«Se sembra una pulizia etnica, probabilmente lo è». Così titola l’editoriale del quotidiano israeliano Haaretz lo scorso 29 ottobre. Haaretz è un quotidiano progressista, da sempre critico nei confronti dell’amministrazione di Benjamin Netanyahu, che dall’inizio dell’invasione della Palestina ha però giustificato ogni tipo di atrocità commessa dall’esercito israeliano in nome dell’unità nazionale. Ma ora, evidentemente, si è superato il limite. Oltre 44mila morti, di cui almeno i due terzi donne e bambini. Omicidi di giornalisti, volontari e membri delle organizzazioni umanitarie. Case, scuole, ospedali e infrastrutture rase al suolo.
E adesso l’assedio per fame del territorio a nord di Gaza City che comprende Jabaliya, Beit Lahiya, Beit Hanoun. Con l’obiettivo di sfollare, o sterminare, i suoi 400mila abitanti per sostituirli con nuovi coloni israeliani. «Per tre settimane e mezza, le forze israeliane hanno assediato la Striscia di Gaza settentrionale. Israele ha bloccato quasi completamente l’ingresso degli aiuti umanitari, facendo così morire di fame le centinaia di migliaia di persone che vivono lì». Comincia così il durissimo editoriale di Haaretz del 29 ottobre, a segnare una svolta anche dello sguardo internazionale.
Poi prosegue: «Le informazioni che emergono dall’area assediata sono solo parziali, perché fin dall’inizio della guerra, Israele ha impedito ai giornalisti di entrare a Gaza. Ma anche in base al poco che è stato rivelato al pubblico, si possono dire due cose sull’assedio. In primo luogo, la portata delle vittime civili dei bombardamenti quotidiani dell’esercito sulle città e sui campi profughi nella Striscia di Gaza settentrionale – bambini, donne, anziani e uomini innocenti di qualsiasi crimine – è enorme».
Haaretz: «La macchia morale e legale di questo crimine perseguiterà ogni israeliano»
«Eppure Israele si è astenuto dal dare agli sfollati qualsiasi garanzia che saranno in grado di tornare una volta finita la guerra. Considerato ciò, non c’è da stupirsi che siano sorti gravi sospetti che Israele stia effettivamente perpetrando una pulizia etnica nella parte settentrionale di Gaza e che questa operazione abbia lo scopo di svuotare definitivamente questa zona dai palestinesi». Scrive ancora Haaretz il 29 ottobre, utilizzando per la prima volta in oltre un secolo di vita il termine “pulizia etnica” per attribuirlo alle politiche dello Stato di Israele.
E lo usa di nuovo, una seconda volta, nello stesso articolo. Questa volta accusando direttamente non solo il governo Netanyahu e la sua corte di estrema destra, da Itamar Ben Gvir a Bezalel Smotrich. Ma anche e soprattutto la codardia dell’opposizione di centro-sinistra e l’ignavia della società civile palestinese. «Israele sta scivolando nella pulizia etnica; i suoi soldati stanno portando avanti le politiche criminali della destra messianica e kahanista, e persino l’opposizione di centro e centro-sinistra non fa una piega. Questo consenso dietro alla pulizia etnica è vergognoso, e ogni leader che non chiede la fine dell’espulsione di fatto sta sostenendo questo crimine e ne è diventato complice».
Poi conclude: «Se questo processo non si ferma immediatamente, centinaia di migliaia di persone diventeranno rifugiate, intere comunità saranno distrutte e la macchia morale e legale di questo crimine perseguiterà ogni israeliano».
Per la prima volta il quotidiano attribuisce il termine «pulizia etnica» a Israele
Ma il quotidiano israeliano non si ferma qui, di fronte all’intensificarsi di episodi di violenza bieca e gratuita da parte dell’esercito di Israele. Come il deliberato incendio di un camion di aiuti alimentari e umanitari appena giunto nel cortile di una scuola di Beit Hanoun, città affamata e in piena carestia. Haaretz prima titola il suo editoriale: «Israele sta scatenando un’apocalisse nel nord di Gaza» (6 novembre). E poi di nuovo «La pulizia etnica di Netanyahu a Gaza è sotto gli occhi di tutti» (10 novembre). «La popolazione israeliana deve guardare dritto in faccia ciò che il suo esercito sta facendo in suo nome nella Striscia di Gaza settentrionale», scrive infatti il quotidiano.
«L’esercito israeliano sta conducendo un’operazione di pulizia etnica nella Striscia di Gaza settentrionale. I pochi palestinesi rimasti nell’area sono evacuati con la forza, case e infrastrutture sono state distrutte». E citando il suo corrispondente militare Yaniv Kubovich che dice «sembra che l’area sia stata colpita da un disastro naturale», conclude: «Quello che Kubovich ha visto, tuttavia, non è stato un disastro naturale, ma piuttosto un atto premeditato di distruzione umana». Premeditato perché è evidente che lo scopo di Israele sia quello di liberarsi dei 400mila residenti di Gaza Nord, con ogni mezzo necessario, per installare nuove colonie.
The Guardian: «Non c’è alcuna intenzione di consentire ai residenti di Gaza di tornare alle loro case»
Lo scrive nei due editoriali sempre Haaretz: «Ai residenti della Striscia di Gaza settentrionale è stato detto di spostarsi a sud, nello spirito del cosiddetto “Piano dei generali” proposto dal Maggiore generale Giora Eiland, sebbene ufficialmente Israele neghi di averlo implementato. Il concetto di base del piano è di evacuare i residenti, dichiarare l’area una zona militare chiusa e quindi affermare che chiunque vi rimanga sarà considerato un terrorista che può essere ucciso». E poi: «Un alto ufficiale dell’IDF, identificato dal quotidiano londinese The Guardian come il generale Itzik Cohen, comandante della 162ma Divisione, ha spiegato ai giornalisti: “Non c’è alcuna intenzione di consentire ai residenti della Striscia di Gaza settentrionale di tornare alle loro case“».
Anche su Le Monde oramai campeggiano i racconti dell’orrore a Gaza Nord
È evidente che si è sorpassato il limite. Tanto che il 14 novembre anche il quotidiano francese Le Monde, da mesi impegnato in esercizi di equilibrismo, non si trattiene. E a proposito di Gaza Nord scrive: «Coloro che accettano di fuggire sono tutt’altro che fuori pericolo. I palestinesi riferiscono di essere stati bombardati pochi minuti dopo aver ricevuto l’ordine di evacuare. “Non si tratta di evacuazioni umanitarie ma di deportazioni”, afferma Jan Egeland, segretario generale della ong Norwegian Refugee Council (NRC). Le persone vengono svegliate all’alba da droni dotati di altoparlanti che comunicano loro che hanno due ore per prendere ciò che possono trasportare e partire. E non hanno alcun posto dove andare».
«I camion e i bulldozer israeliani distruggono gli edifici lungo le strade, ritagliando ampie arterie per i veicoli militari. Sui social circolano diversi video, girati dagli stessi soldati, che li mostrano mentre bruciano case a Jabaliya e Beit Lahiya», prosegue Le Monde. «“L’esercito ha iniziato la fase di sgombero del nord della Striscia [di Gaza] e si prepara a mantenervi una presenza prolungata”, conclude il giornalista di Haaretz. D’altra parte, in territorio israeliano, a pochi chilometri dal nord-est di Gaza, una famiglia di coloni originari di Ariel, nella Cisgiordania occupata, si è già insediata in un accampamento improvvisato ai margini di una strada a quattro corsie, con tacita approvazione della polizia. Stanno aspettando l’opportunità di stabilirsi nell’enclave palestinese».
Per entrambi i quotidiani scopo dell’inaudita violenza di Israele è installare nuove colonie
Questo è il punto. La distruzione economica e la pulizia etnica del popolo palestinese a Gaza hanno lo scopo di ri-colonizzare il territorio. Lo dicono i palestinesi in primis, gli attivisti delle ong, i rappresentanti delle Nazioni Unite. Lo scrivono Haaretz e Le Monde. «L’opinione israeliana rimane in larga maggioranza contraria alla ri-colonizzazione di Gaza. Ma i sostenitori del ritorno di Gush Katif, le ex colonie dell’enclave palestinese, evacuate nel 2005, beneficiano di importanti staffette ai vertici dello Stato: i ministri suprematisti Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich. E anche molti deputati del Likud, il partito del primo ministro Benjamin Netanyahu». Scrive il quotidiano francese.
«Dal 7 ottobre, questi due leader estremisti e altri membri del governo hanno moltiplicato le dichiarazioni provocatorie: “Faremo ciò che è meglio per Israele: facilitare il reinsediamento di centinaia di migliaia di persone da Gaza”, ha affermato Ben Gvir all’inizio di gennaio, suggerendo una massiccia emigrazione degli abitanti di Gaza», prosegue il quotidiano francese. «“La responsabilità di queste atrocità non è solo di Israele, ma anche della comunità internazionale che le condona”, precisa Shai Parnes (portavoce dell’ong israeliana per i diritti umani B’Tselem ndr.). Approfittando del tumulto post-elezioni presidenziali americane, le truppe israeliane continuano la loro offensiva”.» Chissà, forse un giorno troveremo queste parole anche sui cosiddetti quotidiani progressisti e liberal italiani.
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