Cittadinanza ai minori stranieri, le “seconde generazioni” non s’arrendono, di Diego Motta

Dare cittadinanza a chi si sente italiano, ma è considerato straniero in patria. L’impegno dei figli di stranieri nati e cresciuti nel nostro Paese va avanti, nonostante piccole e grandi discriminazioni, nel silenzio di buona parte delle istituzioni. Sono le nuove generazioni (così preferiscono essere chiamate) che hanno intrapreso negli anni scorsi una lunga marcia, mettendo insieme storie, percorsi e nazionalità diverse. Il traguardo resta lontano, ma sulla via stanno emergendo novità.
Il 2025 si è aperto con la chiusura netta della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, a una revisione delle norme sul tema, fissate nella legge 91 del 1992, insieme alla promessa però di intervenire sui tempi d’attesa per chi inizia l’iter legale. L’attesa adesso è per il pronunciamento della Corte Costituzionale sull’ammissibilità del referendum abrogativo, che si propone di dimezzare il requisito della permanenza nel nostro Paese da 10 a 5 anni (la Consulta dovrà decidere anche sui quesiti relativi all’autonomia differenziata e al Jobs act). L’appuntamento è fissato per lunedì 20 gennaio e i promotori dell’iniziativa, tra cui diverse sigle del mondo giovanile straniero, non nascondono di vedere in un eventuale via libera dei giudici (tutt’altro che scontato) la soluzione per tornare a parlare di una riforma e per aprire un dibattito che finora è mancato nel Paese.

La via della consultazione
«La proposta referendaria è stata il frutto di un lavoro che era iniziato da tempo» racconta Noura Ghazoui, presidente del Conngi, il Coordinamento nazionale nuove generazioni italiane. Il riferimento è al cammino fatto nell’ultimo decennio, quando diverse sigle del mondo dei giovani migranti hanno deciso di mettersi insieme, per fare rete e presentarsi unite davanti alle istituzioni. In un confronto pubblico che ha avuto (pochi) alti e (molti) bassi, la scelta di muoversi facendo squadra è stata quasi obbligata. «Sono rimasta delusa dalle parole della premier – spiega Noura – perché mi aspettavo segnali di minima apertura verso ragazzi che vivono quotidianamente l’Italia nella scuola, nelle amicizie e nel lavoro. Crediamo non sia più il tempo dei diritti negati. Il presidente Mattarella ha più volte invitato a costruire cittadinanza e noi ci ritroviamo in questa visione». Nel frattempo, le comunità straniere che hanno a cuore la battaglia per lo Ius Soli e lo Ius Scholae e che guardano con interesse anche alla proposta lanciata recentemente dello Ius Italiae, hanno deciso di fare un pezzo di strada insieme, trovando appoggi anche nei palazzi della politica. «C’è un tavolo sulla cittadinanza, con un’interlocuzione aperta anche con il Tavolo Asilo – spiega Daniela Ionita, referente di Italiani senza cittadinanza -. Poi è nato un intergruppo parlamentare presieduto dalla parlamentare del Pd, Ouiddad Bakkali, con 40 tra deputati e senatori. Chiediamo di essere riconosciuti come italiani e di poter dire la nostra». Le speranze sono riposte in particolare sulla decisione che tra otto giorni dovrà prendere la Corte Costituzionale. Avere messo sul tavolo l’ipotesi concreta di una consultazione su questo tema è un merito che va ascritto alla mobilitazione inedita di centinaia di migliaia di persone, tra influencer e gruppi, che hanno promosso la raccolta firme sui social e online, nei mesi di agosto e settembre. La richiesta del comitato referendario prevede la riduzione da 10 a 5 gli anni come tempo di residenza legale in Italia necessario per poter avanzare la domanda di cittadinanza italiana che, una volta ottenuta, sarebbe automaticamente trasmessa ai propri figli minorenni.
«Questa semplice modifica rappresenterebbe una conquista decisiva per la vita di molti cittadini di origine straniera (secondo le stime si tratterebbe di circa 2.500.000 persone) che, in questo Paese, non solo nascono e crescono, ma da anni vi abitano, lavorano e contribuiscono alla sua crescita – spiegano i promotori del referendum -. Partecipare agevolmente a percorsi di studio all’estero, rappresentare l’Italia nelle competizioni sportive senza restrizioni, poter votare, poter partecipare a concorsi pubblici come tutti gli altri cittadini italiani. Diritti oggi negati».

Dentro la società civile
Proprio in questi giorni, è tornata a farsi sentire anche la società civile: sono diverse le organizzazioni che affiancano ragazzi italiani e stranieri in percorsi di integrazione e accoglienza, cercando di garantire l’inserimento dei giovani immigrati, unica via possibile per garantire anche sicurezza nei quartieri soprattutto delle grandi città. In particolare, il cartello di associazioni “Link 2007 – Cooperazione in rete” in cui sono confluite realtà impegnate nel volontariato e nella cooperazione internazionale come Cesvi, Cuamm, Amref, Soleterre, Intersos, Lvia, WeWorld, ha presentato un documento dal titolo “Né stranieri né italiani. Cittadini sospesi”, in cui attraverso dati, analisi e proposte, si cercano soluzioni condivise, sulla base dell’esperienza quotidiana e al di là delle barriere ideologiche. I dati infatti dicono che oltre il 65% degli studenti stranieri è nato in Italia, ma la normativa del 1992, basata sullo Ius sanguinis, li considera stranieri. «Salvi i casi di naturalizzazione di un genitore, la cittadinanza è accessibile solo al compimento dei 18 anni, con procedure burocratiche che non facilitano. Questi giovani vivono un limbo identitario: si sentono italiani ma non sono riconosciuti come tali. Questo alimenta frustrazione e distacco» sottolinea il dossier.
Anche sul piano economico e sociale, il tema della cittadinanza è cruciale. «I lavoratori stranieri rappresentano il 10,1% della forza lavoro e contribuiscono per quasi il 9% al Pil italiano. Tuttavia, il senso di esclusione e il limbo identitario (che mortificano minori e adulti) rischiano di spingere anche molti giovani con background migratorio, formati in Italia, a cercare opportunità all’estero, privando il Paese di talenti e competenze preziose».
A ottobre era stato il Censis ad evidenziare in uno studio come il contributo alla natalità e alla scuola della popolazione immigrata fosse ormai decisivo, a completare così il quadro sulla necessità di una cittadinanza riconosciuta a 360 gradi.
«Il nostro impegno – spiegano Noura e Daniela – continuerà in ogni caso. Ci sentiamo italiani da sempre e non vogliamo che tanti altri nostri coetanei rimangano nel limbo. Per questo, occorre lavorare sulla percezione del fenomeno migratorio in chiave positiva. Siamo solo all’inizio».

avvenire.it/attualita/pagine/cittadinanza-la-partita-non-e-chiusa-ora-speriam

PRESENTANDOCI

Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.


 

 

VOLONTARI CERCANSI

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Cerchiamo giovani che desiderano fare domanda per i nostri progetti, evidenziare sui siti la ricerca dei volontari, promuovere incontri informativi.

Al seguente link trovate tutte le schede sintetiche dei progetti finanziati promossi da CIPSI e pubblicati sul nostro sito, anche quello di Cercasi un fine:

Progetti ITALIA: https://www.cipsi.it/2024/12/progetti-scu-cipsi-italia-2024-candidati-con-noi/ oppure progetti ESTERO (sempre nello stesso sito)

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