Al via la Cop29: come ci si arriva e di cosa si discuterà a Baku, di Andrea Barolini

Si apre oggi a Baku la ventinovesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop29. Un appuntamento sulla carta cruciale e decisivo, ma che segue una serie di summit che hanno, di fatto, portato il mondo a perdere anni di preziosissimo tempo. Soprattutto sul fronte della mitigazione dei cambiamenti climatici, almeno dal 2019 in poi, si è fatto davvero troppo poco.

Come sono andate le conferenze che hanno preceduto la Cop29 di Baku
La Cop25 di Madrid si è conclusa con un totale fallimento, la successiva Cop26 di Glasgow con tante promesse avanzate in pompa magna e puntualmente rivelatesi in gran parte greenwashing. Al contempo, in Scozia il mondo si è lacerato sulla questione della fine (phase out) o dell’attenuazione (phase down) dell’uso del carbone, la fonte fossile in assoluto più dannosa per il clima.
La Cop27 di Sharm el-Sheikh, in Egitto, ha preferito di fatto accantonare il tema della mitigazione concentrandosi sulla questione – pur assolutamente legittima – degli indennizzi che i Paesi più poveri e meno responsabili dei cambiamenti climatici devono ricevere dal mondo ricco per i danni e le perdite subiti (loss and damage).

La Cop28 giocata “in trasferta”
La Cop28 si è svolta poi in “terra nemica”: negli Emirati Arabi Uniti, una delle patrie della produzione petrolifera. E neppure sulla questione del phase out vs phase down dal carbone si è fatto alcun passo avanti. Si poteva ipotizzare che a Dubai si fosse più preoccupati di salvaguardare l’oro nero e che, per questo, si sarebbe concesso qualcosa sul carbone.
Invece, la mancanza di consenso è stata tale da costringere a cambiare vocaboli, optando per un transitioning away from fossil fuels. Che se da una parte abbraccia teoricamente tutte le fossili, dall’altra è una formula che, di fatto, vuol dire poco o nulla. Lasciato privo di date, impegni concreti, paletti, responsabilizzazione degli Stati, quello che può essere tradotto come «favorire un percorso verso l’abbandono dei combustibili fossili», o più semplicemente «una transizione dai combustibili fossili», quel transitioning away è una scatola vuota.
Esattamente come il fondo per il loss and damage, che per ora è stato istituto tra strette di mano e grandi sorrisi, ma i soldi promessi finora sono nell’ordine dei milioni e non dei miliardi, come necessario. Né si sa chi potrà accedervi, con quali criteri e sulla base di quali bisogni.

Cosa dicono i dati scientifici sullo stato attuale del clima
Ma anche al di là del giudizio sulle singole Cop, la conferma inequivocabile e indiscutibile del fatto che i governi stiano nel complesso fallendo arriva dai dati. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep), le promesse fin qui avanzate dai governi di tutto il mondo in termini di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra ci porteranno a un riscaldamento globale compreso tra i 2,6 e i 3,1 gradi centigradi, a seconda dei diversi scenari. Per comprendere cosa significherebbe, basti pensare che tragedie come quella di Valencia si sono prodotte con un riscaldamento globale di “soli” 1,3 gradi: il livello raggiunto finora.
D’altra parte, anziché diminuire, le concentrazioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera terrestre continuano ad aumentare, e negli ultimi venti anni sono cresciute del 10%, secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale. Per mantenere vivo l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi, ovvero limitare l’aumento della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi, dovremmo far calare le emissioni di CO2, metano e altri gas del 42%, entro il 2030, e del 57% entro il 2035, rispetto ai livelli del 2019.

Cosa ci si aspetta, concretamente, dalla Cop29
Da questo punto di vista, alla Cop29 vista la situazione di emergenza assoluta sarebbe lecito attendersi per lo meno una road map, nuovi impegni, nuove idee. Ciò in attesa degli aggiornamenti delle promesse ufficiali di riduzione – che prendono la forma delle Nationally Determined Contributions (Ndc) – che dovranno essere depositati da tutti i governi a inizio 2025.
Ma il principale risultato atteso a Baku è legato in realtà al nuovo obiettivo collettivo per il cosiddetto finanziamento climatico. Alla Cop15 di Copenaghen i Paesi ricchi accettarono di concedere 100 miliardi di dollari all’anno a quelli più poveri e vulnerabili per consentire loro di adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici. Era il 2009, e per arrivare a mantenere la promessa è stato necessario attendere il 2022.

Il nodo dei finanziamenti al centro dei negoziati di Baku
L’impegno della Cop15 è ormai superato. Si punta adesso a un Nuovo obiettivo quantificato collettivo sul finanziamento climatico (New collective quantified goal on climate finance, Ncqg). I governi hanno accettato infatti di fissare tale nuovo target. Alla Cop21 di Parigi si era deciso di fissare l’Ncqg prima del 2025, a partire da minimo di 100 miliardi di dollari all’anno ma basandosi suoi nuovi bisogni dei Paesi che dovranno beneficiarne.
I negoziati che si sono susseguiti durante il 2024 nelle sessioni intermedie non lasciano ben sperare: il mondo appare decisamente diviso sulla questione. Come sempre, quando si tratta di mettere mano al portafoglio. La conferenza comincia dunque oggi con dei lavori preparatori che hanno permesso pochi passi avanti. Un accordo sull’Ncqg è essenziale non soltanto per garantire al Sud del mondo ciò che è ormai urgentissimo. Ma anche per ristabilire un minimo di fiducia da parte di quella porzione di mondo che si è sentita tradita per i ritardi nell’attuazione di quanto promesso a Copenaghen.
La mitigazione non può aspettare: bisogna dare un senso alle parole per ora vuote emerse alla Cop28
Come detto, però, la mitigazione dei cambiamenti climatici, non potrà essere accantonata come è stato alla Cop27. Alcuni passi avanti sono necessari, e di questi si è discusso alla sessione intermedia di giugno, con numerosi governi (e gruppi di governi) che hanno invocato a gran voce un accordo almeno sul piano di lavoro, in attesa delle nuove Ndc (per le quali occorrerà decidere anche un quadro di riferimento, per evitare che ogni governo le declini a modo proprio). Per farlo, c’è un solo modo: prendere quel transitioning away uscito dalle stanze dei negoziati di Dubai e renderlo qualcosa di serio, chiaro, inequivocabile. Almeno per quanto riguarda il carbone, poiché è oggettivamente ridicolo che il mondo ancora si divida perfino su tale fonte.
C’è quindi da riempire, come accennato l’altra scatola vuota, quella del loss and damage. I governi dovranno procedere a un esame del Meccanismo di Varsavia, che ha contribuito a migliorare le conoscenze su quali siano le perdite e i danni patiti dai Paesi esposti. E dovranno esaminare i progressi nel Santiago Network, una rete ideata per facilitare l’assistenza tecnica nelle nazioni più vulnerabili di fronte agli impatti dei cambiamenti climatici.

Servono fondi anche per il loss and damage
Alla Cop29 di Baku si tenterà quindi di cominciare a valutare quanto finora realizzato in materia di definizione degli indicatori di adattamento. Quanto cioè ci si sia attrezzati per fronteggiare precipitazioni estreme, innalzamento del livello dei mari, ondate di caldo o di siccità. Il processo dovrebbe essere concluso entro il 2026.
Sul tavolo c’è poi ancora l’attuazione dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi: si dovranno cioè indicare le regole che governeranno il sistema per lo scambio delle quote di emissioni di CO2. E ancora l’esame finale dell’attuazione del programma di Lima sulle questioni di genere, l’attuazione concreta del Global stocktake approvato a Dubai, la tavola rotonda ministeriale annuale sulla transizione giusta, il dialogo ministeriale di alto livello sulle urgenze in materia di adattamento e i negoziati per stabilire il numero di Paesi che sottometterà i primi rapporti biennali sulla trasparenza.

Le altre questioni sul tavolo dei negoziati alla Cop29
Il tutto in una Cop29 che si concluderà, salvo ritardi, il 22 novembre. E che comprende anche la 19esima riunione della Cop come Riunione delle parti sul Protocollo di Kyoto (CMP19) e la sesta riunione della Cop come Riunione delle parti sull’Accordo di Parigi (CMA6). Assieme alle 61esime sessioni dell’Organo sussidiario di consiglio scientifico e tecnologico (SBSTA61) e dell’Organo sussidiario per l’implementazione (SBI61).
A fianco, come ogni anni fioccheranno probabilmente alleanze, reti, impegni del mondo privato. A cominciare dalla finanza, che più volte ha promesso di cambiare rotta. Con risultati che però, finora, sono ampiamente insufficienti, almeno per quanto riguarda le grandi banche internazionali e i principali fondi d’investimento.
Il lavoro da fare nei 15 giorni della Cop29 sarà insomma tantissimo. Mentre gli impatti della crisi climatica aumentano inesorabilmente. Cambiare passo significa salvare vite umane, evitare perdite materiali enormi e garantire un futuro alle prossime generazioni.

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