Che fine ha fatto l’umiltà?, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
(Mc 9, 30-37 – XXV TO/B).

E chi di noi non vuol essere “grande”?! “Grande” in tutti i sensi, o almeno in qualcuno di essi. Forse tutti vogliamo essere grandi, almeno per un momento. Ma forse c’è qualcuno che si salva ed è naturalmente umile e non vuole essere grande. Forse lo è diventato umile, piccolo, ma anche lui – forse – in qualche momento ha sognato e desiderato di essere grande. Anche gli apostoli: “per la strada avevano discusso tra loro chi fosse più grande”. Forse anche Francesco d’Assisi lo ha desiderato, ma poi è diventato piccolo tra i piccoli.

Sentirsi e/o voler essere i primi è un sentimento così naturale, quasi istintivo. Si chiama connaturale orgoglio o superbia: “niente di nuovo sotto il sole” (Qoelet 1, 9). Nel brano evangelico la discussione sui “diritti di grandezza” segue un annuncio importante: Gesù va verso Gerusalemme per subire la passione e morte, e poi risorgere. MI ha sempre incuriosito la domanda: è stato questo annuncio sconvolgente a generare la discussione sul più grande? Oppure altro? Non lo sapremo mai…

Anche se non possiamo rispondere a queste domande, certamente possiamo affermare che il Signore Gesù propone un modello di vita che non è quello discusso dai discepoli: il suo stile umile e mite non ha niente a che fare con la superbia e il gareggiare per essere primi. E i passi evangelici sono così tanti da dimostrare il tutto come una verità di fede: chi segue Gesù lo deve imitare nella sua umiltà e capacità di essere “l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Gesù, “essendo di natura divina” (Fil 2) si è fatto umile, ultimo. Era nella sua natura spogliarsi della grandezza, farsi ultimo. Per noi no. Non è nella nostra natura, che è l’esatto opposto. E’ solo un frutto di un lungo e faticoso cammino, è pura autoeducazione (per gli adulti) ed educazione dei piccoli e dei giovani. Una rude fatica. 

Nella vita basta poco per lasciarsi andare, montarsi la testa, cercare i primi posti e disinteressarsi degli altri. Nella Chiesa cattolica, parlo di quella italiana soprattutto, negli ultimi decenni, ci siamo lasciati andare parecchio, con l’aggravante di tanta falsa umiltà che nasconde una superba ricerca di titoli e nomine di ogni tipo, da parte sia di pastori che di fedeli laici. Ma anche il mondo attorno a noi non è da meno.TV e social sono, spesso, l’esposizione universale della superbia, vanità, vanagloria e spocchia di molti. A volte non si sa se ridere o piangere. 

Il pubblicizzare se stessi, il self promoting, direbbe un mio amico statunitense, è ormai uno sport nazionale: i social sono pieni di foto del piatto che ho preparato (il più gustoso al mondo), del commento sociale o politico che ho diffuso (il più saggio del globo), la foto di mio figlio (il più bello del mondo) e cosi via. Ma c’è ancora qualcuno che dice “si per grazia di Dio so fare questo anche se ho ancora molto da imparare…”? No, tutt’altro: siamo circondati da grandi genitori, grandi divi, grandi cuochi, grandi politici, grandi calciatori, grandi scienziati, grandi giornalisti, grandi politici…Se non chi parla, certamente i miei figli o amici o conoscenti. Perché, secondo qualcuno, si diventa grandi anche per “contatto” o conoscenza di grandi, veri o presunti tali. Uno spettacolo molto spesso ridicolo quanto stucchevole. Meno male che il Padre eterno ci vuole veramente bene e non ci manda tutti a quel paese per i quintali di superbia e spocchia che spargiamo nel mondo.    

Sull’umiltà ha scritto Thomas Merton, un grande maestro del ‘900, in uno dei più bei libri di vita spirituale che abbia mai letto, “Semi di contemplazione” (Garzanti). Ne riporto solo alcuni spunti “l’umiltà consiste precisamente nell’essere quello che realmente sei davanti a Dio, e poiché non ci sono due persone uguali, se hai l’umiltà di essere te stesso non sarai simile a nessun altro in tutto l’universo. (…).

L’uomo umile prende quanto nel mondo lo aiuta a trovare Dio e lascia da parte il resto. 

Egli è in grado di comprendere chiaramente che ciò che è utile per lui può essere inutile per chiunque altro e che ciò che aiuta gli altri a diventare santi lo può rovinare. Ecco perché l’umiltà ingenera un profondo raffinamento dello spirito, una pace, un tatto e un buon senso senza i quali non può esservi sana moralità. 

Non è umiltà insistere nell’essere qualcosa che non sei. E come dire che sai meglio di Dio chi sei e chi devi essere. Come puoi aspettarti di giungere alla meta del tuo viaggio se prendi la strada che conduce al paese di un altro? Come puoi aspettarti di raggiungere la tua propria perfezione conducendo la vita di un altro? La sua santità non sarà mai la tua; tu devi avere l’umiltà di costruire la tua propria salvezza in una tenebra dove sei assolutamente solo… 

Così occorre un’umiltà eroica per essere se stessi, per essere soltanto l’uomo, o l’artista, che Dio ha inteso tu fossi”. 

Rocco D’Ambrosio

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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