Saranno due funerali. Quello solenne e quello popolare. Quello dei potenti e quello dei fedeli. Da una parte, le due tribune di piazza San Pietro, quella dei cardinali attesi dalla prova grandiosa e terribile del Conclave e quella, di fronte, dei capi di Stato, con le altre autorità in prima fila nella piazza. Dall’altra parte, il corteo a passo d’uomo che accompagnerà Bergoglio da San Pietro a Santa Maria Maggiore, dove papa Francesco sarà sepolto nella nuda terra proprio come san Francesco. Ed è innegabile che anche nel suo ultimo viaggio il Pontefice latinoamericano abbia voluto prendere le distanze anche fisicamente dalla curia, come a dire: non voglio essere sepolto da voi, e non vi chiedo neanche un soldo. Tuttavia il primo funerale non sarà meno vero del secondo. Perché Bergoglio non era soltanto il parroco del mondo. Non era il santino dalla voce agnellata che in questi giorni i social hanno ridotto quasi a caricatura. È stato anche un leader politico, come e forse più dei suoi predecessori. L’accostamento più che con Ratzinger viene spontaneo con Wojtyla. Come il Papa polacco, dopo aver sconfitto il comunismo, aprì il fronte occidentale contro gli eccessi del liberismo e del capitalismo, così Bergoglio è stato molto critico con l’Occidente.
Ovviamente è assurdo e tecnicamente sbagliato presentarlo come un sostenitore della teologia della liberazione, che anzi avversò aspramente da capo dei gesuiti in Argentina. Tuttavia la sua sensibilità per i poveri e la sua critica all’economia tecnofinanziaria lo mettono nel solco di Giovanni Paolo II. Poi certo le sue esequie saranno diverse da quelle mistiche celebrate in piazza San Pietro l’8 aprile 2005.
Quel giorno il vento aveva sfogliato il Vangelo posto sulla semplicissima bara di legno che Giovanni Paolo II aveva scelto per il suo funerale, mentre la folla gridava «santo subito». Il dolore per Francesco è diverso. Quasi la sofferenza che si prova nel dire addio a una persona di famiglia. A ogni funerale ognuno di noi piange anche un po’ la propria morte, ma oggi questo sarà particolarmente vero, perché Bergoglio è stato sentito da molti di noi come una persona cara, come una persona vicina, pur essendo nello stesso tempo una persona straordinaria.
Dentro Santa Maria Maggiore chiusa alle telecamere, quaranta persone, ognuna con un fiore bianco in mano, attenderanno il Papa. Sono state scelte tra i poveri, i senzatetto, le persone trans. Sono gli emarginati, gli esclusi, i diversi che Francesco ha amato particolarmente, pagando un prezzo personale altissimo pur di difenderli. Tuttavia Francesco è stato anche un capo di Stato, un personaggio storico. Chi l’ha conosciuto da vicino sa che era un uomo abituato a comandare, e talora a farlo con pugno di ferro. Ne sa qualcosa il cardinale Becciu, mina vagante del Conclave, usato in questi ultimi anni dai conservatori come pietra d’inciampo per Bergoglio, proprio come prima avevano tentato di fare con Ratzinger.
Non c’è da invidiare né i cardinali, chiamati alla scelta più difficile della loro vita, né i capi di Stato e di governo, cui quasi si chiede di accordare il mondo, che sta traversando una delle fasi più drammatiche della storia recente. Roma per un giorno torna la capitale della Terra, com’era stata non solo ai tempi dell’Impero romano, ma anche quando l’antica Roma divenne cristiana, ponendo così le basi della civiltà occidentale. La macchina organizzativa della Capitale è rodata, e saprà sostenere anche la prova di oggi. Più complicato sarà trovare quegli accordi che potrebbero disinnescare non soltanto le guerre guerreggiate, ma anche quelle combattute con le armi della finanza e della tecnologia. La pace, com’è noto, implica la buona volontà. Il miglior servizio che il popolo di Bergoglio potrà rendere alla memoria del suo Papa sarà far sentire quella domanda di pace nella giustizia che sale dal basso e che Francesco ha saputo sentire e rappresentare sul soglio di Pietro.
corriere.it/opinioni/25_aprile_25/i-potenti-e-i-fedeli-i-due-funerali-8dd14d66-eece-4478-971d-647ef6e40xlk.shtml?refresh_ce