Eric Voegelin: una lezione per il populismo della scena politica odierna, di Lorenzo Palmisano

L’uomo è essenzialmente un essere sociale – puntualizza Eric Voegelin -, così come ce lo insegnava Aristotele e ce lo dimostrano i bambini ogni giorno; l’uomo si realizza attraverso le relazioni con l’altro e questo aspetto sta alla base di ogni tipo di azione orientata alla persona. Eric Voegelin, noto filosofo della politica, ha identificato diverse analogie ideologiche fra le antiche religioni e le moderne dottrine politiche, perché per lui vivere nella verità in un momento in cui il potere della società è schierato dalla parte dell’apparenza costituisce un fardello spirituale impossibile da sopportare per i molti, estremamente oneroso per i pochi che lo possono tollerare; evidenziando che non può essere mai oggetto di analisi e giudizio se la persona è credente oppure no, in quanto elemento che appartiene alla sfera intima della coscienza, ma si può affermare con Voegelin che la filosofia moderna tenta di appianare le differenze naturali, eliminando culturalmente ciò che nel cristianesimo è la redenzione, Dio trascendente diviene immanentizzato quindi nell’uomo o in un gruppo di uomini.

A tale riguardo ricordo del mio percorso di studi l’importanza che rivestono l’esistenza storica di Israele e la Torah che collega la rivelazione sinaitica all’esperienza di fede che con Voegelin si può disquisire in particolare sul problema di Isaia e del conflitto tra l’esperienza compatta dell’ordine di tipo cosmologico e la forma dell’esistenza umana; infatti nelle profezie di Isaia in modo speciale ci si imbatte in uno strano evento, dove si nota come da una parte il profeta consiglia il re di Giudea di non fare affidamento sulle fortificazioni di Gerusalemme e sulla potenza del proprio esercito ma di avere fiducia nella propria fede in Yahweh. Se il re avesse avuto fede, Dio avrebbe fatto il resto diffondendo tra il nemico il panico o un’epidemia e il pericolo per la città sarebbe svanito. Siamo di fronte a un nuovo concetto coniato dallo stesso filosofo Voegelin e cioè fede metastatica/«fede magica» e leap in being/«salto nell’essere» oppure negazione del leap in being, allo scopo di definire la credenza magica sublimata, che confida in una trasfigurazione della realtà attraverso un atto di fede.

Il mondo della polis è la dimostrazione filosofica e storica di quanto sia rilevante la misconosciuta o sottovalutata importanza del leap in being/«salto nell’essere» che frantuma l’originaria compattezza del mito cosmologico e pone l’ordine dell’uomo direttamente sotto Dio. Tutto ciò a cosa porta in conclusione? Isaia ha tentato l’impossibile, facendo il salto nell’essere, un salto fuori dall’esistenza in un mondo divinamente trasfigurato dai ritmi cosmici, al di là delle leggi dell’esistenza nella forma storica; in pratica in uno stile di simbolizzazione della storia israelita è evidente come in Isaia, che profetizza la ricorrente restaurazione d’ordine, c’è la credenza in una metastasi della realtà attraverso le “conoscenze acquisite” e secondo una trasfigurazione unica del mondo in base al piano divino. Non esistono termini specifici poi per descrivere lo stato della psiche di chi ha la visione di un mondo che cambierà la sua natura, senza smettere di essere il mondo in cui viviamo concretamente, realizzando però la trasformazione definitiva e il cambiamento di costituzione previsto dallo stesso profeta Isaia preso qui in esame.

Si apre quindi un abisso tra il mondo così com’è e il mondo come sarà quando verrà trasfigurato mediante la visione in un primo step di una «fede metastatica», che poi però nelle azioni andrà a negare il leap in being, cioè la negazione dei limiti imposti dalla creaturalità e così è dei vari populisti presenti sulla scena politica odierna: Trump, Putin, Netanyahu, Orban, Le Pen, Salvini, Meloni e diversi altri che, pur nella diversità di storie, formazione, sensibilità e collocazione politica, sono accomunati da un uso strumentale della religione, da un atteggiamento che mira a rappresentare il popolo e le grandi masse esaltandone desideri e frustrazioni; dove la pressione esercitata dalla necessità di conformarsi penetra l’anima costringendola ad attribuire all’opinione i caratteri esperienziali della verità. L’ultimo stadio nei moderni movimenti politici di massa, infine, consisterebbe nell’accecamento completo, mediante un controllo psicologico pianificato, dove qualsiasi capacità di ristorarsi all’esperienza di trascendenza viene negato; grazie a Voegelin però possiamo ribadire che il salto nell’essere non è un salto fuori dall’esistenza e l’ordine autonomo di questo mondo rimane quello che è, anche quando l’unico Dio trascendente opera nella storia, nella società e nell’uomo.

La restaurazione cultuale dell’ordine divino cosmico diventa la trasfigurazione del mondo e viene cristallizzata nell’esistenza stessa e il mutamento è dovuto all’elemento della “conoscenza” riguardante il disegno divino, quindi è la stessa “conoscenza” che collega Dio nella rivelazione del suo mistero all’uomo come un capo che ha un progetto e man mano lo rivela ai suoi subalterni; mentre il populismo odierno intende il mistero in modo differente, cioè inspiegabile, proprio perché per loro la ragione esclude quello che non comprende, in un costante antagonismo tra il popolo e i suoi  nemici. Il populismo pone nello spazio sociale la contrapposizione tra “noi-popolo” e “loro-gli altri”, secondo il paradigma “Dio è con noi e non con loro”, dando priorità alle aspettative del popolo, che viene assecondato, indipendentemente da ogni valutazione di contenuto od opportunità, in funzione solo dell’ottenimento di consenso, attraverso forme di propaganda che potrebbero falsare la realtà e il mondo in cui viviamo.

[impiegato, catechista degli adulti, Locorotondo, Bari]

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