Il populismo e la “nazione virtuale” delle élite, di Mauro Magatti

Il populismo si alimenta del risentimento nei confronti delle élites. Accusate di essere avide e portatrici di valori che distruggono le comunità, le élites sono al centro delle tensioni politiche contemporanee. Negli USA, ma non solo.
I dati dell’UBS Global Wealth Report 2024 aiutano a capire di che cosa si sta parlando. Secondo la ricerca, nel mondo si contano circa 60 milioni di persone il cui patrimonio supera il milione di dollari, distribuite nei vari continenti. Con una concentrazione maggiore negli Stati Uniti e in Asia. Questo vuol dire che sono almeno 200 milioni le persone che vivono con patrimoni assai rilevanti. Se ipotizziamo poi, che subito dietro questo primo gruppo ci sia un altro strato numericamente significativo con una ricchezza leggermente inferiore ma comunque elevata, si può concludere che negli anni della globalizzazione si è formata una nuova classe agiata, composta da circa 400-500 milioni di persone (6/7% della popolazione mondiale) che vive con uno standard di vita nettamente più elevato della media. Una «nazione virtuale» — con il relativo mercato — che pesa più o meno come l’Unione Europea (che conta circa 450 milioni di abitanti) e più degli Stati Uniti (335 milioni). Questo gruppo sociale costituisce una nuova borghesia, con però caratteri e valori diversi da quelli tradizionali. 
In primo luogo, perché è un gruppo che, benché ancora largamente costituito da occidentali, è ormai distintamente multiculturale e cosmopolita. Al suo interno ci sono arabi, cinesi, indiani, russi, indonesiani. Al di là delle origini religiose e culturali cosi diverse, chi ne fa parte si ritrova nei valori della mobilità e del mercato, ma anche in quelli della scienza e dell’innovazione tecnologica. In secondo luogo, perché si tratta di un gruppo che non è legato esclusivamente alla sfera produttiva. Molti milionari vivono di finanza, arte, cultura, spettacolo, media, grandi istituzioni internazionali, ricerca, tecnologia, sport.
La condotta di vita che accomuna questa popolazione è la ricerca della distinzione, che ben si combina con la sperimentazione e l’innovazione. Con un’etica individualista, edonista ed esperienziale, attenta ai diritti e alla sostenibilità. Almeno a parole. Questo gruppo custodisce e riproduce i valori del modello di sviluppo che ha dominato gli ultimi decenni. Ne costituisce il punto di riferimento economico e culturale. Nella situazione di privilegio in cui vive, esso è del tutto alieno dalle paure che invadono la vita di chi si trova esposto alle incertezze del nostro tempo. E per questo fatica a comprendere la necessità di cambiamento che le tante crisi in corso reclamano.
La rilevanza economica di questo gruppo sociale permette di capire alcuni dei nuovi (dis)equilibri socio-economici, con tutte le implicazioni politiche che ne seguono.
 In primo luogo, perché il suo orizzonte transnazionale (non solo economico, ma anche culturale) lo aliena dalla comunità locale. Elaborando la nota immagine della modernità liquida, si potrebbe dire che questa è la parte di società che si è vaporizzata, nel senso che, pur mantenendo uno specifico radicamento nazionale, ha un sistema di interessi che non è riducibile a un determinato contesto socio-politico. 
In secondo lungo, perché i suoi consumi alimentano l’industria del lusso che, come sanno bene le imprese del made in Italy, costituisce uno dei mercati più fiorenti degli ultimi anni. Diffusi e magnificati dai social media, gusti, preferenze e stili di vita di questi gruppi stuzzicano di continuo quell’invidia sociale di cui si nutre il risentimento.
Infine, perché il suo peso economico incide pesantemente sulle economie locali. Ad esempio, attraverso gli investimenti immobiliari o i flussi del turismo di alto livello. Con conseguenze non sempre positive per le popolazioni locali. Il punto è che i mercati guardano sempre di più a questa nuova «nazione» piuttosto che al ceto medio dei singoli paesi (spesso in declino). Il che evidentemente costituisce un problema dal punto di vista politico. 
Sarà interessante capire quale ruolo questa classe sociale riuscirà a giocare nel quadro delle crescenti tensioni che si registrano nei rapporti sociali e in quelli internazionali. In particolare, si dovrà capire se questo gruppo sociale avrà l’intelligenza di riconoscere e accompagnare quei cambiamenti strutturali di cui oggi dei sente il bisogno, o se continuerà invece a vivere nel proprio mondo incantato. Rimuginando la frase falsamente attribuita a Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, regina di Francia: «Se non hanno più pane, che mangino brioches».

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