Sabato 27 maggio Sergio Mattarella salirà a Barbiana per ricordare don Lorenzo Milani a cento anni dalla nascita. Si chiude così, con la presenza del presidente della repubblica, il cerchio delle “riparazioni istituzionali” verso questo prete scomodo, che aveva visto papa Francesco salire su quella montagna nel giugno del 2017, a cinquant’anni dalla morte del priore.
Nel suo discorso il papa aveva ricordato “quella chiesa che lo aveva tanto fatto soffrire”, ma dobbiamo ricordare che anche lo stato non fu da meno nel contrastare e condannare le prese di posizione di quel prete persuaso che, su alcune questioni di fondo, l’obbedienza non fosse più una virtù.
Lorenzo Milani fu infatti processato per avere sostenuto le ragioni degli obiettori di coscienza che rifiutavano il servizio militare, rispondendo a un gruppo toscano di cappellani militari, che in un comunicato avevano sostenuto che l’obiezione fosse “un insulto alla patria e un atto di viltà”.
Dalla leva obbligatoria al servizio civile
Nel febbraio 1965 il priore di Barbiana legge sul quotidiano La Nazione di Firenze la presa di posizione di un gruppo di cappellani militari della Toscana e ne prende immediatamente spunto per discuterne con i ragazzi della scuola che aveva fondato su quella montagna, dove era stato esiliato nel dicembre del 1954 dal cardinale Florit.
Da quella lettura condivisa nacque la Risposta ai cappellani militari, primo testo di Lorenzo Milani che arriva al grande pubblico. “Auspichiamo tutto il contrario di quello che auspicate voi”, scrive in quell’occasione, criticando la dottrina dell’”obbedienza ad ogni costo”. Nella Risposta rivendica il diritto dei poveri a “combattere” i ricchi con “le uniche armi” che egli approva, “nobili e incruente”, vale a dire “lo sciopero e il voto”.
In quegli anni più di cento giovani, la maggior parte per ispirazione religiosa, erano stati reclusi per mesi e talvolta anni nel carcere militare di Gaeta per essersi rifiutati di imbracciare un fucile.
I giovani che rifiutavano con radicalità ogni contatto con le armi erano in maggioranza testimoni di Geova, anche se c’erano anche alcuni anarchici insieme a dei nonviolenti e socialisti. Il primo cattolico che rifiutò la leva fu Giuseppe Gozzini nel 1962, sostenuto da padre Ernesto Balducci, che per questo fu condannato dallo stato e fortemente attaccato dalla chiesa, come accadde qualche anno dopo a don Milani.
Per quella risposta pubblica Lorenzo Milani fu processato nel 1965 e dovettero passare più di sette anni perché si arrivasse, nel 1972, ad approvare la prima legge che consentiva di rifiutare la leva militare, allora obbligatoria, sostituendo l’anno di leva con due anni di servizio civile. Si deve tuttavia attendere fino al 1998 perché l’obiezione di coscienza sia riconosciuta non come beneficio concesso dallo stato, ma come diritto civile.
Nel processo che si tiene nel febbraio 1966 il pubblico ministero chiede otto mesi di reclusione per il priore e per Luca Pavolini, direttore di Rinascita, il settimanale del Partito comunista, unico giornale che pubblicò integralmente la Risposta di don Milani. In quel processo i due furono assolti, ma il pubblico ministero fece ricorso e, nel processo di appello dell’autunno 1967, arrivò una condanna a cinque mesi. Solo per Pavolini, tuttavia, perché don Lorenzo era morto pochi mesi prima senza essere stato assolto in via definitiva.
L’impegno a migliorare la legge
Ciò che ancora ci colpisce, a tanti anni di distanza, fu la capacità di don Milani di trasformare la sua presa di posizione riguardo all’obiezione di coscienza in una battaglia politica di ampio respiro e, contemporaneamente, in un tema attorno a cui fare scuola con i suoi ragazzi, sapendo intrecciare in modo limpido ed efficace la dimensione politica con la dimensione educativa..
In una lettera alla madre del 26 luglio 1965 scrive: “Mi piacerebbe sapere come si può impostare la difesa perché se sapessi che si può entrare nel merito dei fatti storici allora vorrei divertirmi da qui a ottobre a studiare solo storia coi ragazzi e arrivare là tutto verve nutrita di base storica documentata e spiritosa”.
Il 18 ottobre 1965 Don Lorenzo, non potendo presenziare al processo per motivi di salute, scrive una lunga Lettera ai giudici nella quale si legge: “Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. (…) E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede. (…) Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l’ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l’Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l’autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in contrasto con l’ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore”.
Lavorare per rendere migliori gli ordinamenti vigenti a partire dalla scuola, fu impegno che Lorenzo Milani intraprese con tutto se stesso. Non c’è città del nostro paese che non abbia una scuola a lui intitolata. Ma è più facile intitolargli una scuola che accogliere la radicalità delle sue posizioni e la capacità di educare sapendo andare alla radice delle ingiustizie, testimoniando con coerenza la propria obiezione a leggi inaccettabili. Assumersi fino in fondo le proprie responsabilità è infatti attitudine purtroppo rara in un paese come il nostro, propenso piuttosto all’accomodamento e al compromesso.
Eppure l’educazione civica, riproposta in tutti i gradi della scuola con una nuova legge tre anni fa, potrebbe nutrirsi delle discussioni che animarono quel passaggio fondamentale che permise a un gruppo di ragazzi di seguire passo passo e partecipare a pieno titolo al delicato ed entusiasmante processo dell’accompagnare e promuovere la trasformazione di una legge ingiusta, liberando per sempre le giovani generazioni dall’obbligo di trascorrere mesi della loro vita a formarsi per fare la guerra.
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