Il rapporto fra comunità ecclesiale e mondo politico continua a essere uno dei più importanti campi per misurare la crescita dell’intera comunità, sia dei laici che dei pastori. Il Vaticano II, ringraziando il Cielo, ha avviato uno dei filoni più proficui che noi citiamo spesso, sinteticamente, con il nome di fede e politica. Sulla complessità di questo rapporto ho vissuto, con i padri dehoniani dell’Italia meridionale, due giornate di riflessione, a Frascati (2-3 febbraio 2025) molto ricche e stimolanti. Da esse traggo qualche riflessione che può interessare un po’ tutti, laici e pastori.
Partecipazione: le ragioni di una crisi
Viviamo in un Paese che non solo ha una larga fetta di non votanti, ma ha, prima di tutto, seri problemi di tipo culturale, scolastico e universitario. Cresce l’analfabetismo di ritorno; esiste una crisi di larghi settori della scuola e dell’università, abbiamo saperi ridotti, monotematici e poco interdisciplinari, effimeri, estremamente dipendenti dalla superficialità di diverse fonti on line, se non proprio dominati dai social.
Non manca solo la formazione civica, sociale e politica, manca la formazione tout court! Lo dicono le statistiche scolastiche e universitarie, la debolezza o inesistenza di percorsi formativi nei partiti politici, nelle comunità di fede religiosa, nel volontariato, nell’associazionismo, nello sport e via discorrendo.
Questa è, dunque, la situazione in ampi strati di popolazione. E dove non c‘è formazione (ossia nelle classi più agiate che in quelle più povere), o ce n’è poca e scadente, è molto facile essere influenzati dalle grida del momento, senza nessuna capacità critica di discernere, anche nelle scelte elettorali. Sarebbero anche da approfondire le forme di analfabetismo emotivo che riducono la capacità e creano una dipendenza da quei leader che gridano e colpiscono di più, anche per mezzo dei social. Bonhoeffer, a proposito, avrebbe detto sinteticamente e crudamente che «la potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri» (Resistenza e Resa).
Ma questa è un’analisi fin troppo semplice. Il vero problema è raggiungere, con contenuti seri e spiegati bene, i cittadini che cadono in queste trappole. In questo parecchia informazione del nostro Paese non aiuta affatto. E, onestamente, dobbiamo riconoscere che anche i nostri ambienti cattolici (diocesi, parrocchie, ordini religiosi, gruppi e movimenti) fanno ben poco per formare a una visione e relativo impegno sociale e politico, cristianamente autentici e coerenti.
Ritengo che il modo per uscire da questa crisi formativa e partecipativa, non è tanto sognare nostalgicamente una rinascita di un «partito cattolico», quanto il ritornare a scommettere sulla formazione. La direttrice, infatti, è sempre, e tale resta, formazione – partecipazione – responsabilità. Ciò significa che bisogna ritornare a scommettere sulla formazione, in tutte le agenzie educative, privilegiando la qualità alla quantità di contenuti come di strategie.
Senza cadere nella trappola della comunicazione mediata (social e internet) che spesso non forma ma illude di formare, moltiplicando atteggiamenti più emotivi che razionali. I social sono dei moltiplicatori emotivi e raramente educano a pensare, ragionare, valutare, discernere e, di conseguenza, impegnarsi nel politico e nel sociale. È la formazione seria che fa scaturire una partecipazione motivata, in diverse forme e momenti.
Responsabilità da rigenerare
E poi la responsabilità.
È evidente a molti la generale crisi della classe dirigente che sembra investire la nostra comunità nazionale; crisi che prescinde dalla natura delle istituzioni coinvolte o dalla formazione religiosa, culturale e politica degli interessati. Tale crisi si manifesta spesso nella palese incompetenza e nell’evidente disaffezione verso le istituzioni, dove brama esclusiva del profitto e la sete del potere costituiscono spesso il movente unico di ogni impegno, manifestando un disagio e un’immaturità personale molto più ampie (cf. Sollicitudo rei socialis, 37).
Scrive don Lorenzo Milani: «Ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande I care. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. Me ne importa, mi sta a cuore. È il contrario esatto del motto fascista Me ne frego».
La vigilanza sul potere, infatti, nasce dalla coscienza di sentirsi responsabile di tutto e di volere che il tutto cresca e si sviluppi nella libertà e nella giustizia. La vigilanza è propria di persone mature, che, oltre che con la partecipazione attiva, portano il loro contributo aiutando, con diversi mezzi, chi detiene un potere a svolgere correttamente il servizio affidatogli.
Ancora Milani sui giovani, ma vale per tutti: «Non vedremo sbocciare dei santi, finché noi ci saremo costruiti dei giovani che vibrino di dolore e di fede pensando all’ingiustizia sociale. Qualcosa, cioè, che sia al centro del momento storico che attraversiamo, al di fuori dell’angustia dell’io, al di sopra delle stupidaggini che vanno di moda».
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