I 10 anni (intensi) di Sergio Mattarella al Colle, di Angelo Picariello

Dieci anni e non sentirli. Dieci anni per Sergio Mattarella da quello che viene ricordato come il capolavoro di un Matteo Renzi all’apice della sua parabola, segretario del Pd e capo del governo, che, per la complicata successione a Giorgio Napolitano, decise di far saltare il “patto del Nazareno”. Silvio Berlusconi non la prese bene, avendo già dato l’ok per Giuliano Amato, ma anche per il ricordo di un Mattarella che, nell’estate 1990, da ministro dell’Istruzione del governo Andreotti, si fece portavoce dei 5 ministri della sinistra Dc dimissionari contro la legge Mammì, che regolamentò le frequenze tv ratificando l’ascesa del Cavaliere a padrone dell’emittenza privata.
Il nome del piùlongevo presidente della Repubblica – secondo rieletto dopo Napolitano, che però si era dimesso dopo un anno e mezzo – spuntò a sorpresa, essendo in quel momento giudice costituzionale. Mattarella il 31 gennaio 2015 fu chiamato a un trasloco di pochi metri, dalla Consulta al Quirinale. Fu un’elezione più larga del previsto, 665 voti a fronte dei 505 che servivano, per la quale fu coniata la formula dei “franchi sostenitori” a indicare coloro che, dentro Forza Italia, andarono oltre l’astensione decisa dal Cav.: fra i promotori dell’operazione si fece il nome di Raffaele Fitto, che di recente si è visto ricambiare la stima trovando nel capo dello Stato un convinto sostenitore della sua indicazione a commissario europeo.
Il pomeriggio stesso dopo l’elezione Mattarella si recò a rendere omaggio alle Fosse Ardeatine indicando già, nel presidio della memoria condivisa, un filone chiave della sua lunga presidenza. Non a caso, poi, nel gennaio 2018, deciderà di nominare Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, senatrice a vita, unica e sola del decennio.
Mattarella al Quirinale porta il suo bagaglio di politico di lungo corso di popolare del Pd intestatario dell’ultima legge elettorale di cui il promotore non si sia poi vergognato, il “Mattarellum”, formula che riuscì a mettere insieme proporzionale, maggioritario e selezione della classe dirigente. Ma non dimentica il suo essere giurista, approdato alla politica, nel 1984, come commissario della Dc siciliana, chiamato dal segretario Ciriaco De Mita, quattro anni dopo l’assassinio (il 6 gennaio 1980) del fratello Piersanti, un omicidio politico-mafioso ancora avvolto nel mistero. Nel discorso di insediamento si presenta come l’«arbitro imparziale». Ma, dice rivolto ai parlamentari che l’ascoltano: «I giocatori lo aiutino con la loro correttezza». Questo comporta “leale collaborazione” con le altre istituzioni, ma non complicità. E vale anche per il suo kingmaker, che pochi mesi dopo “inciampa” nel referendum confermativo alla sua riforma, avendo promesso di lasciare in caso di esito negativo. Mattarella ottiene da Renzi di congelare le sue dimissioni, per non compromettere l’approvazione della legge di Bilancio. A quel punto però lui chiede lo scioglimento delle Camere ma non l’ottiene, Mattarella incarica il suo ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Nel prosieguo di legislatura l’astro di Renzi si consumerà definitivamente, e ne risentiranno a lungo i suoi rapporti con l’inquilino del Quirinale.
Nel suo primo mandato Mattarella ha coabitato con 4 presidenti del Consiglio, di cui 3 da lui incaricati. Dopo Gentiloni (2016-2018), sarà la volta di Giuseppe Conte (2018-2021) e Mario Draghi (2021-2022) con un ruolo sempre più attivo del Quirinale, “motore di riserva” quando il sistema va in avaria. Con Gentiloni stabilirà un asse “fiduciario” venuto utile anche di recente, quando – con l’avvento dell’era Meloni – l’ex premier, diventato Commissario agli Affari economici di Bruxelles, sarà garante della continuità istituzionale fra Italia e Ue.
Con i 5 stelle partito di maggioranza relativa e con un Parlamento a maggioranza “euroscettica”, in omaggio al suo ruolo di garante Mattarella realizzerà l’atto più incisivo del decennio nel respingere l’indicazione di Paolo Savona all’Economia, che aveva dato alle stampe un libro in cui veniva considerata l’ipotesi di uscire dall’euro. Il giorno più lungo sul Colle è il 31 maggio 2018, quando Carlo Cottarelli, il tecnico chiamato dopo la rinuncia di Conte, rinuncia a sua volta perché “l’avvocato del popolo” torna improvvisamente in pista. Ok a Savona ministro, ma spostato agli Affari Europei, mentre il leader M5s Luigi Di Maio ritira la sua estemporanea proposta di impeachment.
Mattarella sarà di nuovo decisivo dopo la cosiddetta “crisi del Papeete” aperta da Matteo Salvini in pieno agosto, nel 2019, convinto – come Renzi – di ottenere il voto anticipato, ed invece a settembre nascerà il governo giallo-rosso, con Conte ancora alla guida. Ma dovrà affrontare una sfida mai vista prima: il Covid. Mattarella nel febbraio 2020 solidarizza con la comunità cinese, visitando una scuola, all’Esquilino. Ma in pochi giorni l’epidemia diventa pandemia, e l’Italia accusa pesantemente il colpo. Sono i giorni delle colonne di camion militari con le bare, dei Dpcr, delle mascherine. Con Mattarella sempre dalla parte della scienza e dei vaccini. Il grande risultato, ottenuto dal governo Conte, con l’ombrello istituzionale di Mattarella, sono i 209 miliardi del Pnrr ottenuti dalla Ue, operazione senza precedenti.
Ma il kingmaker del 2015, ormai con poche truppe, torna in azione. Renzi a fine anno capeggia la fronda contro Conte, e si gioca la carta Mario Draghi. Tocca però ancora a Mattarella mettere insieme una coalizione amplissima a sostegno del salvatore dell’euro richiamato in servizio dal suo Paese. Sono giorni di grande prestigio internazionale per il nostro governo, a partire dal G7 in Cornovaglia, che vede l’Italia è al centro della scena, nel disegnare gli scenari della ripresa.
Nel 2022 cambia tutto. In vista del fine settennato il passaggio di testimone fra Draghi e Mattarella sembra nelle cose. Ma l’astro del premier che brilla nelle cancellerie di mezzo mondo, nel Parlamento convocato in seduta comune non decolla. Mattarella, fallito il tentativo Draghi per la sua successione, dopo aver spiegato le ragioni del suo fermo “no” a un nuovo mandato viene spinto proprio dal premier a restare dov’è per non esser privato del suo sostegno. C’entra ancora una volta Renzi che boccia la candidatura Belloni, contribuisce anche Casini con la sua rinuncia, una volta capito che su Mattarella si stava ricompattando tutto il fronte che reggeva il governo Draghi. Così il 29 gennaio 2022 viene rieletto, risultando il secondo Presidente più votato dopo Pertini (832 voti su 1011: 82,3%).
Ma un’altra minaccia incombe sull’Europa, a stoppare una ripresa che sembrava prorompente. In febbraio la Russia invade l’Ucraina. I fasti del “governo del presidente” e l’eterogenea maggioranza che lo tiene in piedi, impattano con la crisi energetica e l’impennata dei prezzi si abbatte sulle famiglie. Stavolta il voto anticipato è inevitabile, con un inedito appuntamento autunnale, dall’esito ritenuto scontato. Ne scaturisce la più veloce crisi di governo che si ricordi, Giorgia Meloni si presenta al Colle – irritualità concordata – con la lista dei ministri già pronta. Mattarella non obietta nemmeno di fronte a qualche palese conflitto di interessi che in altra situazione (senza una maggioranza chiara e una legge di Bilancio da approvare in fretta) l’avrebbe indotto a intervenire.
Il secondo mandato racconta tutt’altra storia. Racconta di un presidente che riconosce la forza di un governo che ha una maggioranza chiara in entrambi i rami del Parlamento. Ma questi due anni e mezzo raccontano anche di un presidente attivo più che mai, che – senza proferire parola sulla riforma del premierato che riduce il ruolo del capo del Stato – è impegnato a difendere la popolarità dell’istituzione garante dell’unità del Paese, convinto che ve ne sia bisogno in un’Italia in cui l’attuale politica “guerreggiata” incontra il disinteresse e l’astensione ormai di una quota maggioritaria degli elettori.

avvenire.it/attualita/pagine/la-fermezza-mite-per-l-unita-del-paesei-10-anni-in

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