Nel consueto discorso d’inizio anno al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede (184 stati più l’Unione Europea e le principali organizzazioni internazionali) mi sembrano essere tre le sottolineature più nuove: il peso nella geopolitica dell’informazione legata al web, la diffidenza verso i alcuni diritti di “seconda generazione” e la crisi delle istituzioni internazionali e del multilateralismo.
Letto ai diplomatici dal sottosegretario del dicastero per le Chiese orientali, mons. Filippo Ciampanelli, il testo si sviluppa sulla base della citazione isaiana del discorso di Gesù a Nazareth (Lc 4,16-21): portare il lieto annuncio ai miseri; fasciare le piaghe dei cuori spezzati; proclamare la libertà degli schiavi; proclamare la scarcerazione dei prigionieri.
Comunicazione, diritti e istituzioni
La polarizzazione sociale e fra stati è alimentata dalla pervasiva presenza di fake news che distorcono i fatti e avvelenano le coscienze facendo crescere l’insicurezza e la domanda irriflessa di difesa e di repulsione per “gli altri”. La logica dello scontro prevale su quella dell’incontro. Sembra imporsi la negazione della verità. «Alcuni diffidano delle argomentazioni razionali ritenute strumenti nelle mani di qualche potere occulto, mentre altri ritengono di possedere in modo univoco la verità che si sono auto-costruiti, esimendosi così dal confronto e dal dialogo». Tendenze alimentate dai mezzi di comunicazione e dall’intelligenza artificiale. È apprezzabile il progresso tecnico delle comunicazioni, ma non la spinta alla semplificazione della realtà e all’isolamento.
Nel contesto di una comunicazione vera si sottolinea la pericolosa strumentalizzazione di forze internazionali che trasformano i diritti di “seconda generazione” (relativi a sessualità, procreazione, gender) in una colonizzazione ideologica. Come nel caso della cancel culture o nella pretesa di trasformare la tolleranza legislativa in “diritto all’aborto”. Particolarmente severa la valutazione della crisi delle istituzioni internazionali.
«Le istituzioni multilaterali, la maggior parte delle quali è sorta al termine della seconda guerra mondiale, ottant’anni fa, non sembrano più in grado di garantire la pace e la stabilità, la lotta contro la fame e lo sviluppo per i quali erano state create, né di rispondere in modo davvero efficace alle nuove sfide del XXI secolo, quali le questioni ambientali, di salute pubblica, culturali e sociali, nonché le sfide poste dall’intelligenza artificiale. Molte di esse necessitano di essere riformate, tenendo presente che qualsiasi riforma deve essere costruita sul principio di sussidiarietà e solidarietà e nel rispetto di una sovranità paritaria degli stati, mentre duole constatare che c’è il rischio di una “monadologia” e della frammentazione, i like-minded clubs che lasciano entrare solo quanti la pensano allo stesso modo».
La litania delle guerre
Più consueti, ma non meno rilevanti, i riferimenti alle guerre, alle nuove schiavitù e all’emergenza ambientale. L’elenco delle guerre è impressionante: Russia-Ucraina, Israele-palestinesi, Sudan, Sahel, Corno d’Africa, Mozambico, Repubblica democratica del Congo. Come anche la recensione delle aree di maggior problematicità: Haiti, Venezuela, Bolivia, Colombia, il terrorismo, l’antisemitismo, Libano e Siria.
L’accento è in particolare su Ucraina e Israele. «Il coinvolgimento dei civili, soprattutto bambini, e la distruzione delle infrastrutture non sono solo una disfatta, ma equivalgono al lasciare che tra i due contendenti l’unico a vincere sia il male. Non possiamo minimamente accettare che si bombardi la popolazione civile o si attacchino infrastrutture necessarie alla sua sopravvivenza. Non possiamo accettare di vedere bambini morire di freddo perché sono stati distrutti ospedali o è stata colpita la rete energetica di un paese». Si auspica la liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza, ma anche gli aiuti necessari alla popolazione palestinese. Sapendo che un processo di pace impone un qualche riconoscimento (spesso scomodo) del proprio oppositore.
Fra le nuove schiavitù si richiamano: le condizioni disumane del lavoro, le tossicodipendenze, il traffico di esseri umani. Per quanto riguarda l’emergenza ambientale si annota: «Sempre più la natura sembra ribellarsi all’azione dell’uomo, mediante manifestazioni estreme della sua potenza». Ne sono un esempio le alluvioni, i cicloni, gli incendi incontrollabili.
Egemonia violenta
Una percezione attraversa l’intero discorso, quella di un pericoloso movimento di un magma sommerso e non gestito. Come se sotto la superficie disordinata e sfrangiata dei rapporti fra gli stati non più legati dal diritto internazionale si alimenti un potenziale aggressivo in vista del ridisegno degli equilibri mondiali. Non si parla più di “guerra a pezzi”, ma «una sempre più concreta minaccia di una guerra mondiale».
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