Per chi non se ne fosse accorto: è tornato THE DONALD!! Con due punti esclamativi e in stampatello maiuscolo. Il maestro del caos, delle esternazioni provocatorie, è di nuovo in mezzo a noi. In mezzo, letteralmente: al centro del palcoscenico, con la capacità di imporsi all’attenzione dei media, di ipnotizzare le opposizioni, di scatenare reazioni perfino tra molti governi esteri. Proprio come nel periodo in cui fu alla Casa Bianca per il suo primo mandato, dal gennaio 2017 al gennaio 2021.
Ricordate le tempeste di tweet che partivano alle cinque del mattino? Oppure, più di recente, durante la campagna elettorale del 2024. Nonostante l’età che avanza, si direbbe che lui abbia conservato la stessa padronanza dell’arte dello spettacolo, lo stesso dominio del discorso pubblico: costringe tutti a parlare di quello che vuole lui.
E noi, che cos’abbiamo imparato, se abbiamo imparato qualcosa? L’esperienza del 2017-2021 dovrebbe ricordarci che esiste una relazione abbastanza tenue fra quel che dice e quel che fa. Si diverte a scatenare fuochi d’artificio quotidiani, del tipo «invado la Groenlandia, invado Panama», e si gusta lo spettacolo delle reazioni. «Si potrebbe andare tutti al tuo funerale – cantava Enzo Jannacci, su un testo a cui aveva contribuito Dario Fo – per vedere di nascosto l’effetto che fa». Oppure ancora, «si potrebbe andare tutti allo zoo comunale e gridare aiuto aiuto è scappato il leone», sempre «per vedere di nascosto l’effetto che fa».
Si può discutere se sia questo il modo per governare una superpotenza mondiale, divertendosi a «vedere l’effetto» delle proprie parole. Ma dettare l’agenda quotidiana ai media, all’opposizione, a certi governi stranieri, ha una sua logica e qualche utilità. Nel 2017 il nordcoreano Kim mise in pausa certi test nucleari e missilistici dopo che The Donald aveva minacciato di distruggerlo in una tempesta di fuoco «per vedere l’effetto che fa». Qualche esempio più recente. Mancano ancora undici giorni al suo insediamento a capo dell’esecutivo, ma già Trump ha incassato dei risultati. Il premier del Canada, che gli stava sulle scatole, toglie il disturbo. Le cause della caduta di Justin Trudeau sono tante e si accumulavano da tempo, però un elemento scatenante alla fine è stata la spaccatura dentro il suo governo su come affrontare la minaccia dei dazi di Trump. Fuori uno.
Il presidente di Panama gli ha già offerto ampia cooperazione per chiudere una via di transito all’immigrazione illegale. Se pensate che ci sia qualche relazione con le minacce sul Canale, avete ragione voi.
E a proposito dello Stretto di Panama: negli Stati Uniti molti hanno ironizzato sulle accuse di Trump secondo cui le navi battenti bandiera Usa pagano tariffe troppo esose per attraversare un Canale costruito dagli stessi americani. Però un’inchiesta del New York Times riconosce che la Cina ha conquistato la gestione operativa di alcune infrastrutture strategiche in quell’area, suscitando timori a Washington che erano già affiorati sotto l’Amministrazione Biden. Dietro il caos che caratterizza la comunicazione trumpiana, c’è spesso «una logica in quella follìa», secondo il detto shakespeariano.
Sul tema dell’immigrazione, inoltre, ieri Trump ha incassato il suo primo successo politico casalingo: ben 48 deputati democratici si sono schierati con i repubblicani alla Camera, votando a favore di un disegno di legge che vuole facilitare espulsioni e rimpatri di immigrati clandestini qualora abbiano commesso reati. Questo – non il futuro della Groenlandia – è uno dei terreni su cui l’elettorato alla fine giudicherà il Trump Due; insieme con la crescita economica, l’occupazione, l’inflazione.
Gli ultimi mesi della campagna elettorale 2024 dovrebbero aver lasciato in eredità qualche insegnamento, sulla distanza fra il chiasso dei social e l’umore del paese reale. Quei mesi sembrarono traboccare di scandali e gaffe, in una escalation fra il grottesco e lo spaventoso. Come dimenticare l’accusa lanciata da Trump nell’unico duello tv contro Kamala Harris, sui richiedenti asilo da Haiti che mangiano cani e gatti in una cittadina dell’Ohio? Per giorni, per settimane, sembrò che Trump si fosse giocato la Casa Bianca con quella ridicola fake news. Poi ci fu lo scandalo di un comico che aveva insultato i portoricani, poco prima che Trump prendesse la parola al Madison Square Garden di New York. Anche quello fu definito un incidente «fatale». Irrilevanti tutti e due, invece. Alla prova dei fatti, il 5 novembre Trump aumentò perfino i suoi consensi tra i portoricani…
I cittadini sembrano meno ossessionati dai social e dagli endorsement di Taylor Swift, più attenti invece ai cosiddetti “fondamentali”: in cima ai quali figurano appunto lo stato dell’economia, il potere d’acquisto delle famiglie, il loro senso di sicurezza, l’ordine pubblico, la fiducia nel futuro della nazione.
Per quanto riguarda l’universo dei social media, un altro successo concreto incassato da Trump contro un suo ex-nemico, è arrivato con l’annuncio di Meta-Facebook, che smantella la sua commissione anti-fake news. Per i democratici, che da anni avevano in Mark Zuckerberg un sostenitore, quella burocrazia interna a Facebook incaricata di dare la caccia alle bugie era un baluardo contro la disinformazione. I repubblicani l’avevano denunciata come una censura a senso unico, che cancellava da Facebook solo le opinioni conservatrici. Zuckerberg ha regalato un’altra vittoria anticipata a Trump, con undici giorni di anticipo sull’Inauguration Day. Ma è una vittoria soprattutto sul piano dei simboli. Perché il comitato anti-fake news era all’opera durante l’ultima campagna elettorale, e non sembra aver avuto un impatto determinante sugli elettori.
La capacità di Trump di alzarsi ogni mattina (presto) e dettare l’agenda ai media, ai social, all’opposizione, a qualche governo straniero, sembra esercitarsi appieno soprattutto dentro la sfera delle democrazie. Xi Jinping, Putin, Khamenei, non reagiscono di scatto ad ogni sua esternazione. Al contrario stanno abbottonati e coperti, nell’attesa di vedere che cosa farà sul serio, The Donald.
Hanno appreso a mantenere le distanze dal gioco del caos comunicativo. O almeno, vogliono dare l’impressione di mantenere il loro sangue freddo, e giudicare solo i fatti. Loro hanno il vantaggio di dominare i propri media. Sembrano anche aver imparato che Trump usa il chiasso per lavorare sui nervi altrui, sulle aspettative, sulle reazioni emotive.
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