Nonostante le devastazioni e le «rovine in cui si trova», Gaza «è la casa» dei palestinesi che per «generazioni sono nati e hanno vissuto lì» e che in quella terra «vogliono rimanere», per «ricostruire» le loro vite: «non possiamo andare contro» tutto ciò. È questa la riflessione dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, nella prima parte di una lunga intervista alla rivista «America», fondata dalla Compagnia di Gesù negli Stati Uniti, rilasciata la scorsa settimana, dopo aver partecipato alla Conferenza annuale sulla sicurezza di Monaco. Rispondendo a una domanda sulla proposta del presidente statunitense Donald Trump di reinsediare altrove i palestinesi della Striscia di Gaza, il presule ha ricordato come molti di essi o dei loro antenati più prossimi siano già stati «costretti a lasciare» le proprietà che avevano in altre parti della Terra Santa. «Non è giusto dire — ha proseguito — che sono un problema». Sono «persone» e come tali vanno considerate, agendo «in modo rispettoso» nei loro confronti e in quelli della loro «dignità di esseri umani», senza mai dimenticare «le enormi sofferenze che hanno subito e che stanno vivendo» giorno dopo giorno. Di fronte ad una proposta del genere «si rimane senza parole», ha quindi dichiarato l’arcivescovo Gallagher.
La posizione della Santa Sede, ha ribadito, rimane «sempre la stessa»: una soluzione a due Stati, uno israeliano e uno palestinese. Da lungo tempo e dunque già da prima di questo «recente e orribile» conflitto, in seguito agli «atroci» fatti del 7 ottobre 2023, la Santa Sede sostiene tale principio all’interno della comunità internazionale e lo ha fatto anche quando «molti altri» lo stavano «scartando». Guardando all’oggi risulta abbastanza «ovvio», ha osservato il segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, che la possibile realizzazione sia «in discussione» perché anche la situazione nei territori palestinesi della Cisgiordania è «estremamente» seria, grave: se ci fosse una «annessione» dei territori della Cisgiordania «da parte di Israele», sarebbe «molto difficile immaginare come ci possa essere una speranza nel prossimo futuro di realizzare una soluzione a due Stati».
La Santa Sede, ha rimarcato al contempo, continua a sostenere un cessate-il-fuoco «totale», il rilascio di «tutti» gli ostaggi, la «protezione» dei civili e il «pieno» rispetto del diritto internazionale umanitario. Come pure la ricostruzione di Gaza, la «stabilizzazione» della situazione nei territori palestinesi della Cisgiordania e il rispetto per il popolo palestinese di quelle aree. La prospettiva rimane comunque quella di «una soluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi». Ma, ha affermato, si ritiene che la risoluzione della questione palestinese sia «al centro di molti dei problemi del Medio Oriente», che si tratti di Siria, Libano o altre parti della regione.
Sollecitato a soffermarsi sull’attenzione del Papa riguardo proprio alla questione israelo-palestinese e alle costanti telefonate alla comunità cattolica di Gaza e al suo parroco, sulle quali la rivista riporta «critiche» da parte di alcuni «leader israeliani e ebrei», l’arcivescovo Gallagher ha ricordato come Francesco abbia sempre cercato di «raggiungere» entrambe le parti di questo terribile conflitto. «È vero, cerca di telefonare ogni sera alla parrocchia di Gaza, per parlare con i sacerdoti e avere notizie della gente che vive lì», ha riferito, citando un gesto «molto apprezzato». Ma, ha ricordato l’arcivescovo Gallagher in questa parte di conversazione con la rivista «America» in cui ha risposto pure ad altre domande, dalla salute del Papa ai viaggi, il Pontefice «ha anche ricevuto molte delle famiglie degli ostaggi», oltre a scrivere una lettera ai suoi «fratelli e sorelle» ebrei in Israele e una missiva ai cattolici del Medio Oriente: ha dunque cercato di essere un «pastore» per tutti.
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