Il troppo Stroppa, si potrebbe dire parafrasando un antico detto della saggezza popolare. E sì, perché nonostante le molte attenuanti di età e formazione (è un giovane perito tecnico di 31 anni, con un passato di hacker, che si autodefinisce «nerd lievemente autistico»), Andrea Stroppa dovrebbe iscriversi a un corso di relazioni istituzionali, anche online, se davvero vuole interpretare il ruolo di lobbista, anzi, «ambasciatore» di Elon Musk in Italia. O, almeno, glielo dovrebbe pagare il suo datore di lavoro americano. E non lo diciamo per una questione di «bon ton», quell’antiquato e sorpassato galateo democratico che solo i liberal rammolliti sulle due sponde dell’Atlantico ancora osano opporre al nuovo che avanza, alle statue d’oro e alle incoronazioni di King Donald II. Lo diciamo per lui, per avere successo nel suo lavoro.
La prima lezione sarebbe: non minacciare il Parlamento e il governo della Repubblica italiana se vuoi fare affari con lei. Perché questo ha fatto il giovane «ambasciatore», avvisando Fratelli d’Italia, e dunque la premier in persona, che non si possono varare leggi sull’accesso allo spazio da parte di soggetti privati accogliendo anche i suggerimenti e le proposte del Pd. In materia c’è una sola legge, ed è la legge di Musk e di Starlink, che ha in ballo un contratto da un miliardo e mezzo di dollari con l’Italia. Altrimenti, ha detto, «evitate di chiamarci per conferenze e altro».
Anche se, come crediamo, quell’indeterminato «altro» è solo il frutto dell’approssimazione lessicale dell’autore e non un’allusione ricattatoria, la minaccia resta. Ma per quanto potente sia la fonte cui Stroppa dice di attingere la sua autorità, deve sapere che – seconda lezione del corso accelerato – l’opposizione in Italia sarà anche difettosa, ma non è ancora fuorilegge.
D’altra parte Stroppa vorrebbe pure cambiare il ministro Piantedosi con Matteo Salvini, e promuove sondaggi su X in tal senso. Pare che una volta abbia tentato anche di procurarsi il numero di telefono di Mattarella, per spiegargli che si sbagliava (terza lezione: la Presidenza della Repubblica ha un centralino, il cui numero è disponibile su Internet).
Però, diciamoci la verità, il problema non è lui. Il problema è chi lo manda. È davvero l’ambasciatore dell’imprenditore più ricco del mondo, che ormai fa anche parte a pieno titolo del governo degli Stati Uniti? Si direbbe di sì, vista la deferenza con cui il parlamentare di Fratelli d’Italia accusato di aver accolto un paio di emendamenti, peraltro logici, dell’opposizione, si è quasi scusato precisando e minimizzando, invece di mandare Stroppa a quel paese.
Ma allora quanti ambasciatori hanno i nuovi poteri americani per i loro interessi in Italia? Quando bisognerà discutere con loro si dovrà chiamare l’ambasciatore ufficiale, il texano Tillman Fertitta, l’inviato speciale di Trump, Paolo Zampolli, o il rampollo di Musk?
Il problema, di conseguenza, è anche nostro: Stroppa viene preso sul serio e utilizzato sia da Meloni sia da Salvini come intermediario con Musk: per averlo sul palco di Atreju, come è avvenuto nel 2023 insieme con la premier, o per riceverne il fratello al ministero qualche mese fa, come è successo con il vice-premier.
E il problema sta in ciò che ha esplicitato di recente il presidente della Repubblica Mattarella; quando ha messo in guardia da quelle «figure di neo-feudatari del Terzo millennio — novelli corsari a cui attribuire patenti — che aspirano a vedersi affidare signorie nella dimensione pubblica, per gestire parti dei beni comuni rappresentati dal cyberspazio nonché dallo spazio extra-atmosferico, quasi usurpatori delle sovranità democratiche».
Dunque, ricapitolando per il finale del corso che (inutilmente) suggeriamo a Stroppa: 1) lo spazio è un bene comune, dunque la Repubblica lo protegge dal monopolio di privati che hanno tutto il diritto di competere per trarne profitto, soprattutto se come nel caso di Musk sono stati capaci di conquistare un vantaggio tecnologico sui concorrenti (è così che funziona il capitalismo, chi innova vince); ma sono sottoposti anch’essi a leggi che garantiscano la sicurezza dello Stato, l’interesse pubblico e la libera concorrenza; 2) queste leggi sono espressione della sovranità nazionale, nel senso che si decidono in Italia e per gli italiani; 3) il processo attraverso il quale ciò avviene è democratico, perché sovrano ne è il Parlamento eletto dal popolo; 4) le signorie le abbiamo inventate noi, e sappiamo riconoscerne una quando la vediamo.
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