Il dolore ascoltato, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada (Mc 10, 46-52 – XXX TO/B).

Le scene delle guerre nel mondo (Ucraina, Medioriente e altri luoghi) ci portano ad assistere, se pur a distanza, a tanto dolore che colpisce persone, comunità e terre. In questo brano il dolore è espresso con forza, quasi rabbia, oltre che con fede e insistenza. “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”, grida Bartimeo. Chi lo sente cerca di calmarlo, di farlo proprio tacere, ma lui grida più forte. Ma noi non avremmo fatto come Bartimeo, se fossimo stati ciechi e avessimo saputo che stesse per passare qualcuno che ci avrebbe potuto guarire? Certo che l’avremmo fatto!

Ci sono santuari seri, come Lourdes e Fatima, dove il dolore è accolto in maniera delicata e presentato al Signore perché … Lui se ne prenda cura. Ma ci sono, purtroppo, anche santuari dove il dolore diventa business da conseguire o mezzo per il potere da conquistare. Del resto anche gli ospedali, cattolici o laici che siano, degenerano spesso nel loro approccio al dolore. Basterebbe la storia della pandemia italiana a farci comprendere cosa significa, sanità, risorse esistenti e quelle negate, formazione degli operatori e cosi via. Non è facile trattare con il dolore personale, e ancor più con quello altrui, specie delle persone che amiamo. Bartimeo, come tutti, noi, gridava forte e, forse, una tempesta di idee e di menzioni lo attraversava. Chi lo ascoltava? Chi lo ascolta, il dolore?  

Ma il Signore Gesù non è come noi – lode a Dio – perché quel grido lo ascolta. Gesù ordina di chiamarlo. E lo guarisce, in virtù di quella fede che ha espresso gridando. “Va, la tua fede ti ha salvato”. L’affermazione non è nuova sulle labbra di Gesù. Ritorna in molti miracoli e fa pensare a una fede forte, determinata, insistente. È la fede di persone diverse ed espressa in contesti diversi. Ma pur sempre fede. Gesù la riconosce a distanza, non si fa ingannare dalle circostanze o da coloro che stanno operando in un verso o nell’altro.

La nostra fede ci può sembrare povera o espressa male o immatura. Ma è pur sempre fede. Dobbiamo portarla al Signore, senza remore e senza dubbi. Sarà lui a valutare se è così grande da poter ricevere quello che chiediamo. Sarà lui a dirci che fare. Conviene ricordare che la fede è prima di tutto abbandono nelle sue mani. Guai a pensare che possiamo credere solo quando stiamo bene e non abbiamo problemi e sofferenze. La fede nasce nel concreto della mia carne, dei mei pensieri, delle mie emozioni. E il dolore è parte fondante di essi. 

Dall’esperienza atroce del lager nazista Dietrich Bonhoeffer ha scritto: “Più tardi ho appreso, e continuo ad apprendere anche ora, che si impara a credere solo nel pieno essere ‑ al di qua della vita. Quando si è completamente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi ‑ un santo, un peccatore pentito o un uomo di Chiesa (una cosiddetta figura sacerdotale), un giusto o un ingiusto, un malato o un sano ‑, e questo io chiamo essere‑aldiqua, cioè vivere nella pienezza degli impegni, dei problemi, dei successi e degli insuccessi, delle esperienze, delle perplessità ‑ allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani e, io credo, questa è fede, questa è metanoia, e si diventa uomini, si diventa Cristiani (cfr. Ger.45)”.

Rocco D’Ambrosio

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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