L’approssimarsi delle elezioni al Parlamento europeo ripropone una domanda, alla quale si fatica a rispondere in maniera univoca: quale Europa vogliamo? Una breve memoria storica può aiutare a delineare una risposta, sia pur provvisoria: appena dopo la Prima guerra mondiale Oswald Spengler aveva usato la categoria di “tramonto” per evocare le tendenze dissolvitrici della modernità europea-occidentale, in cui le due anime del Faust, la tecnica e la tragica, si sarebbero polarizzate a scapito della seconda, con l’esito di ridurre l’uomo a oggetto e aprire la strada alla violenza, messa poi in atto dai sistemi ideologici (Il tramonto dell’Occidente). Hans Blumenberg aveva utilizzato la metafora del “naufragio” (Naufragio con spettatore) per descrivere la situazione prodotta dalla parabola della modernità, in cui ogni sicurezza sembra perduta e l’uomo è al tempo stesso naufrago e spettatore del suo naufragio. Sygmunt Bauman ha descritto questa condizione come quella di una “modernità liquida”, dove “modelli e configurazioni non sono più dati, e tanto meno assiomatici; ce ne sono semplicemente troppi, in contrasto tra loro e in contraddizione dei rispettivi comandamenti, cosicché ciascuno di essi è stato spogliato di buona parte dei propri poteri di coercizione” (Modernità liquida).
Queste interpretazioni – attraverso le metafore del tramonto, del naufragio e della liquidità inafferrabile – vedono la civiltà occidentale e la sua culla, l’Europa, destinate ad un inarrestabile processo di dissolvimento e di declino. In esse, però, il contributo offerto dalla tradizione ebraico-cristiana al formarsi dell’identità europea resta ampiamente in ombra. Anche per questo il magistero pontificio degli ultimi decenni ha insistito sulle “radici cristiane” dell’Europa, senza le quali non sarebbe concepibile né potrebbe sostenersi l’aspirazione a una comune “patria europea”. In tal senso papa Francesco, ricevendo i capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea alla vigilia della celebrazione del sessantesimo di essa (24 marzo 2017), ha affermato: «All’origine della civiltà europea si trova il cristianesimo, senza il quale i valori occidentali di dignità, libertà e giustizia risultano per lo più incomprensibili». E questo perché l’Europa «è una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile e non solo come un insieme di diritti da difendere o di pretese da rivendicare. All’origine dell’idea d’Europa vi è la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica».
Il futuro dell’Europa, insomma, non può prescindere dalle sue radici etiche e spirituali, le sole a poter alimentare una rinnovata passione morale e un impegno condiviso. Ritornare alle idee dei Padri fondatori dell’Europa unita si offre come una condizione rilevante per rispondere a questa esigenza. Così, Robert Schuman, ministro degli Esteri francese, uno dei padri fondatori dell’Europa unita, in un’importante dichiarazione rilasciata il 9 maggio 1950 aveva affermato: «L’Europa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto… La solidarietà di produzione, aperta a tutti i Paesi che vorranno aderirvi e intesa a fornire a tutti i Paesi in essa riuniti gli elementi di base della produzione industriale a condizioni uguali, getterà le fondamenta reali della loro unificazione economica. Questa produzione sarà offerta al mondo intero senza distinzione né esclusione per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace». Nel memorabile discorso intitolato “La nostra patria Europa”, tenuto alla Conferenza Parlamentare Europea di Parigi il 21 aprile 1954, Alcide De Gasperi affermava: «Tutta la nostra costruzione politico-sociale presuppone un regime di moralità internazionale. I popoli che si uniscono, spogliandosi delle scorie egoistiche della loro crescita, debbono elevarsi anche a un più fecondo senso di giustizia verso i deboli e i perseguitati». Sottolineando l’importanza della scelta morale da porre alla base dell’impegno per “fare l’Europa”, De Gasperi ne evidenziava gli scopi ultimi – la pace, il progresso e la giustizia sociale dei popoli –, senza rinunciare a evidenziare i limiti delle nuove istituzioni europee. Un’Europa priva di riferimenti etici alti, di spirito di accoglienza e di integrazione aperto sulle frontiere del mondo, non potrà realizzare la vocazione più profonda cui è chiamata dalla sua storia. In tal senso, Konrad Adenauer, Cancelliere della Germania occidentale nata sulle macerie della barbarie nazista, il 25 marzo 1957 in occasione della firma dei Trattati di Roma, con cui si dava ufficialmente avvio al processo d’integrazione europea, aveva detto: «Il nostro scopo è di collaborare con tutti onde promuovere il progresso nella pace… Unendosi oggi, l’Europa non serve soltanto i suoi propri interessi e quelli degli Stati che sono in essa compresi, essa serve anche il mondo intero».
Queste idee dei Padri dell’Europa unita hanno ispirato i passi e le realizzazioni di quanti, accomunati dal sogno della casa comune europea al servizio dell’umanità tutta, hanno speso impegno, passione e sacrificio per costruirla. Ad animarli, prima che l’interesse economico, è stato un ideale per cui spendersi e pagare di persona. Ad essi è dovuta la migliore Europa, non quella assillata dalle esigenze di una stabilità inseguita a volte perfino a scapito delle esigenze dello stato sociale e dello sviluppo, ma l’Europa dei popoli e delle coscienze, nutrita dalle grandi fonti che hanno ispirato l’unicità europea: la civiltà greco-latina, la tradizione ebraico-cristiana e la cultura germanica. A questa Europa e alla coscienza morale che ne è a fondamento dovrebbero ispirarsi i nostri politici, quali che siano le loro appartenenze partitiche e le loro convinzioni morali e religiose. Per questo, non è perdonabile a chi ha responsabilità decisionali in materia l’ignoranza delle fonti che hanno motivato il progetto europeo. Lo ricorda Paul Ricoeur in un lucido saggio su (L’Europa e la sua memoria), dove tra l’altro scrive: «I popoli non possono vivere senza utopia, al pari degli individui senza il sogno. A tal riguardo, l’Europa senza frontiere rigide è un’utopia, proprio perché essa è innanzitutto un’Idea… L’importante è che le nostre utopie siano responsabili: tengano conto del fattibile e dell’auspicabile, vengano a patti non solo con le resistenze spiacevoli della realtà, ma anche con le vie praticabili tenute aperte dalla coscienza storica». La sfida è fra le più serie che l’Europa abbia dovuto affrontare dagli inizi del processo ambizioso della sua unione: su di essa e su come sarà affrontata si misureranno il suo presente e il suo futuro, oltre che la sua effettiva rilevanza nel consesso dei popoli e nella storia dell’umanità. Solo misurandosi con chiarezza su questa sfida i candidati al Parlamento europeo saranno credibili: quanti lo stanno facendo e lo faranno?
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