Il metodo imperiale di Trump, di Sabino Cassese

Un presidente scatenato, che moltiplica le sue aggressioni all’interno, licenziando funzionari e sopprimendo organismi, e all’estero, uscendo da organi multilaterali, imponendo dazi alle importazioni e accampando pretese territoriali. Un vice presidente che fa appello a nazionalismo e populismo. Un segretario di Stato che dichiara obsoleto l’ordine internazionale. Tutto questo con una mistura di mercantilismo e di capitalismo predatorio, con grande gusto teatrale, muovendosi su un palcoscenico universale e senza quella compostezza nell’uso del potere che è propria della tradizione regale dei capi di Stato, di cui l’ultimo esempio è stata la regina Elisabetta II d’Inghilterra.
Bisogna leggerli, gli Executive Orders con cui Trump sta alluvionando il suo Paese e il mondo. Procede, dal 20 gennaio, al ritmo di circa cinque atti al giorno. Esemplari per struttura e chiarezza, somigliano più a proclami ed editti che a provvedimenti di alta amministrazione. Cancellano obblighi internazionali degli Stati Uniti. Invertono consolidati orientamenti di politica estera. Minano alleanze internazionali stabilite da tempo. Chiudono i battenti di organi ed uffici. Ne rendono inoperanti altri.
 Licenziano dipendenti pubblici (senza motivazione). Nominano nuovi funzionari. Tolgono il segreto su atti giudiziari. Impongono obblighi. Espellono immigrati. Introducono dazi. Dispongono in modo arbitrario la grazia. Questo con esplicite dichiarazioni partigiane, come se il principio di imparzialità fosse divenuto obsoleto. Agli atti ufficiali si aggiungono le dichiarazioni e i propositi, come quelli di acquisire la Groenlandia, di annettere Canada e Panama, di darsi carico della Striscia di Gaza.
Tutto questo non nasce dal nulla. Già nel 1973 lo storico Arthur Schlesinger junior aveva definito imperiale la presidenza americana. Lo Stato amministrativo statunitense è da un decennio sotto assedio e il diritto amministrativo è stato definito illegale. Già altri predecessori di Trump avevano licenziato Inspectors General. Molti dei provvedimenti adottati erano stati studiati dalla Heritage Foundation ed erano noti.
In questo modo di governare c’è qualcosa di antico e molto di nuovo, ma destinato a restare. C’è il metodo di alcuni degli antichi imperatori che, dopo essere giunti al potere, si recavano alle frontiere per affermare la vastità del loro dominio. E si muovevano affiancati dai vassalli più potenti e fedeli, in questo caso i grandi oligarchi delle tecnologie digitali, gli unici sovrani autenticamente e geneticamente universali, guadagnando così una duplice legittimazione, quella interna attraverso il voto nazionale e quella esterna attraverso la corona dei grandi dignitari che debbono la loro espansione globale all’astensione regolativa del loro Stato di origine, gli Usa.
C’è anche un nuovo modo di utilizzare quella tecnica che entrò in voga negli anni ’70 del secolo scorso e che si chiamava Zero base budgeting, cioè di fare politiche non in modo incrementale, partendo da quello che c’è, ma partendo da zero. C’è una nuova personalizzazione del potere. C’è anche un modo di comunicare e comandare più vistoso, ma anche per questo più visibile e comprensibile.
Questo modo di governare incontra molte resistenze all’interno degli Stati Uniti, dove si cerca di fermarlo. Viene lamentata la rottura dell’ordine costituzionale. Si critica l’usurpazione dei poteri del Parlamento, specialmente in materia di spesa. Si lamenta la legittimazione di decisioni che oggi sono considerate illegittime. Cinque ex segretari del Tesoro hanno duramente criticato il nuovo sistema dei pagamenti pubblici aggiungendo che la democrazia è sotto assedio per cui il Paese che ha insegnato la democrazia al mondo vede la propria democrazia in crisi. Un grande studioso della storia costituzionale americana come Bruce Ackerman ha parlato di suprema illegalità presidenziale, evocando il pericolo di una dittatura e del cesarismo.
Molte decisioni sono state impugnate davanti a giudici, che le stanno anche dichiarando illegittime perché gli ordini del presidente debbono rispettare gli atti legislativi del Parlamento. Ma Trump reagisce minacciando di agire come Andrew Jackson, il settimo presidente degli Stati uniti, tra il 1829 e il 1837, che sostenne lo spoils system, fu accusato di autoritarismo e giunse fino a non eseguire le decisioni dei giudici.
Ma il limite maggiore è quello che può venire dal Parlamento, dove la maggioranza repubblicana non è tanto coesa quanto si crede, e principalmente dalle contraddizioni interne del trumpismo perché esso si fa forte delle Big Tech che sono però interessate a un mondo senza barriere e dazi, che possa garantire nel tempo la loro espansione universale.

corriere.it/opinioni/25_febbraio_18/il-metodo-imperiale-di-trump-b89cab80-6515-41ff-8281-663163a4bxlk.shtml?refresh_ce

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