Dal potere di Gesù al nostro, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 16-20 – Trinità B).

Colpiscono molto le parole del Signore: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”. La parola potere non è affatto comoda. Abbiamo tante ragioni, storie ed esperienze, per dubitare di coloro che esercitano il potere, spesso iniziando anche con proclami di buone intenzioni, ma poi diventando dispotici, corrotti e cattivi, persino nella comunità cristiana. E così, spesso, il potere diviene una specie di tabù. Una realtà in cui si immersi, per un motivo o per un altro, ma si ha ritrosia, vergogna, fastidio o paura a parlarne…

Il potere, Gesù, lo ha e certamente non è quello umano: viene dal Padre ed è la forza della sua missione. I poteri umani spesso, molto spesso, hanno ben poco della bontà di Dio. Un buon modo per purificare i poteri umani, i nostri piccoli o grandi poteri della vita è quello – come insegna Guardini – “di riflettere sul significato del potere e sul suo fine”. Il significato profondo del potere di Gesù è il piano del Padre. Egli opera perché il Padre opera in lui e per mezzo di lui (Gv 5). Non c’è nessuna autoreferenzialità o mania di grandezza nel potere Gesù: è pura obbedienza e docilità al Padre. E il fine del suo potere è ancora quello del Padre: salvare tutti, operare misericordia e promuovere riconciliazione.

Mi chiedo spesso, guardando le scene nostrane di potere (e non solo) se i cattolici, attualmente impegnati in politica, come quelli che hanno potere nella Chiesa, o in altre istituzioni, siano consci di questa particolare testimonianza: considerare il potere come un dono affidatoci per fare del bene. Ora, dal giorno della sua ascensione al cielo, il potere di Gesù è dato a noi: possiamo fare discepoli nel suo nome. Possiamo continuare la sua opera perché ci assicura: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Di fatti, in questo caso come in tutti gli altri, non abbiamo nessun potere che non ci sia stato dato. Lo ricorda Gesù a Pilato: “Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto” (Gv 19). Siccome Gesù ci da un potere, allo stesso modo può anche togliercelo. Non è scritto da nessuna parte che godiamo del suo potere sempre. Molte volte il Signore lo ritira da noi. Quando? Quando operiamo per noi e non per Lui, nel nostro nome e non nel suo nome, per la nostra gloria e non per la Sua. Tutto ciò non ci permetterà di varcare il Cielo dove Gesù è asceso. 

Ha scritto Dietrich Bonhoeffer: “Un’autorità autentica sa di essere legata in modo strettissimo alla parola di Gesù: «Uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). La comunità non ha bisogno di personalità brillanti, ma di fedeli servitori di Gesù e dei fratelli. Non le mancano elementi del primo tipo, ma del secondo. La Chiesa darà fiducia solo al semplice servitore della parola di Gesù, perché sa di non esser guidata in questo caso dalla saggezza e dalla presunzione degli uomini, ma dalla parola del buon pastore. Il problema della fiducia spirituale, così strettamente connesso a quello dell’autorità, è deciso dal criterio della fedeltà nel servire Gesù Cristo, non in base alla disponibilità di doni straordinari. Si può riconoscere autorità nella cura pastorale solo al servitore di Gesù Cristo, che non cerca autorità per sé, ma che si inchina all’autorità della Parola, come un fratello tra i fratelli”.

Rocco D’Ambrosio

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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