Il Vangelo odierno: In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,16-20 – Ascensione A).
21 maggio 2023. Credo che sia capitato più volte, prima con la pandemia e poi con la guerra in Ucraina o altrove, chiederci il senso di tutto quello che stiamo vivendo, anche alla luce della Parola di Dio. La festa di oggi non dice tanto il “senso” quanto la “meta” o, detto in altro modo, il “fine”.
Il Signore ascende in Cielo, da dove tornerà un giorno per instaurare definitivamente il suo Regno. Noi preghiamo che il Padre è “nei Cieli”. Ebbene i Cieli sono la nostra meta, il nostro fine. Facile a dirsi, ma… Gli undici mentre Gesù ascende: “lo videro, si prostrarono… però dubitarono”. Il dubbio, forse, non li ha mai abbandonati. E pretendiamo che non abbandoni noi, molto più poveri di fede degli Undici? Andiamo verso Il Cielo o finirà tutto? Esiste veramente l’aldilà? Domande che serpeggiano nei nostri cuori e nelle nostre menti.
Eppure ogni volta che il dubbio emerge nella vita dei discepoli, le parole del Signore, direttamente o meno, sembrano essere una pedagogia per superarlo, per confermarsi nella fede. Ma il discorso di Gesù non inizia con parole di conforto o di messa in fuga del dubbio. Inizia con un riferimento al potere: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”. E che c’entra il potere con persone che dubitano? C’entra perché noi dimentichiamo spesso chi sia il Signore, cioè il Padrone di tutti e di tutto; dimentichiamo dove Lui ora abita definitivamente e da dove tornerà. Dimentichiamo che anche noi siamo in cammino verso la sua casa, il Cielo.
Abbiamo affidato la nostra vita non a un’idea o a un’ideologia, non a una compagine politica o a un ciarlatano populista, non a una sensazione o emozione, ma a Colui che ha “ogni potere in cielo e sulla terra”. Non è la prima volta che il buon Dio ricordi, a chi dubita, chi è. Ricordiamo Mosè, i profeti, Maria, gli apostoli, le donne al sepolcro e tanti altre e altri. Ricordarci chi è “colui che ci parla”, come Gesù fa con la Samaritana (Gv 4, 10), è un modo per fugare dubbi. Ricordiamoci sempre chi è, da dove è venuto e da dove ritornerà.
Lavoriamo in questo mondo per renderlo più umano, più giusto, più fraterno, più denso di amore, ma guai a dimenticare che la meta, il fine non è qui ma in Cielo. Per diversi motivi chi è impegnato nel mondo e non vive nella cella di un monastero è portato a dimenticarlo spesso o a scoraggiarsi quando si affronta il male nelle sue mille forme o a smarrirsi nella frenesia quotidiana. Ciò non vuole dire che lavorando in questo mondo non facciamo la volontà di Dio ma non dobbiamo trascurare ciò che chiediamo a Lui ogni giorno: si faccia la sua volontà “come in Cielo così in terra”. Il Cielo è paradigma della terra e non viceversa.
Goethe insegna che dovremmo imparare a dividere il nostro tempo in piccole parti e collegare queste alla meta che è il Cielo. Potessimo dire anche noi quello che ha provato lui: «Ringrazio il cielo che mi permette di dividere il tempo in particelle diverse in modo che ognuna di esse sia una piccola eternità».
Rocco D’Ambrosio,
presbitero, doc. di filosofia politica, Pont. Università Gregoriana, Roma; pres. Cercasi un fine, Cassano, Bari.