Il Papa in Asia: nelle rotte commerciali in cerca di fraternità, di Alberto Bobbio

Sta viaggiando sulle frontiere inquiete dell’Indo-Pacifico. Ieri Papa Francesco è
arrivato a Port Moresby, capitale di Papua nuova Guinea, 9 fusi orari dal Vaticano,
Oceania, terre e mare dove si allarga la competizione geopolitica globale di Russia,
Cina, India, Australia, Stati Uniti e dove si aprono le porte girevoli più strategiche
dell’economia della competizione e passa di corsa ogni giorno chi intende
accaparrarsi risorse e gestire le rotte dei commerci e della finanza. Oggi il “Grande
Gioco” tra le potenze, che al tempo degli Imperi interessava le regioni continentali
dell’Eurasia, va in scena negli oceani e nelle migliaia di isole dell’Indo-Pacifico. Gli
interessi sono enormi come i guai. Crisi climatica e migranti, scontri etnici con
tentativi di tirare in mezzo anche i fondamenti religiosi, non solo islamici, ma anche
cristiani e poi una militarizzazione crescente della vastissima area con tutti a
mostrare la propria gagliardia bellica e sottoscrivere accordi per la difesa e per
iniziative di parternariato per la sicurezza. Anche l’Italia si è affacciata in estate con
una missione militare assai corposa e con un dispiegamento inedito di navi e aerei,
compresa la portaerei Cavour, per segnare un punto nel “teatro della nuova
competizione geopolitica”, partecipando ad una mega esercitazione insieme ad altre
18 nazioni. Padre Antonio Spadaro in un post sui social ha accostato l’itinerario della
Cavour a quello di Papa Francesco per far comprendere l’attualità del viaggio del
Pontefice. E’ il passaggio a Sud-Est che inquieta Bergoglio e la sua presenza da quella
parti è di per sé già un atto politico e diplomatico ostinatamente contrario alla
narrazione mainstream del confronto, quasi che l’Indo-Pacifico sia diventato il teatro
della nuova guerra fredda globale. Gli elementi tuttavia ci sono tutti. Mentre
Francesco in Indonesia invitava a cercare “a tutti i costi punti in comune” e ad uscire
dalla logica delle “divisioni”, Vladimir Putin all’Eastern Economic Forum di
Vladivostok rilanciava l’idea della guida russa nell’area in accordo con la Cina, logica
da perfetta guerra fredda. Mentre Francesco indicava come decisivo il dialogo, la
fraternità, l’armonia, la comprensione per uscire dal “tunnel” della paura, altri tra
Vladivostok, Washington, Pechino e Bruxelles, rafforzavano la visione strategica
della contrapposizione. Non è affatto vero che il 45° viaggio di Jorge Mario Bergoglio
si sta muovendo su un percorso lontano dalle guerre, dallo scontro di potere e dai
disastri di questi ultimi anni. Ha solo scelto un altro punto per osservarli, un angolo
di visuale dal quale probabilmente oggi le cose si vedono meglio. Quando ha
percorso il “tunnel dell’amicizia” tra la cattedrale e la moschea di Giakarta è riuscito
a far diventare il brevissimo percorso una metafora dal potente valore simbolico,
per dire che i tunnel vanno attraversati insieme, che sono occasione di incontro per
cercare di vedere alla fine “la luce” e non sono affatto l’immagine del male che la

tragedia di Gaza ha imposto alla comprensione collettiva. Il viaggio nell’Indo-Pacifico
ha lo stesso destino. Bergoglio smaschera il gioco della grandi potenze che lo
vorrebbero nuovo terreno di scontro, dove 60 accordi militari (fonte “The
Guardian”) sono stati firmati tra i Paesi dell’area con Australia, Stati Uniti e Cina, con
il rischio di erodere la sovranità e la democrazia nel Pacifico. E poi il mercato, la
finanza pervasiva, la rapina delle risorse soprattutto minerarie, la violenza, gli scontri
etnici fomentati dalla povertà, il traffico di droga persistente e ben noto nell’area, i
disastri climatici. Il Papa è solo a metà percorso, ma ha già detto parole chiare.

[vaticanista, Roma]

fonte: L’Eco di Bergamo del 7 settembre 2024

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