La governane globale è al suo nadir. La diagnosi è senza appello a causa di tre fattori. Primo, vi è un progressivo svuotamento degli organismi internazionali: tanto le istituzioni, create a Bretton Woods (Fmi e Omc), quanto i più recenti forum per il coordinamento delle politiche economiche di Paesi rilevanti hanno perduto capacità di orientamento e mediazione. Secondo, specie i conflitti fra Stati Uniti e Cina hanno subordinato il commercio internazionale, le catene del valore e la regolamentazione finanziaria a finalità strategiche di ordine geopolitico. Terzo, i Paesi occidentali soffrono di un crescente isolamento. È in questo quadro che vanno valutate le prossime elezioni presidenziali statunitensi.
Nel dibattito fra i due candidati non si è parlato di governance economica globale, ma le posizioni sono chiare. Una nuova presidenza Trump accentuerebbe i rapporti bilaterali e divisivi con i Paesi alleati e la contrapposizione rispetto alla Cina. Gli innalzamenti diffusi, anche se differenziati, delle tariffe condizionerebbero il commercio internazionale, innescando giochi a “somma negativa” per l’attività economica mondiale. La prima vittima sarebbe la Ue. Una presidenza Harris amplierebbe gli spazi europei perché cancellerebbe gli elementi più offensivi del bilateralismo trumpiano e rilancerebbe il multilateralismo come strumento per ripristinare la leadership occidentale a guida statunitense. Essa continuerebbe però ad attribuire scarsi benefici al commercio internazionale e al ruolo dell’Omc. Si ricordi che l’amministrazione Biden ha impedito la nomina dei giudici di appello vacanti dell’Omc, di fatto paralizzandone il funzionamento. Inoltre, pur se per ragioni diverse rispetto a Trump, anche Harris non porrebbe un freno al debito pubblico statunitense, aggravando così gli squilibri internazionali. Le istituzioni europee devono quindi auspicare una vittoria democratica ma non in modo passivo. Per uscire dall’attuale impasse della governance economica globale, è infatti necessario che la Ue utilizzi il “multilateralismo strumentale”, propugnato da una presidenza Harris, per la costruzione di un “multilateralismo inclusivo” in grado di coinvolgere il Sud globale. Si tratta di un auspicio troppo ingenuo? Il G20 ha giocato un ruolo chiave durante la crisi finanziaria del 2008-09, affermandosi come il principale forum di cooperazione economica internazionale; negli anni successivi, non ha però saputo “vincere la pace”. Il suo rilancio passa oggi per la focalizzazione su due compiti essenziali: il ripristino di efficaci catene internazionali del valore e l’offerta di beni pubblici globali (a partire dalla transizione ambientale). Il succedersi alla presidenza del G20 di due Paesi del Sud globale (Brasile nel 2024 e Sud Africa nel 2025) e, poi, degli Stati Uniti (2026) offre una rilevante opportunità. La nuova Commissione europea dovrebbe candidarsi subito come punto di raccordo, proponendo un’agenda limitata ma operativa e offrendo un supporto tecnico al Sud Africa.
Il successo di tale mossa, sostanziata – nel caso di presidenza Harris – da un auspicabile impegno a ripristinare l’operatività dell’Omt e a realizzare l’accordo internazionale sulla tassazione minima delle imprese, contribuirebbe a ricreare la fiducia fra partner e renderebbe possibile l’offerta di beni pubblici sia globali che interni alle grandi aree economiche. Il rilancio del G20 potrebbe accompagnarsi alla definizione di un nuovo mandato per il G7 e alla rivitalizzazione del Fmi come agente primario del coordinamento delle politiche economiche internazionali, ribadendo così la ferma posizione europea rispetto ai passati attacchi dell’amministrazione Trump. Il Fmi dovrebbe riportare l’attenzione sugli squilibri macroeconomici globali che sono, a torto, usciti dall’agenda economica internazionale. Perché si affermi un multilateralismo inclusivo, la Ue deve però consolidare la sua credibilità disegnando un’ambiziosa agenda economica della nuova Commissione. Al riguardo, si tratta di: (i) ribadire la priorità della transizione verde, valorizzandone le positive interazioni con la sfida digitale per il rafforzamento della competitività europea, e garantire l’inclusione sociale; (ii) perseguire questi obiettivi puntando sull’offerta di beni pubblici europei; (iii) comporre i dissidi interni, fungendo da traino per l’esecuzione di accordi internazionali; (iv) utilizzare la leva regolatoria per assicurare un’apertura dei mercati internazionali; (v) consolidare la presenza europea nelle istituzioni internazionali per dare più spazio al Sud globale. Il multilateralismo inclusivo può oggi apparire una chimera. Dato l’isolamento dei Paesi occidentali e i nuovi equilibri globali, si tratta invece del solo obiettivo realistico per superare la pura logica di potere, che sta alla base delle attuali relazioni internazionali, e per affermare invece giochi a “somma positiva”.
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