Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando (Mc 6, 1-6 – XIV TO/B).
Non ci sono dubbi sul fatto che la nostra fede cristiana, a partire dalla sua radice ebraica, sia sostanzialmente profetica. La profezia è modo con cui il buon Dio rivela il Suo volere, indica la sua strada alle singole persone e a gruppi e comunità, che ovviamente credono in Lui. E’ rivelazione del piano di Dio nella storia e, al tempo stesso, è giudizio sulla comunità dei credenti e sul mondo perché questi ritornino a Lui con tutto il cuore (cfr. Gl 2, 12-17). La profezia è continua presenza di Dio in mezzo al suo popolo: Dio parla “molte volte e in diversi modi per mezzo dei profeti, e sommamente parla per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo” (cfr. Eb 1). La profezia è impegno affidato ai discepoli dal Cristo perché siano suo segno nel mondo “predicando il Vangelo e compiendo prodigi” (cfr. Mc 16, 17-20).
Tutto ciò è molto chiaro nella nostra fede, ma ha diversi problemi nella pratica. Il brano odierno ci riporta a una verità antica e sempre nuova: i profeti non sono mai tanto piaciuti perché mettono in crisi, chiamano a conversione, sconvolgono per rinnovare persone, gruppi e istituzioni. Ieri come oggi, come sempre, non mancano infatti profeti, manca, invece, l’attenzione e l’accoglienza di essi. Ciò accade nelle comunità di fede religiosa come nell’ambiente laico, con culture e sensibilità diverse. Un po’ succede quello che è successo a Gesù: essere rifiutato, non dagli sconosciuti, ma da quelli che lo conoscevano.
Il Vangelo odierno dice che Gesù “era per loro motivo di scandalo”, specie per quelli che non erano pronti ad accoglierlo, ad aprirsi a parole e segni nuovi, a una salvezza che visitava in maniera diversa dalle attese tradizionali. Sono tanti, anche oggi. Permettetemi di citare don Milani e una sua pagina dura, cruda, anche per la parolaccia che contiene. Nel 1965 scrive all’amico don Ezio: “Ecco dunque l’unica cosa decente che ci resta da fare: stare in alto (cioè in grazia di Dio), mirare in alto (per noi e per gli altri) e sfottere crudelmente non chi è in basso, ma chi mira basso. Rinceffargli ogni giorno la sua vuotezza, la sua miseria, la sua inutilità, la sua incoerenza. Star sui coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo. Rendersi antipatici noiosi odiosi insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce. E splendenti e attraenti solo per quelli che hanno Grazia sufficiente da gustare altri valori che non siano quelli del mondo. La gente viene a Dio solo se Dio ce la chiama. E se invece che Dio la chiama il prete (cioè l’uomo, il simpatico, il ping-pong) allora la gente viene all’uomo e non trova Dio. Ma io tutte queste cose ti ho già detto a sazietà e dimostrato coi fatti alla mano e son riuscito a attirare gente io che sono in grazia di Dio una volta sì e dieci no… e tu ti sgomenti che stai in grazia di Dio dalla mattina alla sera? Sei tanto bischero! Un abbraccio affettuoso e scrivi spesso, tuo Lorenzo”.
Milani era profetico, ma per molti laici e pastori cattolici era “inopportuno”, come fu definito il suo famoso testo “Esperienze pastorali”. Potrà sembrare di poco conto, ma non lo è affatto, ma il termine inopportuno sembra essere uno dei più citati, in un certo gergo ecclesiastico, quando vengono valutate persone e realtà comunitarie profetiche. Diversi esponenti della gerarchia cattolica, non riscontrando elementi contrari alla dottrina, in materia di fede e di morale, si trincerano dietro una presunta inopportunità della prassi e dei testi che stanno giudicando. Forse il termine inopportuno, oggigiorno, ha la stessa funzione dell’accusa di modernismo nel passato remoto e di quello di comunismo in un passato più recente, se non proprio prossimo.
L’uso di questi aggettivi – modernista, comunista, inopportuno – è semplicemente, molte volte, la dimostrazione dell’attacco indiscriminato a veri credenti, sia laici che preti, alla loro sensibilità umana, cristiana, ecclesiale, sociale e politica, al loro impegno nel rinnovare il tessuto ecclesiale e civile, più che a particolari aspetti dottrinali o prassi personali non conformi al magistero ecclesiale. In altri termini per i profeti, in diversi tempi e luoghi del vivere ecclesiale, si è ripetuto un clichè molto diffuso in tutte le istituzioni: spesso non potendo zittire chi denuncia una prassi poco coerente della comunità e dei suoi responsabili, nel nostro caso poco evangelica, ci si serve – senza dimostrarle accuratamente – di accuse inerenti alla dottrina per ridurlo al silenzio.
Ma la persecuzione non si è chiusa con i tempi di Milani, continua; anzi, ai giorni nostri, si riveste di particolare vigore in quanto viviamo un momento critico della vita ecclesiale; un momento in cui le novità conciliari – la riforma ecclesiale, quella liturgica e lo stile evangelico di presenza nel mondo – sono riproposte con forza da papa Francesco e diversi laici e pastori, che sono considerati “inopportuni”: ovviamente non sono cose dette pubblicamente, ma sussurrate nei corridoi, scritte nelle lettere di ammonizione, inserite nei resoconti ufficiali e cosi via. E’ inopportuno…
Che Dio ci aiuti!
Rocco D’Ambrosio
[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]