Invita la chiesa italiana ad «abolire il linguaggio della discordia e della divisione» e ad «avere parole di pace». Ricorda che la recente Dichiarazione del dicastero della Dottrina della Fede, Fiducia supplicans, sulla possibilità di benedire le coppie omosessuali è «un documento che si pone nell’orizzonte della misericordia, dello sguardo amorevole della Chiesa su tutti i figli di Dio, senza tuttavia derogare dagli insegnamenti del Magistero». E sottolinea che la «questione sociale è sempre anche una questione morale e – oserei dire – spirituale», perché, ricorda, «nella nostra società si assiste a una divaricazione sempre più ampia tra chi è povero e chi è benestante, le disuguaglianze sono aumentate e c’è come una cronicizzazione della povertà». Con una disuguaglianza di genere che è evidente e drammatica soprattutto nelle retribuzioni: «Non è ammissibile che le donne mediamente guadagnino meno degli uomini per le medesime mansioni. In generale, esiste nel nostro Paese un problema di riconoscimento della dignità delle persone e del loro lavoro, mal retribuito a causa di contratti precari e di lavoratori sfruttati».
Il cardinale Matteo Zuppi apre a Roma i lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, che si concluderanno mercoledì prossimo, offrendo «alcune riflessioni», come le definisce, «perché», nota, «credo che dallo scambio di opinioni, sentimenti ed esperienze può maturare una visione più aperta alla speranza della nostra realtà».
Zuppi tocca vari temi, dalla situazione della Chiesa italiana con le divisioni al suo interno dell’episcopato al rapporto con papa Francesco, dalla crisi delle vocazioni al ruolo degli insegnanti di religione, dal Giubileo del 2025, per il quale il Papa ha indetto per il 2024 un anno particolare di preghiera, fino alla delicata situazione internazionale guardando la quale, spiega, «non possiamo non esprimere forte preoccupazione per l’escalation di odio e violenza che, in Ucraina, in Medio Oriente e in moltissime altre parti del mondo, sta seminando morte e distruzione». E mentre invita a sostenere il magistero di pace di papa Francesco, ricorda l’iniziativa dell’accoglienza dei bambini ucraini, «che si sta realizzando grazie alla Caritas italiana» e che «può offrire una parola di pace concreta: può essere un’esperienza davvero evangelica perché rende possibile a tutti la solidarietà, genera legami di fraternità e si prende cura degli ultimi, di chi è piccolo e soffre per la guerra senza nemmeno sapere il perché».
Per spiegare il significato pastorale del Documento del Dicastero per la Dottrina della Fede sulla possibilità di benedire le coppie omosessuali, Zuppi fa sua la lettura che ne ha dato il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, in un intervento su Avvenire: «Non si tratta», dice Zuppi citando testualmente le parole di Betori, «di un ampliamento del concetto di matrimonio ma di un’applicazione concreta della convinzione di fede che l’amore di Dio non ha confini e proprio il suo operare è alla base del superamento delle situazioni difficili in cui versa l’uomo. Le benedizioni… sono “una risorsa pastorale piuttosto che un rischio o un problema”, un gesto che “non pretende di sancire né di legittimare nulla”, in cui “le persone possono sperimentare la vicinanza del Padre”». E ancora: «Pensare in questi termini la verità e il suo annuncio non toglie nulla alla sua integrità, ma rende consapevoli dello stretto nesso tra volontà salvifica di Dio e condizione storica dell’uomo». Questo, commenta Zuppi, «è il valore pastorale della verità cristiana, che è sempre finalizzata alla salvezza. Dio vuole che tutti siano salvi: è quindi compito della Chiesa interessarsi di tutti e di ciascuno. Non possiamo dimenticare che tutti i battezzati godono della piena dignità dei “figli di Dio” e, come tali, sono nostri fratelli e nostre sorelle».
Sul rapporto e il «legame speciale» che lega i vescovi italiani al Pontefice, Zuppi ricorda le visite ad limina (le visite che ogni cinque anni i vescovi compiono al Papa, ndr), in programma quest’anno, per invitare a «non lasciare solo il Santo Padre nel ministero di pace. La sua profezia è un valore unico per l’umanità. E, ancora di più, non possiamo e non vogliamo lasciarlo solo noi, vescovi italiani, che abbiamo con lui un rapporto non solo di prossimità geografica, ma di speciale vicinanza storica e spirituale».
Un altro tema di riflessione è la crisi della chiesa. Zuppi avverte che, al pari della società, anche la Chiesa italiana è attraversata da «un senso di declino, evidenziato da tanti indicatori negativi: i numeri decrescenti di vocazioni e praticanti, il diminuito rilievo della Chiesa. Il senso del declino si diffonde tra sacerdoti, cristiani, mentre una Chiesa troppo preoccupata, se non rassegnata, diventa poco attrattiva, soprattutto per i giovani».
Ma tutto questo, spiega, non deve indurre alla rassegnazione e all’apatia perché la Chiesa oggi «è chiamata a essere sé stessa con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante: chiamata dal Signore, dalla sete di senso e di fede di tanti, dal disorientamento di molti, dal bisogno dei poveri, dalla solitudine orgogliosa e disperata di parecchi, dalle inquietudini». Questo «non è solo il tempo della secolarizzazione, ma è anche il tempo della Chiesa! È il tempo della Chiesa, della sua forza di relazione, di gratuità. Non del declino, ma della vocazione a essere Chiesa di Dio! La Chiesa, con i suoi limiti, è un grande dono per noi e per l’umanità degli italiani».
Zuppi, però, invita a non dare della Chiesa letture sociologiche perché sarebbero fuorvianti e riduttive: «Ben altre sono le letture della realtà e del mistero della Chiesa», ricorda, «non facciamoci intimidire da una cultura per cui la fede è al tramonto! È la prepotenza del pessimismo, che pare realismo. Il pessimismo diventa una specie di sicurezza e motiva la pigrizia e l’abitudine. Non facciamoci intimidire da letture della Chiesa che interpretano la nostra azione come politica», avverte, «siamo aperti al dialogo, ma non ci lasceremo dire da altri quale sia il contenuto dell’azione caritativa o della missione, che non sono mai di parte, perché l’unica parte della Chiesa è Cristo e la difesa della persona, della vita, dall’inizio alla fine. Certe letture vogliono dividere vescovi e cristiani, mentre invece sento tanto viva la comunione tra vescovi e popolo e questo vale più dei like dei social».
Sulla crisi, o le difficoltà, della Chiesa di oggi, Zuppi invita ad avere uno sguardo più ampio e più memoria del passato quando ci furono situazioni analoghe: «Ci sono stati anni difficili anche in passato per le Chiese in Italia», afferma, «dopo il Vaticano II, quando la comunità pareva spezzarsi nella contrapposizione tra gruppi, vescovi e contestazione, la Chiesa praticò con fiducia una comunione inclusiva nell’ascolto mutuo». Cita il cardinale Poletti, vicario di Roma, «grande pastore, con un convegno sulle attese di carità e giustizia a Roma, chiamando in assemblea i romani nel febbraio 1974, proprio cinquant’anni fa. Fu un grande concorso di popolo. Il Vicario pose i cristiani di fronte alla povertà di Roma. Un gesto di sapienza pastorale e un messaggio: invece di dividervi e ignorarvi, parlate (e si tennero affollate assemblee di fedeli in cui tutti potevano prendere la parola), ma soprattutto ascoltate il grido dei poveri e delle periferie! Ci si preparava», ricorda ancora Zuppi, «al Giubileo del 1975, che molti sconsigliavano di indire, considerandolo trionfalistico, ma che Paolo VI volle e fu un grande evento di fede. Furono i primordi di un coraggioso metodo sinodale, seguito poi nel Convegno nazionale del 1976, il primo, Evangelizzazione e Promozione Umana, preparato da un documento curato dal segretario Cei, il Servo di Dio Enrico Bartoletti, che enunciava la forte affermazione: “Non sembra, perciò, eccessivo dire che l’Italia è un Paese da evangelizzare”».
Zuppi ricorda che «tale visione ha ispirato anni di programmi, azioni, scelte pastorali, nonostante il senso di crisi e di sconcerto di allora. Ricordo quei momenti difficili, che ho vissuto un poco quand’ero giovane e, oggi, comprendo come illuminati Pastori, a partire da San Paolo VI, non ebbero timore di predicare il Vangelo, di far parlare, di ascoltare, di convocare, consapevoli di essere un unico popolo di Dio, che aveva e ha una missione in Italia. Quei vescovi», spiega il cardinale, «ebbero coraggio, perché, in quegli anni, si scriveva che il cristianesimo stava per finire. Nello smarrimento, c’era contrapposizione di ricette per il futuro e forte incomunicabilità. Quei vescovi, la cui memoria è benedizione, ebbero fiducia nello Spirito che anima, raccoglie, ispira la Chiesa».
Zuppi ricorda a tutti i vescovi che per «essere profeti di speranza nella nostra terra dobbiamo assumere il peso delle sofferenze degli ultimi, aiutando, nel vicendevole rispetto dei ruoli ma anche nella necessaria collaborazione, anche chi governa a riconoscere le priorità nelle decisioni che riguardano il bene di tutti».
Infine, ricorda il recente via libera da parte del ministero dell’Istruzione al concorso per gli insegnanti di religione cattolica: «Saluto con piacere la firma lo scorso 9 febbraio dell’accordo tra Cei e Ministero dell’Istruzione e del Merito per il prossimo concorso degli Insegnanti di religione cattolica. Questi insegnanti – la stragrande maggioranza dei quali sono laici –comunicano a scuola i valori dell’Umanesimo cristiano. Sono i formatori delle prossime generazioni. A loro il compito ecclesiale e civile di educare alla pace, di educare alla legalità, di educare alla cultura, mostrando come il Cristianesimo ha contribuito a fondare i valori di libertà e rispetto dell’altro, che sono alla base della nostra società».
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