Gli argini sono saltati, si è tornati a un’oligarchia pura e il mondo intero ne è sopraffatto, di Mattia Madonia

L’insediamento bis di Donald Trump alla Casa Bianca è stato commentato in lungo e largo per gli aspetti politici, per ciò che il mondo dovrà attendersi nei prossimi anni. Nulla di buono, ma fuori dai programmi politici e dai deliri di onnipotenza del presidente è necessaria una riflessione più ampia su ciò che caratterizza la sua rielezione: quando gli uomini più ricchi del pianeta giungono al potere non è mai un buon segno. In cima alla classifica di Forbes sui patrimoni svetta Elon Musk, figura centrale nella nuova amministrazione di Trump, una sorta di secondo presidente che affiancherà il tycoon solo perché le leggi statunitensi gli impediscono di candidarsi in prima persona. Il patrimonio di Musk si aggira sui 354 miliardi di dollari (stima al ribasso) e per quantificare una cifra del genere basti pensare che equivale più o meno al PIL della Nigeria, nazione con 223 milioni di abitanti. Che un uomo solo possegga un patrimonio del genere è già di per sé una stortura sociale. Se a questo aggiungiamo che lo stesso Trump rientra nella Top 400 di Forbes e che il destino del pianeta – visto che gli Stati Uniti sono la nazione più ricca del mondo – è nelle loro mani, la conclusione è che gli effetti del capitalismo hanno generato una macchina infernale dalla quale non sembra più possibile scendere.
Nonostante i suoi quattro anni alla Casa Bianca non siano stati di certo memorabili, Joe Biden si è riservato per il finale la sua frase più lucida da presidente degli Stati Uniti: “In America sta prendendo forma un’oligarchia”. Il potere e il denaro si concentrano nelle mani di pochi. Se n’è accorto con colpevole ritardo, lui stesso fa parte degli ingranaggi che alimentano quel sistema, ma ha ragione. Tecnicamente oligarchia significa “governo dei pochi”, ma il significato principale nell’antica Grecia era “governo dei ricchi”. E la differenza è sostanziale, come spiega Aristotele nella Politica. Mettendola in contrapposizione all’aristocrazia – anche in questo caso l’accezione è diversa rispetto a quella attuale, perché per Aristotele era “il governo dei migliori”, degli aristoi – l’oligarchia viene descritta come una forma di governo in cui poche persone esercitano il potere indebitamente favorendo i propri interessi a scapito di quelli della comunità. Nel corso dei secoli, il termine oligarchia si è mischiato con altre componenti della politica e della società premendo più sulla costituzione di élite o caste legate non per forza al patrimonio dei componenti ma agli scopi legislativi. Un esempio può essere la plutonomia: non più il governo dei ricchi ma il governo per i ricchi, con azioni mirate a favorire le classi più abbienti e tenere in difficoltà i ceti medio-bassi. Sono più o meno tutti i moderni governi allacciati al neoliberismo, e anche l’esecutivo italiano attuale può rientrare nella categoria. Personaggi come Giorgia Meloni o Matteo Salvini sono sicuramente benestanti, ma non sono miliardari e non rientrano nelle classifiche delle persone più ricche né del mondo né dell’Italia, eppure incentrano la loro politica economica sul mantenimento delle classi, con i ricchi che lo diventano ancora di più grazie a politiche che non ostacolano nel profondo il fenomeno dell’evasione e sul mancato inserimento di tasse di solidarietà o patrimoniali, e i ceti inferiori a subirne le conseguenze.
Noi italiani abbiamo però già sperimentato quel che sta avvenendo negli Stati Uniti, avendo vissuto in pieno l’epoca berlusconiana. Silvio Berlusconi è stato Trump prima di Trump, l’accentratore di potere e denaro per eccellenza che ha usato la politica come mezzo per ampliare il suo impero economico ed evitare guai giudiziari attraverso le leggi ad personam. Costruì la sua oligarchia mettendo sì soltanto se stesso al centro di tutto, ma facendosi accompagnare da pochi fidati collaboratori che facevano gli interessi suoi e delle sue aziende, come per esempio Marcello Dell’Utri, Fedele Confalonieri e Cesare Previti. La ricchezza di Berlusconi gli permetteva di potersi comprare preferenze e silenzi, senatori e signorine, per poi ripagare tutti pur facendo in teoria parte della cosa pubblica. Intestava case alle sue “ospiti di una notte”, regalava gioielli, arricchiva i suoi avvocati e, soprattutto, scavalcava le sue funzioni politiche inserendo in posizioni pubbliche i personaggi che orbitavano nella sua vita. Potevamo dunque trovarci una particolare igienista dentale in un consiglio comunale, showgirl all’Europarlamento e suoi consulenti come ministri. Ciò che accomuna Berlusconi al duo Trump-Musk non è soltanto la ricchezza fisica, ma il potere derivante dal controllo dei media. Berlusconi aveva già tre reti televisive personali, e quando arrivava al governo cannibalizzava anche la RAI. Il potere persuasivo delle televisioni negli anni Novanta è oggi riservato ai social, e non a caso Musk ha prelevato Twitter trasformandolo in X per avere un suo megafono e favorire la rielezione di Trump.
Il livello di influenza è simile: negli anni Novanta i cittadini subivano la propaganda delle televisioni berlusconiane, ne venivano inondati, e oggi i social possono avere gli stessi effetti, essendo ormai diventati i mezzi usati da gran parte dei cittadini mondiali per informarsi. Non a caso la rielezione di Trump ha creato uno scossone nelle principali piattaforme, costrette a ricalibrarsi sui parametri trumpiani della comunicazione e della diffusione di notizie. Meta si è prostrata al tycoon per non soccombere, la stessa Amazon (quindi Jeff Bezos, altro uomo nella top 5 dei più ricchi del pianeta) ha fatto una donazione per l’Inauguration Day. Trump fa leva sulla paura per portare attorno a sé gli uomini più ricchi del mondo, intenzionati a preservare gli introiti delle proprie aziende. Così si alimenta l’oligarchia e il cerchio dei miliardari è passato da essere il potere “occulto” del Novecento al potere diretto nel nuovo millennio. Non serve più nascondersi per indirizzare la politica di un Paese; è come se oggi P2, massoneria e accordi segreti fossero stati sostituiti da logge alla luce del sole, dalla trasparenza della compravendita politica di favori e appoggi vari. Soprattutto negli Stati Uniti, dove il finanziamento della campagna elettorale di un candidato – e vale anche per i democraticinon è un tabù ma prassi politica. Così mentre tra i democratici ci sono state donazioni principalmente di artisti di rilievo, a sostegno di Trump sono arrivati magnati di fondi speculativi, azionisti di società miliardarie, dirigenti di hedge fund e venture capitalist della Silicon Valley. Nomi che in Italia sono poco conosciuti – come Howard Lutnick, John Paulson o Scott Bensen – ma che erano in prima fila alle convention di Trump e che beneficeranno della sua presidenza perché hanno investito puntando su di lui, sapendo che in cambio i conti delle loro aziende si sarebbero gonfiati ulteriormente.
In Italia pratiche del genere non sarebbero viste di buon occhio. Se Giovanni Ferrero, uomo più ricco del Paese, finanziasse la campagna elettorale di Meloni, dall’opposizione scoppierebbe il finimondo. Lo stesso vale dal lato opposto, se l’equivalente di una star hollywoodiana facesse una donazione per la campagna di Schlein. Immaginate Pierfrancesco Favino a donare un milione di Euro al PD: apriti cielo. Negli Stati Uniti è invece qualcosa di ordinario, forse per forma mentis o per principio costituzionale, con il dollaro come viatico alla felicità e all’appartenenza sociale del Paese. Questo avveniva anche con i Clinton e con i Bush, con Obama e con i suoi avversari repubblicani; la novità è però la diretta discesa in campo di chi un tempo finanziava e basta, mentre oggi pretende e prende il potere senza intermediari. Così anche un governo democratico può sradicare la democrazia attraverso l’uso del denaro per favorire gli interessi personali, tornando all’accezione greca dell’oligarchia. Gustavo Zagrebelsky ne La difficile democrazia ha scritto che “costruire la democrazia equivale a distruggere le oligarchie, con la precisa consapevolezza che un’oligarchia distrutta subirà la formazione di un’altra”.
Il punto è che Trump e Musk non sono arrivati al potere distruggendo un’oligarchia, ma imponendo la loro attraverso un’eco mediatica senza precedenti. E per mantenerla stanno sottomettendo tutti gli altri giganti del web, ormai costretti anche a eliminare i programmi di fact-checking e gli scudi che in qualche modo avrebbero dovuto tenere distanti certe derive.
Gli argini sono saltati, si è tornati a un’oligarchia pura e il mondo intero ne è sopraffatto. Anche gli avversari dell’America, considerando che la Russia è una nazione che dopo il crollo dell’Unione Sovietica si basa proprio sul potere degli oligarchi del gas e che il comunismo russo ha abbracciato il capitalismo trasformando il partito in una multinazionale. Non a caso il primo tema sull’agenda tra USA e Cina non è qualche misura per proteggere l’ambiente o il tentativo d’intesa su questioni politiche, bensì il destino di TikTok. Con il rischio concreto che Musk possa inserirsi anche in questa trattativa. Di fatto il mondo è nelle mani di poche, pochissime persone, e questo è avvenuto con un voto democratico e non con un colpo di Stato. Nel terzo millennio in Occidente non è più necessario, basta avere più soldi di tutti e ogni porta si spalanca. Auguri a tutti noi per quattro anni da sudditi di un gruppo ristretto di miliardari.

https://thevision.com/attualita/oligarchia-usa-musk-trum/?sez=all&ix=1

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