Non c’è pace senza giustizia, di Rosario Aitala

«La speranza non delude». Con questo messaggio Francesco il 9 maggio 2024 indice il “suo” Anno giubilare. «Immemore dei drammi del passato, l’umanità è sottoposta a una nuova difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza», scrive il pontefice, invitando a riscoprire la speranza «nei segni dei tempi» e a tradurla in pace per il mondo «immerso nella tragedia della guerra». Misericordia, pace, speranza. I tre lemmi ricorrono nel discorso di Francesco, che parla a chi è prossimo e chi è lontano, credenti e non credenti. Nel suo linguaggio convivono appelli pastorali e lezioni politiche.
Dieci anni prima, il 18 agosto 2014, Francesco pronuncia per la prima volta la formula della «guerra mondiale a pezzi» originariamente intesa in senso più simbolico che descrittivo. Parlando con i giornalisti rientrando da Seul, la attribuisce a un inesistente «qualcuno». Rivelerà poi di averla coniata personalmente riflettendo sui quadranti di conflitto che coinvolgono attori diversi, spesso procuratori degli Stati, come in Siria «dove i siriani mettono i morti e le grandi potenze le armi». A settembre del 2024, l’espressione era superata dagli eventi. Commentando l’allargarsi della sanguinosa guerra di Gaza a Cisgiordania, Libano, Siria, Yemen, Iran, la rivede in peggio: «Andiamo verso una guerra quasi mondiale». La formula originaria si è rivelata profezia. Francesco parla da storico e geopolitico. Segnala la conclusione dell’età di guerre circoscritte che aveva seguito il Secondo dopoguerra e il ritorno a un’era di conflitti totalizzanti nei quali sono immersi i popoli, intere società, che coinvolgono indirettamente e politicamente decine di altri Stati. Invocando la pace, il Papa non si ferma all’auspicio dell’assenza di guerra e dell’armonia nella vita sociale. Si rivolge a chi esercita responsabilità pubbliche. Invita alla trattativa come espressione della Politica. Ricorda il dovere dei governi di custodire principi di moralità anche in guerra, proteggere gli innocenti, limitare le disumanità, comporre le controversie, fermare il vano dispendio di sangue e dolore.
L’impegno per la dignità umana gli ha fruttato volgari oltraggi di autorità politiche e religiose. «Le persone prudenti tengano a freno la propria lingua», gli è stato intimato. Lo hanno accusato di «cecità morale», di avere prestato l’autorità papale a modelli di odio «con la scusa di sostenere gli oppressi», di distorcere volutamente la realtà. Chi ha tetti di vetro, non tiri pietre, viene da commentare. Lui ha continuato a difendere l’umanità, bambini, vecchi, ostaggi. Ammoniva con dolce fermezza. Non si uccidano gli innocenti. Si dia da mangiare agli affamati, da bere agli assetati. Si alloggino i pellegrini. Si visitino gli infermi. Si seppelliscano i morti.
Questi non sono solo valori cristiani. Sono principi universali, giuridici, etici, morali. Lasciti della sofferenza incommensurabile delle guerre mondiali, degli stermini di civili, della Shoah, dalle persecuzioni etniche, religiose e nazionali. Impressi nei trattati internazionali, nelle sentenze dei tribunali. Si ritrovano anche nelle Convenzioni di Ginevra del 1949, universalmente ratificate, anche dalla Santa Sede. Il primo comandamento, per esempio, si traduce in diritto internazionale nel divieto di rivolgere la violenza armata contro i civili inermi, intenzionalmente o nell’indifferente consapevolezza che operazioni militari smodate verseranno sangue innocente «incidentalmente». Le opere di misericordia corporale si riflettono nel divieto assoluto di condurre la guerra sul corpo e l’anima degli incolpevoli privandoli di alimenti, acqua e farmaci e sfruttarne la sofferenza come forma di pressione nei confronti anche del più empio dei nemici. I pellegrini della contemporaneità sono sfollati e rifugiati, un’umanità in cammino destinata a vagare, in fuga da guerre e persecuzioni. Erano quarantatré milioni alla fine del 2023. Oggi di più. In Sudan, afflitto da una brutale guerra di potere, sono già tredici milioni.
Non basta per chiamarsi fuori dalla disumanità non uccidere, non perseguitare, non torturare, non stuprare. Chi è neutrale in situazioni di ingiustizia, ha scelto l’oppressore, Desmond Tutu ha detto. I governi, chi esercita uffici politici, ogni persona libera, hanno il dovere di condannare senza ambiguità le atrocità altrui, isolare chi calpesta la dignità umana. Anche per questo nel 1998 è stata istituita la Corte penale internazionale come strumento per contribuire a mettere fine all’impunità per i responsabili di «atrocità inimmaginabili che sconvolgono profondamente la coscienza dell’umanità». Questo miracolo di civiltà si è realizzato a Roma. L’Italia vi ha contribuito in modo determinante con politici, studiosi, giudici, attivisti. La Santa Sede ebbe un ruolo propulsivo. La Corte riunisce centoventicinque Stati del mondo. Accerta e giudica genocidi, crimini di guerra e crimini contro l’umanità in ogni angolo del pianeta. Eppure alcuni, accomunati dalla furiosa avversione per la civiltà delle regole, del diritto e dei diritti umani, cercano di soffocarla, ridurla al silenzio con misure coercitive. A giudici e procuratori, imputati di fedeltà al dovere, sono dispensati mandati di cattura, minacce di morte, contumelie, sanzioni finanziarie. Come se i terroristi, i criminali di guerra, i torturatori, gli stupratori fossero loro. La Corte è più di un organo di giustizia. Vi si aggrappano strettamente le radici morali della comunità internazionale nata dai conflitti mondiali. Incarna l’eterna partita fra il bene e il male, fra l’autorità legittima del diritto e della giustizia e l’iniquità della forza brutale come legge primitiva nelle relazioni fra uomini, popoli, nazioni. Per milioni di persone che vivono nel terrore, nella violenza, nell’esclusione, nell’abuso, nella tirannia la Corte è l’ultima speranza, l’unica prospettiva di verità, la sola aspettativa di dignità. Il contrario della speranza è la disperazione. Opprimente, inconsolabile. Nell’avvilimento, nello sconforto, nella prostrazione fermenta l’odio. L’odio genera il Male e versa sangue innocente. Il sangue chiama vendetta. L’abisso invoca l’abisso. Chi davvero cerca Francesco, sieda con gli oppressi.

avvenire.it/opinioni/pagine/non-c-e-pace-senza-giustizia

PRESENTANDOCI

Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.


 

 

VI ASPETTIAMO AL NOSTRO CONVEGNO,
Trani, 9-11 Maggio 2025
Per info clicca sulla locandina
oppure scrivi a amministrazione@cercasiunfine.it

___________________________________________________________________________ Il 5 aprile 2025, si è svolta l'Assemblea annuale dei soci di Cercasi un fine per l'approvazione del bilancio (che tra qualche giorno sarà pubblicato sul sito regionale RUNTS, nel nostro spazio). L'Assemblea ha anche votato e/o confermato le cariche associative, che sono le seguenti:

Direttivo: Rocco D’AMBROSIO (presidente), Matteo LOSAPIO (vice presidente), Carlo RESTA (tesoriere), Nunzio LILLO (segretario), Giuseppe FERRARA (direttore della Biblioteca Bice Leddomade, bibliotecaleddomade@cercasiunfine.it), Franco GRECO, Donatella A. REGA.
associazione@cercasiunfine.it

Redazione del Periodico, oltre ai membri del Direttivo: Eleonora BELLINI, Vito CATALDO, Davide D'AIUTO, Paolo IACOVELLI, Lucio LANZOLLA, Elisabetta RESTA, Massimo DICIOLLA, Isabella SANTINI (collaboratrice per l’amministrazione).

Redazione web: Vito CATALDO, Davide D’AIUTO (Responsabile DPO), Paolo IACOVELLI, Eleonora BELLINI, Matteo LOSAPIO. email: webmaster@cercasiunfine.it

Responsabili del gruppo I CARE 2024-2025: Volontarie del Servizio Civile Universale: Naomi BARBERIO, Francesca CAPONIO, Alessia CIMMARUSTI, Giovanna SPINELLI; Fara CELLAMARE (OLP per i volontari SCU); mail: icare@cercasiunfine.it

Auguri a tutti e buon servizio nella scia del I CARE di Lorenzo Milani. Grazie ai soci per la loro presenza o partecipazione on line o per delega.

Ultimi Articoli

Contribuendo

Per sostenere le nostre attività, cioè le scuole di formazione sociale e politica, questo sito web e il periodico cartaceo di cultura e politica, l’insegnamento dell’italiano per cittadini stranieri, la biblioteca “Bice Leddomade” e le altre attività di formazione culturale e sociopolitica, ti invitiamo a:

  • Donare un sostegno economico attraverso un Bonifico Bancario Cercasi un Fine APS

IBAN IT26C0846941440000000019932 BCC Credito Cooperatvo oppure CCP 000091139550 intestato ad Associazione Cercasi un fine

  • Donare il tuo 5×1000: basta la tua firma e il numero dell’associazione 91085390721 nel primo riquadro (in alto a sinistra) dedicato al Terzo Settore – RUNTS. 
  • Predisporre un lascito nel tuo testamento: hai la possibilità di aiutarci nel futuro – nel rispetto della legge, senza escludere possibili soggetti legittimari – attraverso il dono di qualcosa a Cercasi un fine (come una somma di denaro, beni mobili o immobili, una polizza di vita). Il testamento è un atto semplice, libero, sempre revocabile. Con il tuo lascito sosterrai le nostre attività. 

Grazie per quello che farai per noi.

SORRIDENDO