Alla vigilia dell’incontro con il vice-presidente americano Vance (previsto per oggi), il cardinale Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha rilasciato un’intervista a Repubblica. La guerra in Ucraina e Gaza, il ruolo dell’Unione Europea, i rapporti con la Cina e la riorganizzazione dell’ordine mondiale resasi necessaria dall’impostazione presa dalla seconda amministrazione Trump, i temi toccati da Parolin – con saggezza, moderazione e ricerca costante di una mediazione secondo giustizia.
Ucraina-Russia
Per Parolin la mediazione diplomatica non deve mai cercare né i propri interessi, né sbilanciarsi a favore di una delle parti, ma assumere la funzione chiave di facilitare l’incontro e il dialogo fra i belligeranti: «Molto dipende – ha detto il Segretario di Stato vaticano – dalla disponibilità di entrambi i paesi a dialogare senza precondizioni. In ogni caso, tutto ciò che favorisce una pace giusta e duratura è da considerarsi utile e va accolto con attenzione. Questa guerra non può continuare».
Parolin ha poi sottolineato la posizione diplomatica della Santa Sede in merito: ossia, quella che sostiene la sovranità e l’integrità territoriale della nazione ucraina. Solo quest’ultima, in sede di trattiva diplomatica, ha il diritto di «decidere che cosa vorrà negoziare o eventualmente concedere da questo punto di vista».
La pace giusta, negoziata nel rispetto dei diritti di chi è stato invaso e ha subito violenza, non può essere raggiunta che nel quadro del pieno rispetto del diritto internazionale. Diritto che non può essere usato solo in maniera retorica, ma deve funzionare secondo i propri criteri che si oppongono alla violenza della guerra: «Rimane profondamente vero che al principio del diritto alla forza deve sostituirsi la forza del diritto. Siamo molto preoccupati per una escalation del conflitto».
Tra caos e ordine mondiale
Parolin ha messo in risalto la rottura rispetto ai canoni acquisiti a partire dal termine della Seconda guerra mondiale operata dalle scelte geopolitiche dell’amministrazione Trump.
«L’approccio dell’attuale amministrazione Usa è molto diverso da quello a cui siamo abituati e, soprattutto in Occidente, da quello su cui abbiamo fatto affidamento per anni».
La preoccupazione della Santa Sede non sembra essere orientata, in primo luogo, alla fine di un ordinamento mondiale di lunga durata, quanto piuttosto quando il mettere in atto processi di tale portata avviene in maniera eccessivamente rapida, non ponderata in tutte le sue conseguenze.
Il cambiamento può essere sentito necessario da parte degli Stati Uniti, ma «agire troppo rapidamente non è sempre nel migliore interesse di coloro che la riforma dovrebbe in ultima analisi aiutare».
Per Parolin ritrarsi dalla globalizzazione dei rapporti, degli scambi commerciali, delle relazioni diplomatiche secondo il diritto internazionale, è un fatto che avviene all’interno della stessa struttura di un mondo globalizzato – a essa, alle sue dinamiche e reazioni non ci si può immaginare di sottrarsi o immunizzarsi.
Infatti, «nel bene o nel male, il nostro mondo è stato globalizzato e i problemi globali richiedono soluzioni globali, con la partecipazione di tutti gli stati. La Santa Sede sostiene costantemente un approccio multilaterale e ritiene che il diritto internazionale e il consenso degli stati debbano sempre essere favoriti».
L’Unione Europea
Proprio rispetto al multilateralismo, a una concertazione pacifica e diplomatica fra gli stati, e al riconoscimento del primato della forza del diritto, Parolin indica chiaramente nell’Unione Europea un possibile alleato degli sforzi che la Santa Sede porta avanti da anni in questa direzione.
Un compito a cui l’Unione Europea si deve sentire chiamata proprio in virtù della sua storia: reinventandosi a partire da una fedeltà all’altezza dell’idealità delle origini. «Nel crescente clima di incertezza – ha sottolineato Parolin – l’Unione Europea può svolgere un ruolo importante nel richiamare il valore del multilateralismo e di una politica basata sulla collaborazione fra gli stati, sul diritto internazionale e la diplomazia, anziché sulla contrapposizione e su logiche egemoniche».
La fine di quel quadro internazionale affidabile che ha permesso all’occidente europeo di vivere il suo progetto di relazioni interne pacifiche, fino a costruire un complesso istituzionale sovranazionale unico nella storia moderna, chiede sicuramente un ribilanciamento delle politiche dell’Unione – ma, nel fare questo, bisogna fare estrema attenzione al nome sotto cui viene posta questa nuova stagione della comunità europea degli stati.
«L’espressione “riarmo”, per giustificare l’esigenza dell’Europa di investire nella propria difesa, anche alla luce di un disimpegno statunitense al riguardo, – secondo Parolin – appare infelice, perché è sempre prodromo di chiusure e nuovi conflitti. Sarebbe però preoccupante se in Europa ritrovassero spazio dialettiche che proprio il progetto di unificazione europea ha inteso superare».
Gaza
Evangelicamente chiare le parole del Segretario di Stato su quanto sta avvenendo a Gaza, sulla brutalità reciproca di Hamas e Israele. Si tratta di qualcosa di inaccettabile: sia quello che sta avvenendo nella Striscia, sia quanto fatto da Hamas.
Parolin ha invitato a non dimenticare che, oltre all’epicentro di Gaza, il conflitto si espande anche «alla Cisgiordania, dove le espansioni territoriali dei coloni a discapito della popolazione civile palestinese sono accompagnate da violenze e soprusi: si può dire che si tratta di legittima difesa?».
Nella valutazione della reazione di Israele, con le operazioni militari ancora in corso, Parolin si richiama alla posizione di papa Francesco – dove sono «lo studio dei fatti e delle norme da parte delle istituzioni preposte» a essere decisivi in merito alla formazione del giudizio.
«Per la Santa Sede restano chiari i principi della Dottrina sociale della Chiesa: la legittima difesa è lecita, ma non può implicare l’annichilimento totale o parziale di un altro popolo o la negazione del diritto di vivere nella propria terra».
Cina-Santa Sede
A conclusione dell’intervista, Parolin ha toccato il tema delle relazioni fra la Santa Sede e la Cina. Relazioni che hanno bisogno di tempo per maturare e approfondire la reciproca conoscenza – anche per ciò che riguarda le strutture procedurali dei due partner.
Da parte vaticana, un ufficio di collegamento, che rimane al momento «nel novero dell’auspicabile», rappresenterebbe «un utile strumento di dialogo, con la Cina e con la Chiesa che lì vive e opera».
Il percorso delle relazioni fra Santa Sede e Cina, per quanto faticoso, lento nei tempi, richiedente pazienza e capacità di leggere i segni dell’altra parte, diventa emblematico per l’idea e prassi della diplomazia tout court secondo Parolin.
Infatti, «la Santa Sede rimane convinta che il dialogo sia l’unica via per scongiurare un’escalation della contrapposizione tra i paesi e tra i rispettivi interessi. Se si dovesse incominciare a percepire l’opposizione reciproca come unica modalità di interazione, allora si giungerebbe a un punto di non ritorno. Credo che il maggiore contributo che la Santa Sede possa dare all’attuale panorama internazionale sia proprio quello del dialogo».
Contributo oggi decisivo più che mai, perché quella vaticana è al momento l’unica istanza diplomatica su scala globale che sta parlando a tutti i contendenti. Un appiglio che il vice-presidente americano Vance dovrebbe avere l’intelligenza, e l’umiltà, di cogliere come opportuno anche per gli Stati Uniti di Trump.
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