Nel contesto russo il conflitto ucraino ha esasperato la necessità di rafforzare e rendere duratura l’unità della nazione. Nel caso di un Paese come la Russia questa osservazione può sembrare abbastanza banale. In realtà la retorica relativa all’unità del suo popolo sta facendo un po’ scricchiolare il dibattito politico in generale.
Alla fine si tratta di una delle eterne questioni della Russia: la necessità di avere una ideologia o idea nazionale. Negli ultimi anni il rossobrunismo (cioè la fusione tra gli ideali nazionali di destra e quelli socialisti di sinistra) molto in voga dal 1995 al 2005 hanno lasciato posto a un richiamo diretto al discorso imperiale tardo ottocentesco: in altre parole l’eredità di Uvarov. La guerra ne dà un’ulteriore dimostrazione. Il presidente russo nei suoi discorsi parla sempre di un popolo solo composto da russi, ucraini e bielorussi, mentre nel periodo sovietico al contrario si parlava di “tre popoli fratelli”. Inoltre la riforma costituzionale del 2020 ha per la prima volta attribuito un ruolo preponderante alla lingua e al popolo russo all’interno della compagine multiculturale e multietnica dell’intera Federazione. Quindi prima i russi? Sì e no. La Russia ai russi? Assolutamente no!
Per la tenuta del paese al di là di qualsivoglia azione bellica si deve optare per forza di cose per un discorso inclusivo e assai benevolente nei confronti delle altre maggioranze e minoranze etniche, confessioni religiose etc. Questo i russi lo sanno bene. Cosa potrebbe unire un buriato, un tataro, un ciuvascio e un daghestano? Forse la fede cristiana ortodossa come prima della rivoluzione? Assolutamente no. Un’altra cosa che i russi sanno bene è che l’ideologia socialista era infinitamente più efficace rispetto a quella imperiale. Infatti gli ideali di giustizia sociale e la lotta al nazifascismo trascendono l’elemento etnico-religioso creando uno spazio comune sostanzialmente laico (e non ateo) in grado di legare popoli profondamente diversi. Intendendo in questo senso la patria e la comune appartenenza ad essa il gioco è fatto. Però l’Unione sovietica alla fine ha deciso di suicidarsi, quindi qualcosa dev’essere andato storto. Infatti il rintuzzamento di tutto ciò che caratterizza più profondamente ognuno di noi proprio come l’appartenenza a un preciso gruppo etnico e la condivisione di una fede religiosa non può essere protratto in eterno. Questo spiega l’esplosione dei fondamentalismi e dei nazionalismi che hanno causato i terribili conflitti etnico-religiosi seguiti alla caduta del gigante sovietico. Se da un lato, quindi, fede religiosa, appartenenza etnica e cultura di riferimento non possono essere messe in secondo piano, dall’altro invece non sono in grado di garantire la stabilità sociale tanto agognata dalla Russia. Che fare quindi?
Negli anni successivi all’annessione della Crimea si è assistito all’intensificarsi dei tentativi di ricondurre il discorso politico all’elemento religioso: per mantenere e rinsaldare il consenso politico il riferimento obbligato è quello alla fede ortodossa. D’altra parte ciò è insufficiente per la tenuta del paese ed ecco quindi che si è costretti a passare funambolicamente all’importanza dell’elemento multiculturale e multietnico. Questa contraddizione del discorso politico e ideologico è ben visibile nelle critiche che spesso i movimenti, le organizzazioni, i blogger e i partiti cosiddetti nazionalisti rivolgono al presidente. A suo tempo questi argomenti erano esplicitati in primis da Evgenij Prigožin. Per farla breve: prima i russi e la Russia ai russi. Mentre il discorso mediatico cerca sempre di enfatizzare gli aspetti positivi legati alla coesistenza di circa 190 popoli, i circoli nazionalisti notano come la narrazione generale abbia come scopo la descrizione di un meticciato etnico-culturale al quale ricondurre l’essenza della Federazione. Un esempio di quanto detto potrebbe essere la polemica (a dire il vero di poco conto) legata alla foto che si è aggiudicata il primo posto nel concorso “Noi insieme: Vyborg multinazionale” del 9 novembre e che ritrae una famiglia daghestana nei tipici costumi darghini. Oltre a fare rilevare che circa il 97 % della popolazione cittadina è di etnia russa molti commentatori hanno notato che inizialmente in realtà il concorso era stato vinto da una famiglia russa che solo successivamente a causa dell’interessamento Timur Vachitov il premio è stato aggiudicato a una delle pochissime famiglie daghestane presenti in città. Nonostante in ogni caso si parli di percentuali assai esigue bisogna tenere presente che a Vyborg risiedono molti più tatari e armeni che daghestani.
Ad ogni modo questo episodio è indicativo della linea politica che si è deciso di seguire: la Russia è multietnica e multireligiosa, si deve fare di tutto per preservare la sua unità. Pertanto non solo non possono essere accettate discriminazioni religiose o razziali (si veda qui di la figura di Putin come fedele profondamente ortodosso amico dell’islam, in risposta ai casi di islamofobia che avevano coinvolto la Svezia qualche mese fa), ma anche le narrazioni che presentano i rappresentanti di altre etnie come cittadini di serie b. Infatti perché un ceceno o un tabaraso dovrebbero difendere i territori russofoni del Donbass e, secondo questa logica, il russkij mir (il mondo russo) se non ne facessero parte e ne fossero apertamente esclusi? Come coniugare cristianesimo ortodosso e islam sunnita (le religioni con il maggior numero di fedeli in Russia)? In nessun modo. Un russo medio intenderà sempre il russkij mir in senso ortodosseggiante e misticamente antioccidentale, mentre un kumiko e un lezghino come uno spazio di più ampio respiro che includa più nazionalità e culture intorno ad un’unica patria che si oppone ai vari tentativi esterni (occidentali e non solo) di distruggerla. L’eredità ideologica dell’epoca sovietica è evidente.
Un altro collante utilizzato per accomunare tutti i popoli che oggi abitano la Russia è la difesa dei valori tradizionali in opposizione a un falso Occidente che ha tradito sé stesso e che prima o poi tornerà gogolianamente ai valori incarnati dalla Russia che in questo senso espleta la propria missione storico-destinale. Ma cosa si intende per valori tradizionali? In realtà ciò che lega ortodossi, musulmani, cattolici e animisti di Russia (meglio fermarsi qui perché la lista è troppo lunga) è solo l’opposizione al riconoscimento di qualsiasi tipo di entità familiare composta da individui dello stesso sesso. Pochi giorni fa lo stesso presidente russo ha ribadito l’idea della famiglia come fenomeno spirituale. Si è detto che quando si parla di difesa dei valori tradizionali l’unico vero collante è il rifiuto di quasi tutte le richieste provenienti dal mondo omossessuale poiché la Russia insieme ad altri due paesi ex sovietici (Kazakistan e Bielorussia) è uno dei primi paesi al mondo per numero di divorzi e aborti. Con buona pace di molti laicisti o ex comunisti europei si deve ammettere che nella maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale molti dei valori che ormai siamo abituati a ritenere laici sono nei fatti il riflesso della morale e della concezione religiosa (cattolica) del mondo. In questi paesi non si è assistito a ciò che è avvenuto in Unione Sovietica e cioè alla creazione di una nuova Weltanschauung basata soprattutto sul rifiuto della religione come fondamento della legge e della morale. Un conto è slegare poco alla volta il diritto e la morale da Dio, un altro creare un sistema di valori che poggi sulla negazione del fenomeno religioso in quanto tale.
Proprio per questi motivi ancora oggi la Russia è orgogliosa di essere stato uno dei primi paesi a legalizzare il divorzio e il primo ad aver legalizzato l’aborto. Ma per quanti salti ideologici si possano fare nell’arco di 150 anni, ciò non è compatibile con “i valori tradizionali” e soprattutto con l’ortodossia di cui la Russia si fa bizantinamente promotrice. Per questa ragione una delle principali polmiche ad aver animato il dibattito politico delle ultime settimane è stata quella dell’aborto. Alla Duma si sta discutendo un progetto di legge volto al divieto dell’effettuazione di pratiche o operazioni abortive in cliniche private. Oltre al fatto che una delle ragioni principali degli aborti è la povertà diffusa tra chi fa parte dei ceti sociali meno abbienti che in casi simili si rivolge naturalmente alle strutture pubbliche e non a quelle private, questa discussione è indicatrice delle contraddizioni di cui si è discusso sopra. Per il momento la mentalità diffusa tra la popolazione deve moltissimo all’eredità dell’ateismo sovietico (anche se oggi viene definita “laica”), quindi quando si parla di difesa della famiglia in senso più o meno generico è un conto, ma quando si toccano questioni fondamentali e assolutamente divise come quelle del divorzio e dell’aborto gli animi si fanno accesi. Più che della femminilizzazione del tema dell’aborto gli argomenti di chi si oppone ostinamente alle continue richieste della Chiesa ortodossa fanno leva sulle libertà generali dell’individuo inteso come personalità autonoma e indipendente.
Non si può passare dall’ateismo dello stato socialista alle liberalizzazioni sfrenate dei costumi degli anni Novanta e infine all’indottrinamento religioso della società degli ultimi anni senza incidenti di percorso. Nel frattempo però bisogna anche che il paese rimanga unito in tutte le sue componenti: questo resterà sempre l’obiettivo primario della Federazione Russia (e del putinismo come sistema di potere). Quindi per mantenere la linea dalla quale è ormai impossibile prescindere il sistema russo deve fare da funambolo tra i due estremi descritti: da un lato richiamo all’identità russo-ortodossa, dall’altro alla multietnicità e multiculturalità della Federazione russa.
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