Il disordine globale e la fragile casa europea, di Sergio Fabbrini

ll 2024 si chiude nel disordine internazionale. Sono in corso 56 conflitti armati nel mondo. Due guerre (Ucraina e Medio Oriente) hanno assunto le caratteristiche di “guerre totali” (come ha spiegato Mara Karlin della Johns Hopkins University sull’ultimo numero di Foreign Affairs), in cui migliaia di persone della società civile muoiono ogni giorno per l’azione militare del terrorismo privato (di Hamas, Hezbollah, Houthi) e del terrorismo di stato (della Russia di Putin e di Israele di Netanyahu).
Si tratta di un disordine internazionale che si sta istituzionalizzando, trasformandosi in un disequilibrio quasi-permanente. Se l’equilibrio produce certezze e regolarità, il disequilibrio alimenta la condizione opposta. Non vi è un esito inevitabile dall’attuale disordine. Come ha scritto Ivan Krastev, presidente del Centre for Liberal Strategies di Sofia, «la storia non si sposa mai con nessuno. Essa è un single che può avere tanti amanti» (Financial Times, 21 dicembre 2024). Se pure vi sarà un esito, esso dipenderà dai rapporti di forza tra gli attori internazionali che contano. Di qui la domanda, quali conseguenze per l’Unione europea (Ue)?
L’attuale disordine internazionale è strutturale e non contingente. Esso nasce dal declino del sistema emerso con la fine della Guerra Fredda. Abbiamo commesso un errore a pensare che la storia fosse finita con il crollo del muro di Berlino del 9 novembre 1989, ha riconosciuto Joschka Fischer, ex vicecancelliere tedesco, su Social Europe del 27 novembre scorso. La storia non è finita, non solamente per gli errori commessi dagli americani durante la loro hubris unipolare (si pensi all’invasione dell’Iraq nel 2003), ma soprattutto perché il modello occidentale (basato sui due pilastri della democrazia liberale e dell’economia aperta di mercato) è stato progressivamente rifiutato da componenti diffuse del sistema internazionale. La democrazia liberale è stata rifiutata (in India o in Turchia) perché la sua enfasi sui diritti individuali è considerata inconciliabile con la cultura predominante al loro interno, connotata da patriarcato comunitario e tribalismo religioso. L’economia aperta è stata accettata (in Cina o in Vietnam) solamente se gestita in modo unidirezionale, così da favorire le proprie esportazioni e penalizzare quelle degli altri. Due pilastri sostenuti dal potere militare dell’America, visto come l’espressione di un’egemonia politica inaccettabile. In pochi anni, attori internazionali autocratici o semi-autocratici hanno messo in discussione il sistema di regole su cui poggiava l’ordine internazionale del dopo-Guerra Fredda, senza avere la forza e la legittimità per sostituirlo con nuove regole. Tra l’America e la Cina, si sono affermate una pluralità di potenze intermedie, alla ricerca di un loro potere regionale (si pensi alla Turchia in Medio Oriente) oppure di un loro rilancio come nazioni-impero (si pensi alla Russia). Con le Nazioni Unite paralizzate, non vi è più un luogo dove concordare nuove regole per un nuovo ordine internazionale. È in questo vuoto che sono spuntati conflitti come funghi. Il disordine internazionale è qui per rimanere.
Quel disordine è alimentato anche da processi interni alle democrazie, non solamente dalle ambizioni delle vecchie e nuove autocrazie. In America, il rifiuto di un sistema internazionale basato sulle regole costituisce il programma di governo della prossima presidenza Trump. L’unilateralismo nazionalista di quest’ultima mira a smantellare i sistemi regolativi del commercio, della sanità, della protezione ambientale. Trump vuole addirittura rivedere accordi internazionali relativi alla proprietà panamense del canale omonimo (stabilita da un trattato del 1977) o alla sovranità danese della Groenlandia (vigente dal 1953, con la concessione all’isola di una sua autonomia speciale nel 1978). Ha persino ventilato la possibilità di fare del Canada il 51° stato del suo Paese. In Europa, il premier ungherese Orbán lavora incessantemente per smantellare l’Unione europea (Ue), il premier slovacco Fico non perde occasione per dichiarare la sua lealtà alla Russia, il cancelliere tedesco Scholz mantiene rapporti personali con Putin come se fosse un vecchio amico, il presidente francese Macron oscilla tra una dichiarazione intelligente ed una smentita che non lo è. Qualcuno propone che la premier italiana Meloni agisca come ponte tra le due sponde dell’Atlantico, come se l’Ue fosse una piattaforma galleggiante da agganciare alla terra ferma. Tutto ciò, con opinioni pubbliche nazionali sempre più stanche di convivere nel disordine internazionale, pronte a seguire il primo pifferaio magico che promette di liberarle dai topi che le minacciano. Una confusione, là e qui, drammatica.
L’istituzionalizzazione del disordine internazionale costituisce una minaccia esistenziale in particolare per l’Ue. Se non si libera del nazionalismo al suo interno, l’Ue non potrà confrontarsi con il nazionalismo esterno di Trump, di Putin, di Netanyahu o di Hamas. Siccome non sarà possibile dare vita ad un attore politico e militare sovranazionale con il consenso di 27 governi nazionali, un gruppo di Paesi potrebbe uscire dai Trattati per dare vita ad una coalizione di “capaci e volenterosi”. Non è più il tempo per la politica fatta dagli amministratori di condominio. È a rischio la casa europea, con i suoi valori ed interessi. Non bastano gli auspici per difenderla.

ilsole24ore.com/art/il-disordine-globale-e-fragile-casa-europea-AG8DwW1B

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