Susanna Tamaro: «Perché l’enciclica Dilexit nos è il testamento spirituale di Papa Francesco», di Susanna Tamaro

Il 13 marzo 2013 mi trovavo a Ratisbona per lavoro e, mentre attraversavo la piazza deserta della Cattedrale sotto una leggera nevicata, hanno improvvisamente risuonato le campane, segno che il Conclave si era concluso ed era stato eletto il successore di Benedetto XVI.
Durante l’incontro con i lettori, la mia agente si era informata e mi aveva sillabato da lontano un nome per me misterioso. Bergoglio. Allora il Papa venuto dall’altra parte del mondo era praticamente sconosciuto ai più.
Personalmente, ho avuto due occasioni di incontrarlo, la prima subito dopo la sua elezione in piazza San Pietro e la seconda nel 2022 in un’udienza privata. In quell’occasione gli ho raccontato che, nel mio libro più famoso, era stato proprio un gesuita a stravolgere i luoghi comuni sulla fede della protagonista, indirizzandola a una ricerca interiore priva di conformismi limitanti.

L’enciclica
Ho ripensato a questo incontro quando, l’autunno scorso, ho letto la sua enciclica Dilexit nos che credo si possa considerare il suo testamento spirituale. Sono rimasta colpita già allora dal silenzio mediatico che l’ha accolta, diversamente dalle popolarissime, almeno nelle citazioni, Laudato si’ e Fratelli tutti. Avevo pensato allora — e lo penso ancor di più oggi — che questo pontefice così generosamente mediatico sia stato in fondo un Papa «à la carte». Esaltato e applaudito ogni qual volta diceva cose interpretabili secondo lo spirito del tempo, silenziato, se non redarguito, quando toccava gli argomenti tabù della società attuale. 
Fu disapprovato infatti quando con vigore ribadì che l’aborto era un omicidio o quando affermò che la colonizzazione dell’ideologia gender portava molta confusione nel mondo, confondendo così la sua umana accoglienza alle persone diverse con l’approvazione di un progetto di sovversione dell’ordine naturale del Creato. 
Nella sua autobiografia Spera scrive infatti che i «peccati sessuali sono quelli che per alcuni fanno più scalpore. Ma non sono affatto i più gravi. Sono peccati umani, di carne. I più gravi, al contrario, sono quelli che hanno più “angelicità”: la superbia, la menzogna, l’odio, la truffa e la sopraffazione. Anche Satana, scrive San Paolo nella lettera ai Corinzi, si maschera da angelo di luce».
In questi mesi ho riletto l’enciclica, chiedendomi per quale ragione fosse rimasta in ombra. Per mia esperienza personale, so bene che parlare del cuore, nel mondo delle sfavillanti intelligenze laiche, è ragione di scherno e di emarginazione perché, come scrive Francesco, «la svalutazione del centro intimo dell’uomo — il cuore — viene da più lontano: la troviamo già nel razionalismo greco e precristiano, nell’idealismo post cristiano e nel materialismo nelle sue varie forme (…) Sembrerebbe che la realtà più intima sia anche la più lontana per la nostra conoscenza».
Leggendo Dilexit nos ritroviamo quel tono intimamente colloquiale che è stato il segno del suo pontificato: profonde citazioni teologiche si fondono con affettuosi ricordi personali, come quello della nonna che, per Carnevale, faceva le frittelle ricordandogli che le chiamavano «bugie» perché sembravano grandi ma non avevano niente dentro.
Non è forse questa la dimensione della nostra società contemporanea? La falsificazione dell’umano? Una società che dà solo risposte, e le dà con protervia, è una società che nega la dimensione più profonda della vita, impedendo di far emergere, come ricorda papa Francesco «le domande che contano. Chi sono veramente, che cosa cerco, che senso voglio che abbia la mia vita, per quale scopo sono in questo mondo? Tutte domande che portano al cuore». Il modello dell’uomo moderno citato nell’enciclica è quello di Stavrogin, il protagonista dei Demoni che, come scrive Romano Guardini nel suo saggio su Dostoevskij, «ha la caratteristica di non avere cuore».

Relazione
La solitudine attuale, la disperazione ormai fuori controllo delle nuove generazioni, la sempre più estesa necessità di ricorrere a droghe e psicofarmaci per affrontare la quotidianità è proprio frutto della perdita di questa capacità di dialogare con sé stessi, di riuscire a conoscersi per poter conoscere gli altri.
Se l’uomo non è relazione, che cos’è? È disperazione e autodistruzione. Disperazione e autodistruzione su cui i blandi moralismi che vengono sventolati dai media hanno al massimo l’effetto di un panno caldo. È della consolazione che l’uomo ha bisogno, è dell’ascolto, dell’assenza di giudizio, dell’accettazione della propria fragilità, della possibilità di piangere sapendo che qualcuno accoglierà le sue lacrime perché solo queste lacrime possono trasformarsi in un’acqua vivificante.
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro». Questa citazione del Vangelo, ricorda Francesco, è forse la più importante per questo tempo dominato dalla competizione, dal cinismo e dall’indifferenza. Non ci aspettiamo più niente da nessuno, se non delusioni e malvagità, e dunque com’è confortante sapere che c’è Qualcuno che «fino alla fine dei tempi» ci aspetta per accoglierci, rinnovarci e farci rinascere.
La straordinaria commozione che ha suscitato questa scomparsa dopo tre giorni di grande intensità spirituale è segno di una crepa che si è aperta nel mondo apparentemente refrattario a qualsiasi discorso che esuli dalla materialità. La grande generosità di sé che il Papa ha manifestato nei giorni del triduo pasquale è stata il sigillo del suo pontificato sempre accompagnato dalle parole di Sant’Ignazio di Antiochia: «È meglio essere cristiani senza dirlo, piuttosto che dirlo senza esserlo». Una citazione che Francesco amava molto, aggiungendo che «alla fine dei nostri giorni, non ci verrà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili».
Secondo le leggi del mondo, dopo la sua grave malattia avrebbe dovuto fare una vita molto ritirata ma la devozione al Sacro Cuore non ammette deroghe di sopravvivenza perché il dono di sé è la dimensione in cui si realizza. 
Personalmente, sono sempre molto turbata quando, durante un funerale, sento dire da un sacerdote frasi di una banalità avvilente.
La commozione e il dolore del distacco rendono il cuore delle persone momentaneamente aperto e non approfittare di questo spiraglio è un’imperdonabile disattenzione. Sono convinta infatti che ci sia un numero molto alto di persone inconsapevolmente cristiane che non aspettano altro che sentire parlare di un’altra dimensione dell’esistere.
Il Cristianesimo infatti, prima di ogni altra cosa, è un modo diverso di vivere. Cristo ha sconfitto la morte perché è l’Eterno che irrompe nel tempo, e irrompe non con il dominio, ma con la costante umiltà dell’amore.

Manipolazioni
«L’algoritmo all’opera nel mondo digitalescrive Francesco — dimostra che i nostri pensieri e le decisioni della nostra volontà sono molto più facilmente prevedibili e manipolabili di quanto potremmo pensare. Non così il cuore». È a questo Cuore non manipolabile che abbiamo bisogno di tornare e, per farlo, dobbiamo metterci in ascolto della voce dello Spirito perché, come ci ricorda ancora papa Francesco, «il Cuore di Cristo, il centro del suo Essere, è una fornace ardente di amore divino e umano, ed è la massima pienezza che noi possiamo raggiungere. È lì, in quel Cuore, che finalmente riconosciamo noi stessi e impariamo ad amare». «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino?» si dicono infatti i discepoli di Emmaus dopo aver percorso un lungo tratto con il Risorto senza averlo riconosciuto. Non c’è forse in tutti noi, in fondo, la nostalgia di quell’Incontro?

corriere.it/cronache/25_aprile_24/il-tornare-al-cuore-di-papa-francesco-la-lezione-che-lascia-in-tempi-di-solitudine-c760e10f-20a5-497a-b18e-3692548e3xlk.shtml?refresh_ce

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Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.


 

 

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