Ha suscitato reazioni, a livello politico ma non solo, l’intervento di Francesco sui migranti pronunciato mercoledì scorso. È un discorso che ribadisce la scelta che ha caratterizzato il suo magistero dall’otto luglio 2003, quando volle aprire la stagione dei suoi viaggi recandosi a Lampedusa. Non credo sia stato un caso.
Quel viaggio sta nella citazione biblica che fece più volte, le parole rivolte da Dio a Caino: «Dov’è tuo fratello?» Qui c’è la sostanza del suo approccio di uomo di fede alla lettura del dramma delle migrazioni forzate, che alla fine del 2003 coinvolgeva 43,4 milioni di persone. Non sono invasori, ma fuggiaschi perseguitati: da guerre, carestie, regimi totalitari. Non è un popolo numeroso?
Il Mediterraneo e l’umano ferito
Al loro riguardo Francesco ha sentito il bisogno più volte di pronunciarsi, aggiungendo sovente nuovi elementi di rilievo, politico, culturale e ovviamente religioso. Io ritengo che sia accaduto anche mercoledì; ma come spesso accade, la citazione di una tragedia italiana, quella di Cutro, ha distratto e fatto perdere di vista le novità. È capitato a tanti papi, il particolare riconduce a ciò che ci riguarda più da vicino.
Certamente Cutro per il papa è una ferita grave, ma non certo l’unica. È il caso di arrivare a mercoledì seguendo almeno alcune tappe di un cammino, logico, culturale e spirituale, compiuto da Lampedusa e che seguendo lo svolgimento della nostra storia ha colto nuovi problemi, il senso sempre più grave degli accadimenti e indicato nuove urgenze, come ha fatto proprio mercoledì.
Il papa della Chiesa ospedale da campo, dopo aver fissato a Lampedusa il punto di partenza del ragionamento sui migranti-profughi, e cioè che sono fratelli che vanno soccorsi nel naufragio, ha sentito l’esigenza di parlare all’animo dell’uomo europeo, individuando la sua crisi d’identità culturale.
E nel 2014 con grande intensità, al Parlamento Europeo, lo ha detto così: «Una delle malattie che vedo più diffuse oggi in Europa è la solitudine, propria di chi è privo di legami. La si vede particolarmente negli anziani, spesso abbandonati al loro destino, come pure nei giovani privi di punti di riferimento e di opportunità per il futuro; la si vede nei numerosi poveri che popolano le nostre città; la si vede negli occhi smarriti dei migranti che sono venuti qui in cerca di un futuro migliore».
La crisi più che economica sta divenendo, davanti a un’emergenza che ormai è un dato strutturale, una crisi di civiltà: già lo aveva accennato a Lesbo, ma in occasione del suo viaggio a Malta, Bergoglio ha affermato che dal Mediterraneo si può vedere il rischio di un naufragio delle nostre civiltà. Era il 2 aprile 2022 e le sue parole sono state queste: «Il Mediterraneo ha bisogno di corresponsabilità europea, per diventare nuovamente teatro di solidarietà e non essere l’avamposto di un tragico naufragio di civiltà».
Non credo di dover ricordare quali siano le civiltà mediterranee, a cominciare da quella greca. Per questo ritengo che SettimanaNews abbia fatto benissimo a rilanciare il suo discorso, perché da questo testo emerge un’indicazione religiosa e quindi una proposta politica.
Il mare e il deserto
Andiamo con ordine: partiamo da quella che a me sembra un’importante indicazione religiosa. Riferendosi ai viaggi della disperazione e spesso della morte dei migranti forzati, in tutto il mondo, ha sottolineato che si svolgono principalmente nel mare e nel deserto – due luoghi che ai credenti dicono molto e che a noi, che viviamo nel cuore del Mediterraneo che collega le verdeggianti terre della sua sponda nord con il deserto che arriva alla sua sponda sud, dovrebbero parlare idealmente e concretamente.
«Del Mediterraneo ho parlato tante volte, perchè sono vescovo di Roma e perché è emblematico: il mare nostrum, luogo di comunicazione fra popoli e civiltà, è diventato un cimitero… E la tragedia è che molti, la maggior parte di questi morti, potevano essere salvati. Bisogna dirlo con chiarezza: c’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti – per respingere i migranti. E questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave. Non dimentichiamo ciò che dice la Bibbia: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai”. L’orfano, la vedova e lo straniero sono i poveri per eccellenza che Dio sempre difende e chiede di difendere».
Poi ha tentato di rendere la fede un fatto sensoriale, non solo leggi, idee, ma anche una capacità di vedere, sentire, toccare i protagonisti delle azioni che i testi sacri tramandano nei protagonisti dell’oggi: «In effetti, il mare e il deserto sono anche luoghi biblici carichi di valore simbolico. Sono scenari molto importanti nella storia dell’esodo, la grande migrazione del popolo guidato da Dio mediante Mosè dall’Egitto alla Terra promessa. Questi luoghi assistono al dramma della fuga del popolo, che scappa dall’oppressione e dalla schiavitù. Sono luoghi di sofferenza, di paura, di disperazione, ma nello stesso tempo sono luoghi di passaggio per la liberazione – e quanta gente passa per i mari, i deserti per liberarsi, oggi -, sono luoghi di passaggio per il riscatto, per raggiungere la libertà e il compimento delle promesse di Dio».
C’è dunque un passaggio agognato, per la liberazione, che Francesco indica. Quella del Faraone è una figura forte nel racconto dell’oggi se pensiamo al Sudan, alla Siria, all’Afghanistan, alla Nigeria, alla Libia, al Venezuela – per fare qualche esempio.
È questo il motivo per cui è arrivato alla logica, automatica conseguenza di quanto accade e del suo significato: «Il Signore è con i nostri migranti nel mare nostrum, il Signore è con loro, non con quelli che li respingono». Questa parte del discorso può interessare ma non riguardare i politici non credenti; ma credo debba riguardare chi di loro si senta cattolico, per fare poi il suo discernimento e seguendo la sua coscienza valutare cosa sia giusto fare.
Non dovrebbero essere lì
Ma Bergoglio mercoledì ha detto anche altro, non ha parlato solo del Mediterraneo, ha detto che questi disperati sono nel mare e nei deserti, che tentano di attraversare, ma non dovrebbero essere lì e su questo ha aggiunto che dovremmo essere tutti d’accordo. Ha torto? Non credo. Credo che tutti convengano su questo.
E siccome questo è ormai un enorme fenomeno globale, ha fatto la sua proposta: «Ma non è attraverso leggi più restrittive, non è con la militarizzazione delle frontiere, non è con i respingimenti che otterremo questo risultato. Lo otterremo invece ampliando le vie di accesso sicure e le vie di accesso regolari per i migranti, facilitando il rifugio per chi scappa da guerre, dalle violenze, dalle persecuzioni e dalle tante calamità; lo otterremo favorendo in ogni modo una governance globale delle migrazioni fondata sulla giustizia, sulla fratellanza e sulla solidarietà. E unendo le forze per combattere la tratta di esseri umani, per fermare i criminali trafficanti che senza pietà sfruttano la miseria altrui».
L’attenzione alla lotta ai trafficanti è antica. All’inizio del 2015 Francesco ha dedicato alla tratta di esseri umani il suo messaggio per la Giornata mondiale della pace, sottolineando che «siamo di fronte a un fenomeno mondiale che supera le competenze di una sola comunità o nazione» e chiedendo «una mobilitazione di dimensioni comparabili a quelle del fenomeno stesso».
Una governance mondiale per le migrazioni
Dunque a me sembra che il punto da cogliere e dibattere sia l’urgenza di procedere a creare un meccanismo di governance mondiale, come per l’emergenza climatica. Anche la vitale lotta ai trafficanti si fa così, mentre noi nella fretta miope possiamo scambiare chi crea e sfrutta il fenomeno delle migrazioni forzate con l’interlocutore giusto per combattere i trafficanti. Molti satrapi agiscono come il Faraone, prima rendono i loro sudditi o chi transiti nei loro Paesi dei profughi, dei reietti, poi gli danno la caccia.
L’idea della governance mondiale ci pone davanti a molti nodi strutturali e globali, come è stato nel caso dei mutamenti climatici. Certo, ci sarà chi ritiene che siccome d’estate fa caldo e d’inverno fa freddo, quanto accade, i termometri che superano nelle nostre città per lunghi periodi i 40 gradi centigradi, le piogge torrenziali che soggiungono dopo interminabili periodi di siccità, sia normale.
Analogamente potrà esserci chi ritiene che siccome l’uomo è sempre migrato, anche queste migrazioni siano normali – si tratta di persone che cercano un lavoro migliore di quello che esercitano a casa loro e dunque potrebbero portare avanti questa ricerca rispettando le leggi.
E invece con il suo discorso Francesco ci ha detto che sono molto spesso persone che cercano rifugio, richiedenti asilo ai quali viene negato il modo di chiedere questo diritto fondativo della nostra civiltà. Come rendere possibile e funzionale l’accoglienza, e l’ovvia prevenzione del crimine che può annidarsi ovunque, è un discorso conseguente. Ma un cattolico come il premier ungherese Orban deve essersi dimenticato quanti suoi connazionali, dopo l’invasione sovietica del suo Paese, furono aiutati, assistiti, accolti in virtù di questo cardine giuridico della nostra civiltà.
Senza una governance mondiale, procedendo in ordine sparso, si continuerà a pensare al proprio particolare in modo a dir poco miope. E per i cattolici facendo un peccato grave, come è ovvio. A questi Bergoglio ha detto che invece i cattolici devono essere in prima linea, che non vuol dire per forza unirsi a chi soccorre, che ha lodato, ma anche altrimenti, perché «ci sono tanti modi di dare il proprio contributo, primo fra tutti la preghiera. E a voi domando: voi pregate per i migranti, per questi che vengono nelle nostre terre per salvare la vita? E “voi” volete cacciarli via?».
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