Entra Kamala, di Ugo Tramballi

Era una carneade. Ora potrebbe entrare nella storia americana come prima donna alla Casa Bianca e la presidente che ha liberato il paese da Donald Trump, sebbene non dalle ideologie che hanno generato il trumpismo.
Un mese fa Kamala Harris viveva all’ombra di Joe Biden. La sua breve candidatura alle primarie democratiche del 2020 era stata un fallimento. Nonostante questo, Biden la scelse come sua vice. Non per i sei anni da procuratrice generale della California né per i quattro da senatrice a Washington, entrambe le cariche assolte positivamente. Per togliere la presidenza a Trump, ai democratici serviva un vice che fosse donna e di origini afro-americane.
Sono le qualità anagrafiche più che politiche, che avevano fatto di lei la 49^ vicepresidente degli Stati Uniti. Come per i suoi predecessori quando va bene, la carica per lei è stata un investimento sul futuro, non un serio impegno quotidiano. Il presidente è una specie di dittatore democratico che costringe il numero due a vivere alla sua ombra. Eventualmente è un “designated survivor”, nel caso dovesse accadere qualcosa a Potus (l’acronimo col quale i servizi segreti chiamano the President Of The United States).
Una volta di più è stato Joe Biden ad aver determinato la carriera di Harris, decidendo di ritirarsi dalla corsa al secondo mandato. Finalmente ma con un ritardo che non ha dato tempo al partito democratico di incominciare la tradizionale campagna di selezione fra diversi candidati.
Se nel 2020 Kamala Harris aveva fallito le primarie, nel 2024 le primarie non le ha fatte per niente. E oggi è la candidata alla presidenza, la favorita.
E’ la natura del sistema politico americano, rapido nelle sue dinamiche: la carica definisce la personalità politica e fino a che non la si ottiene si può essere niente o diventare tutto. La gran parte delle democrazie, soprattutto in Europa, sono parlamentari. Il partito che vince più seggi forma il governo e il leader del partito vincitore diventa primo ministro. Quest’ultimo non è scelto dalle primarie o dal caso come Harris: è quasi impossibile che diventi premier chi non ha speso anni in un ruolo di comando del suo partito. In America fra un’elezione e l’altra i partiti quasi smettono di esistere.
Perfino un evento di forte impatto come l’attentato a Trump in Pennsylvania, accaduto quaranta giorni fa, è stato quasi dimenticato dagli elettori. I sondaggi che garantivano la sconfitta certa della gerontocrazia democratica di Biden, oggi danno Kamala vincente anche nella maggioranza degli stati più incerti.
Nella raccolta di denaro, in America così determinante per la vittoria, la candidata democratica raccoglie 500 milioni di dollari ogni 15 giorni. A fine maggio, nelle 24 ore successive alla condanna per 24 reati, la campagna elettorale di Trump aveva raccolto 52,8 milioni di dollari. A luglio, nelle prime 24 ore da candidata presidenziale, Harris ha ricevuto 81 milioni.
Questo non significa che la democratica abbia la vittoria in mano: l’onda del vantaggio elettorale in America non è quasi mai lunga. Nell’agosto 2016 Hillary Clinton era davanti a Trump con un margine più ampio di quello di Kamala Harris. La grande copertura mediatica delle convention e l’interesse che vi si concentra, aiuta sempre il partito che la organizza a raccogliere consensi. Spesso di breve durata. Per capire la reale forza di Harris saranno decisivi i confronti televisivi con l’avversario.
I media sono alla ricerca quotidiana della “Harrisnomics” o della sua politica estera: cosa farà con Israele e Gaza, con l’Ucraina o la Cina. Posto che quattro anni di presidenza siano sufficienti per realizzare una dottrina economica o la bussola per guidare l’America in un mondo così complicato, questo è il momento della campagna elettorale: è quando un candidato non fa filosofia ma cerca voti in quelle categorie di elettori dove pensa di trovarne.
Una cosa sembra tuttavia già chiara. In un saggio sulla rivista Foreign Affairs, l’ex segretaria di Stato Condoleezza Rice individua i “Quattro nuovi cavalieri dell’apocalisse: populismo, nativismo, isolazionismo e protezionismo”. Sappiamo come Trump li voglia affrontare: cavalcandoli. Harris vi si opporrà. E’ presto per capire come, ma questo per il momento può bastare.

ugotramballi.blog.ilsole24ore.com/2024/08/25/entra-kamala/

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