Esame di riconoscenza, di Alessandro D’Avenia

Il 2023 è stato per molti, me compreso, un anno di ripresa. Per questo avevo deciso di scrivere su un foglietto, ogni lunedì, la cosa più bella accaduta nella settimana precedente. Avevo bisogno di sapere di essere felice e ricordarmelo, verificando l’ipotesi di G.K. Chesterton secondo cui la felicità è a misura della riconoscenza. In italiano la gratitudine dipende dal verbo «riconoscere», rendersi pienamente conto di qualcosa: riconoscente è solo chi ri-conosce. A gennaio del 2024 che si chiude domani avevo quindi una scatola rossa, il mio «salva-donaio», piena di 53 racconti dei doni che avevo riconosciuto: 53 riconoscenze, 53 felicità. Non erano eventi necessariamente positivi, la grazia non è infatti l’incantesimo che fa sparire i problemi ma un «colpo» che offre una visione nuova e invita a creare una vita più bella. Nel 2024 l’esperimento è proseguito con gli articoli del lunedì, che di fatto sono il racconto del colpo di grazia ricevuto nella settimana precedente (non programmo i pezzi, li aspetto). E così per gioco, in questi giorni di pausa, ho aperto il salvadonaio del 2023 pescando a caso qualche foglietto. Chesterton aveva ragione: la memoria di una gioia, ri-conoscenza, è felicità «per sempre». Avevo infatti in mano 53 estasi da ri-vivere a comando, 53 risvegli, 53 inviti a incarnare un destino, che non erano invecchiati di un solo giorno, perché erano vita sempre viva, vita strappata alla morte. E non è forse questa la gioia che tutti cerchiamo? Dove?
Una vita mancata è quella che non ha incarnato il suo irripetibile destino. Il fine della vita non è infatti la sopravvivenza, ma la bellezza: chi compie il suo destino rende se stesso e il mondo più belli. L’arte è un promemoria di questa chiamata, artista è infatti chiunque lotti per rendere giustizia all’ispirazione ricevuta, come riassumeva il poeta Paul Valéry: il primo verso lo danno gli dei, il secondo è lavoro umano per rimanere all’altezza. Di queste ispirazioni che rompono il ripetersi stanco dei giorni e ci ricordano l’irripetibilità del destino che magari stiamo tradendo, ogni settimana ne riceviamo diverse sotto forma di parole, eventi, incontri, crisi… che spesso però non trovano il terreno interiore per attecchire e dare frutto.
Ribaltando Chesterton si potrebbe dire che «irriconoscenza è infelicità». La realtà offre continui risvegli dal torpore dell’abitudine, dal dolore incancrenito, dalla mania di controllo, che rendono il nostro cuore di pietra. La grazia lo riporta alla sua vera dimensione: la carne. La paura che pietrifica il cuore ha due forme: paura di vivere e paura di morire. Il cuore pietrificato si abbandona infatti all’impotenza (non valgo niente, non sono padrone della mia vita, non posso cambiare questa situazione, non ne vale la pena…) o fuga dalla realtà (era meglio ai miei tempi, è colpa degli altri, questa vita fa schifo mi ritiro…).
Questa pietrificazione rende impossibile la gioia, perché rende incapaci di stare nel presente, non lo ri-conosciamo più, e quindi diventiamo irriconoscenti, infelici. Ma puntuale un colpo di grazia viene a tirarci fuori da impotenza e fuga, ci spinge a stare nella realtà così com’è, ad affrontare la paura, perché la grazia è un invito ad abbracciare il qui e ora come luogo del destino, invito alla libertà per incarnare il modo unico in cui ciascuno di noi può rispondere all’incontro con la realtà. L’ispirazione non cambia il mondo, ma il nostro rapporto con il mondo.
In fondo l’evento alla base delle feste di questi giorni non è altro che la nascita di un bambino in condizioni precarie. Eppure dopo 2000 anni, proprio in questo periodo, ci ri-posiamo, cioè posiamo l’io di nuovo dentro il suo destino facendo ciò che amiamo di più. Immortaliamo la vita come vorremmo che fosse, infatti condividiamo foto di tavole eleganti e imbandite, vestiti belli e luminosi, famiglie unite e sorridenti, giornate spensierate e giocose: è il riconoscimento della vita come vorremmo che fosse, anche se a volte si tratta solo di un desiderio o magari di una facciata. Il tentativo annuale del cuore a tornare di carne…
Eppure questo accade ogni settimana, se non ogni giorno. Se infatti prendo a caso uno dei fogli del 2023 scopro che il colpo di grazia di quella settimana era stata la telefonata di un padre in lacrime. Si era chiuso in macchina, oppresso dal dolore per la drammatica diagnosi di malattia della figlia giovanissima. Siamo rimasti al telefono qualche minuto, tra silenzi e balbettii. Una grazia questa? Perché? Perché mi ha risvegliato. Che senso ha? Non lo so, non ho spiegazioni al dolore innocente, come i bambini massacrati dalle guerre in corso. Che cosa posso fare? Stare in qualche modo vicino a quest’uomo. Si liberano energie creative, anche perché immediatamente evaporano le paure che pietrificano quelle energie, e la vita torna al suo malcelato splendore: ama di più, crea di più, lavora sul secondo verso. La grazia è un risveglio della libertà: la capacità di creare il nuovo, di aprire una via nella storia, di introdurre un’energia che non c’era, non sottomessa all’entropia, all’esaurirsi di tutte le cose, e che si chiama amore. Senza grazia non c’è libertà, senza libertà non c’è amore, senza amore non c’è creazione, senza creazione non c’è destino, e senza destino non c’è gioia.
Infatti chi risponde alla grazia torna di nuovo protagonista della propria vita: la pietra diventa carne, che è la capacità di stare nel presente così com’è. In un altro dei 53 foglietti leggo di una passeggiata nel bosco in cui mi è stato ancora una volta evidente che il creato è un invito a fare altrettanta bellezza nella propria vita, tanto che quando dico che credo ai miracoli mi basta mostrare un albero. Vorrei saper fare anche io un bosco in cui la luce penetra tra i rami e apre nel sottobosco radure di luce, mentre un pulviscolo verde tradisce la conversazione segreta, aerea e sotterranea, tra le piante: le cose non sono cose, ma un cosmo. «Anche io, anche io» mi viene da dire, e da fare, come nel bellissimo racconto di Jean Giono: L’uomo che piantava gli alberi, in cui il protagonista riporta la vita in una zona desolata, con la sua paziente e silenziosa azione creativa: piantare ogni giorno 100 ghiande. Quell’uomo fa miracoli, eppure sta solo piantando degli alberi… è proprio così quando si incarna il proprio destino, quando si lavora bene sul secondo verso. 
Ho altri 51 foglietti da esplorare.
Questo pezzo e questo 2024 finiscono solo apparentemente, perché c’è un salvadonaio da inaugurare, per poter raccogliere almeno altri 53 reperti di grazia, per i più attenti potrebbero essere addirittura 365. Basterebbe fare ogni sera un minuto di «esame di riconoscenza»: qual è stata la cosa bella di oggi? Se non la troviamo o siamo stati distratti o non stiamo vivendo la nostra vita, ci si è pietrificato il cuore. Ogni giorno c’è un colpo di grazia che invita a vivere irripetibilmente, nel qui e ora, creando e non distruggendo. Solo così, ogni giorno, anche il lunedì, ogni settimana, anche la più faticosa, ogni anno, anche il più duro, diventano materiale del capolavoro di una vita, il lavoro che solo ciascuno di noi può fare dopo aver ricevuto il primo verso dal Dio della realtà. Solo così il 2025 sarà divino, cioè pieno di gioia. Ve lo auguro.

corriere.it/alessandro-d-avenia-ultimo-banco/24_dicembre_30/226-esame-di-riconoscenza-e57e274c-a3c8-440e-aabe-c0a1f055bxlk.shtml?refresh_ce

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