aspetti che mostrano quanto sia complessa e sfaccettata la realtà tecnologica in cui viviamo. Dal punto di vista sociale queste piattaforme però esercitano un’incredibile dipendenza e influenza, concentrando così nelle mani delle aziende che le controllano un grande potere. Le piattaforme che frequentiamo non sono neutrali, hanno l’obiettivo di creare delle vere e proprie bolle, fomentando le nostre credenze, esacerbando sentimenti come la paura e la rabbia che portano all’azione e quindi allo scontro, andando a trasformare il dibattito in scontro e riducendo la complessità di pensiero ad una logica binaria, elemento base della tecnologia. L’emergere dell’IA rischia di rafforzare la dipendenza delle società dagli ecosistemi digitali, andando ad accrescere enormemente il potere delle Big Tech, che si ritrovano tra le mani un’enorme quantità di dati da poter utilizzare per alimentare i propri algoritmi.
L’IA e la corsa al suo sviluppo da parte di Cina e USA, mostra anche come questa sia un’ulteriore fattore nella competizione globale e nella definizione della propria posizione nella gerarchia del potere globale. Le sfide che le aziende tecnologiche e i loro prodotti ci pongono si presentano su molteplici livelli: sociale, politico, cognitivo e tecnologico. Le risposte devono quindi essere molteplici, come sostiene lo stesso Varoufakis. L’introduzione di una tassa sulle transazioni. Ogni volta che per esempio una transazione viene effettuata su Amazon, questa deve pagare una percentuale. L’emissione di un’identità digitale da parte dello stato per garantire e proteggere i diritti di proprietà dei cittadini. Al momento i nostri dati sono in mano alle grandi aziende come Google e Meta. L’Unione Europea ha già fatto un passo avanti dal punto di vista legislativo con il Digital Market Act, che cerca di regolare le condizioni di mercato di tutte le parti al tavolo, o se si segue Varoufakis, dell’intera piramide gerarchica feudale.
Un’altra questione sollevata da Varoufakis è la necessità di un controllo più sociale dell’algoritmo in modo che possa favorire l’interesse dei molti e non dei pochi. È importante anche costruire una consapevolezza nei confronti dell’influenza che queste piattaforme hanno sull’essere umano attraverso lo sfruttamento delle sue caratteristiche cognitive e imparare a vivere lo spazio digitale senza esserne controllati. Il Tecnofeudalesimo ci pone di fronte alle sfide del potere sempre maggiore delle grandi aziende tecnologiche, che finora hanno potuto quasi in totale libertà svilupparsi e autogestirsi. La tecnologia è uno strumento e in quanto tale ha bisogno di essere regolato. La tentazione potrebbe essere quella di farsi prendere dal panico o vedere questa nuova realtà come una minaccia, invece si tratta di imparare a conoscerla e utilizzarla.
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