Diverse persone ragionevoli si oppongono, per fortuna, all’ipocrisia di tanti commentatori che propugnano le loro tesi come se la vicenda israelo-palestinese fosse cominciata il 7 ottobre 2023. Ancora troppe propugnazioni cominciano con “ma ora!”, oppure “dopo questo orrore!”, “in questo momento!” o diventano subito irridenti verso qualunque sforzo, di quelle persone ragionevoli, di riflettere. Si vorrebbe che tutto parta da “questo momento”.
Mi sono dunque concentrato esattamente su questo momento, su ciò che avviene nella striscia di Gaza ora mentre scrivo, e presumibilmente starà ancora accadendo quando leggerete. Che cosa sta accadendo “ora”?
Chiedo soccorso a un Autore che scelgo a bella posta perché è certamente detestato dai fondamentalisti di ambo i campi, e così spero che sia amato dai ragionevoli delle due bandiere: Baruch Spinoza enuncia con semplicità nella Proposizione 40 della sua Etica (parte terza, capitolo sulla origine e natura degli affetti) che “Chi immagina di essere odiato da qualcuno e ritiene di non avergliene dato alcun motivo, lo avrà in odio a sua volta.”
Sembra troppo semplice, ma parto da lì per provare a entrare nello stato d’animo in cui oggi vivono in Medio Oriente… tutti. E se non entriamo in quello – lo stato d’animo – non possiamo neanche trovare ascolto per suggerire parole buone (ammesso che abbiamo, noi europei con la nostra scialba Commissione, parole per le quali chiedere ascolto).
Ora nel XXI secolo tutti laggiù immaginano, e non si sbagliano, di essere odiati da qualcuno, e quel che è terribile è che buona parte di tutti loro, da ambo i lati, e tra questi tutti quelli che hanno un potere da un lato o dall’altro, immaginano di “non avergliene dato alcun motivo“.
In questa situazione la Proposizione 40 aiuta ad attraversare velocemente – non si dovrebbe, ma è per cominciare – i cento anni di storia che chiedono di essere studiati bene per decidere non tanto chi ha cominciato, chi ha dato il primo motivo di odio, quanto per capire bene in che cosa siamo immersi oggi. Un oggi nel quale il tratto distintivo delle violenze in Medio Oriente è che l’azione odiosa di ciascuno si rivolge verso qualcuno che concretamente non gli ha fatto nulla. Il motivo ci viene spiegato a partire da un’altra Proposizione del grande eretico ebreo (eretico secondo la sua Sinagoga che gli inflisse il cherem, cioè la scomunica, nel 1656). È la Proposizione 46: “Se uno è stato affetto da un altro, di una classe o di una nazione diversa dalla sua, con una Letizia o con una Tristezza, accompagnate, come causa, dall’idea di costui considerato sotto il nome universale della classe o della nazione, non solo odierà o amerà costui, ma tutti quanti della stessa classe o nazione.”
E con la Proposizione 46 ci viene così data – 350 anni fa – una spiegazione, o forse solo una limpida constatazione (Spinoza potete considerarlo alla stregua di un fondatore primordiale della psicologia dei comportamenti) del razzismo ancor oggi vivo e operante. La Proposizione 46 ci spiega con quale stato d’animo un assassino di Hamas di cui non sappiamo neanche il nome è passato di corpo in corpo il 7 ottobre odiando “tutti quanti della stessa nazione” del colono israeliano che – per esempio – il 4 agosto ha ucciso il suo cugino, o parente, o amico Qusai Jamal Maatan, di 19 anni, a Ramallah. E come lui ognuno di quei duemila manovali dell’assassinio ha il suo connazionale ucciso a Ramallah nel 2022 (un fratello?) o a Sabra o a Shatila nel 1982 (una madre?) o Lidda/Lod nel ’48 (un nonno?).
E la Proposizione 46 ci spiega anche perché nessun pilota dei caccia che stanno bombardando Gaza è riuscito a praticare l’esortazione suggerita da Fabrizio De André nel suo Girotondo – 300 anni dopo Spinoza – quando si chiede chi ci salverà e, sconfortato dall’inanità dei progressi umani, si risponde, da poeta e non da filosofo, “ci salva l’aviatore che la bomba non getterà”. Anche l’aviatore passa, però a velocità subsonica e quasi non se ne accorge, passa di corpo in corpo su persone che non hanno fatto niente. Anche lui, un pilota che ha studiato e ha ricevuto una formazione della quale possiamo immaginare cose non lontane da noi, e con le quali possiamo spesso simpatizzare, una formazione ben diversa da quella ricevuta dall’assassino di cui sopra (continuo a usare questa denominazione – assassino – perché come sapete ha una radice araba che indica esattamente lo spossessamento delle facoltà razionali in chi uccide). Anche lui, il pilota, ufficiale militare di uno stato simile al nostro, composto e presente a se stesso, anche lui ha i suoi morti a Monaco nel ’72 (uno zio?), o a Tel Aviv appena questo agosto (un fratello?), o il suo piccolo connazionale Stefano Gaj Taché, un bambino ebreo ucciso a Roma nell’ottantadue che poteva essere un suo parente, anche lui condivide con quell’assassino un sentimento collettivo che Spinoza stigmatizza in un altro capitolo della parte terza dell’Etica – definizioni degli affetti – e siamo così arrivati al punto.
La Definizione 37 enuncia che “la Vendetta è il Desiderio dal quale siamo incitati, per Odio reciproco, a far del male a chi, con uguale affetto, ci ha recato danno.” E si affretta a rimandarci a un suo “scolio” (cioè un commento, un’aggiunta) di qualche pagina indietro per precisare che “… lo sforzo di ricambiare il male inflittoci si chiama Vendetta“.
Vendetta. Una precisazione di tre secoli fa che ci aiuta a dare il giusto nome a ciò che vediamo agire sul campo oggi. Il passare del tempo, con l’avvicendarsi di due generazioni di palestinesi e israeliani (generazioni che diventano almeno tre o forse quattro se contiamo gli anni dallo sbarco del sionismo, prima meditato solo letterariamente nelle pagine di Theodor Herzl, sul terreno sabbioso della Palestina) ha tolto a tutti in quel campo la residua libertà di sentimento e li ha imprigionati in una ormai infinita catena di vendette. Ciò a cui assisto, ciò a cui assisto io che scrivo, in questo momento, è un ennesimo atto di vendetta. E la vendetta è quanto di più esecrabile ci viene additato nelle scuole che ho frequentato, nella famiglia che mi ha educato, nelle leggi e nei tribunali e nelle costituzioni – tutte le costituzioni – di quella “civiltà” che si pretende di difendere astrattamente nel momento stesso in cui si chiudono gli occhi sulla realtà delle stragi in corso: una vendetta con gli aerei da caccia fa seguito oggi a una vendetta coi deltaplani consumata il 7 ottobre per vendicare un’altra vendetta… ma che cosa ha trasformato il processo di formazione di due stati democratici – risoluzione ONU del 1947 – in una catena di vendette?
Sulle cause di questo degrado di un processo civile in barbara faida diranno altri, direte voi, e Spinoza non ci soccorre, anzi: ci sgomenta soltanto constatare che per descrivere comportamenti di questi anni, di questi giorni, va ancora bene una filosofia ripetuta da almeno tre secoli a un’umanità sorda. Dov’è la politica contemporanea? Tra le alte istituzioni sembra rimasta soltanto l’ONU, nel suo segretario Antonio Guterres, a dire chiaro quello che bisogna pretendere oggi: Israele fermi la sua mano vendicativa. Vita per la gente di Gaza! Abbiamo un governo in Italia, una Commissione in Europa, c’è qualcuno in grado di chiedere questo? In grado di chiederlo credibilmente e di saperlo garantire? Forse non c’è, per un motivo: perché la richiesta sia credibile occorrerebbe la certezza che chi la pronuncia non si dimentichi (o non si venda) la Questione Palestinese la settimana seguente.
economista, dottore in filosofia
Bibliografia: Baruch Spinoza – “Etica” e “Trattato teologico-politico“- UTET 1997 – A cura di Remo Cantoni e Franco Fergnani – Nella collana Classici della filosofia fondata da Nicola Abbagnano, diretta da Tullio Gregory. Pag. 225 e segg.