Un pensiero critico (e preoccupato) sul trumpismo, di Riccardo Cristiano

C’è una vignetta in queste ore che mi torna in mente con prepotenza. Una voce annuncia due notizie, una buona e l’atra cattiva. Gli viene chiesta prima quella cattiva: “ha vinto Trump”, dice. E quella buona: “Ha perso Kamala”.
Vauro ha il pregio di riuscire a dar voce con tagliente ironia a ciò che gli estremisti o i radicali,  o come volete chiamarli, pensano. Oggi mi chiedo se continuino a pensarla così, come riassunto con  invidiabile efficacia da Vauro. Io penso di sì. Continuano cioè a pensare che l’America sia sempre stata il male. Lo si può pensare? Certo che sì. Ma io credo che in tutto ci debba essere una misura. Nel come si è il “male”, come anche in ciò che dovremmo ritenere sia il “bene”. Pensare che qualcuno sia ontologicamente il bene o il male non mi appartiene. Eppure ancora in  ore recenti ho sentito ripetere questa tesi: l’America è il male, lo è sempre stata.
Questa visione, legittima come tutte le visioni, a mio avviso fa male al pensiero critico. Perché ci chiede di identificarci con chi votiamo: deve essere come noi, uguale a noi, altrimenti quella piccola differenza lo rende comunque “male”. E’ un po’ il motivo per cui certa critici litigano sempre mentre certi omologati non litigano mai.
Questa malattia, che qualcuno assai noto definì “infantile”, non so dire se sia tale, ma di certo per me non è un bene. Perché impedisce di apprezzare il poco o il tanto che si può migliorare, cambiare, ottenere. No, non c’è nulla da migliorare, o si è perfetti, cioè come io vedo la perfezione, o si è uguale al male, cioè all’opposto di me.
L’ultima malattia che ci ha allontanato da tanti è la cosiddetta “cultura woke”. Viene dal verbo “svegliarsi”, che in sé indica un bene,  una positività. Ma in cosa si è sostanziata? Nella nuova cancel culture. L’idea di cancel culture nasce con Noam Chomski, che l’attribuì ai media main stream, che cancellavano le altre opinioni, le voci che non piacciono. Per dirla in nostrano: la scelta di portare Pier Paolo Pasolini sulla terza pagina del Corriere della Sera era un rifiuto della cancel culture, un portare il più grande “dissidente” (in tanti modi, in tante forme) dentro l’informazione main stream. Era un rifiuto del pensiero unico espresso a mezzo della cancel culture. Poi la cancel culture si è capovolta, si è detto che venisse dal basso, nel nome del woke, cioè del risveglio caratterizzato dal rispetto delle minoranze.
La critica di papa Francesco alla cancel culture è molto profonda e appropriata: molti ricorderanno quanto ha detto a inizio anno contro la cancel culture nel suo indirizzo di saluto al corpo diplomatico, ma le parole decisive a mio avviso le ha pronunciate nel 2022, nella stesso indirizzo di saluto quando ha sottolineato, come ha scritto Davide Piacenza, che “in nome della malintesa ricerca di una nuova inclusione sociale, in alcuni ambiti si finisce per analizzare la storia con le sole lenti moderne, il che è normale in certi casi (si pensi alla discussione sull’eredità di una figura storica) ma rischia di essere deleterio in altri, perché pensarsi al centro del tempo e delle vicende umane produce un errore prospettico”. Se noi leggiamo le Crociate con le categorie di oggi sbagliamo, e leggere con le categorie del tempo non fa meno onore ai crociati: volevano regolare i conti con gli ortodossi, con i bizantini? Questo nel nostro  discorso odierno troverebbe poco spazio, con la storia del papato un po’ di più. Poi c’è il punto di vista degli arabi, che mai citiamo: perché hanno chiamato per tanto tempo le Crociate “le guerre dei franchi?
Per tornare alla critica di Bergoglio alla cancel culture ecco cosa disse nel 2022: “Si va elaborando un pensiero unico – pericoloso – costretto a rinnegare la storia, o peggio ancora a riscriverla in base a categorie contemporanee, mentre ogni situazione storica va interpretata secondo l’ermeneutica dell’epoca, non l’ermeneutica di oggi.” Dunque se torniamo indietro si capirà dove intendo arrivare: che ogni pensiero unico rischia di produrre il suo opposto, in un gioco infinito tra opposti estremismi. La vecchia “cancel culture” di cui parlò Chomsky e la nuova, mostrataci nella sua pericolosa deriva ermeneutica da Francesco.
E nel 2025 ecco cosa ha ribadito al riguardo Bergoglio: “Risulta quindi particolarmente preoccupante il tentativo di strumentalizzare i documenti multilateralicambiando il significato dei termini o reinterpretando unilateralmente il contenuto dei trattati sui diritti umani – per portare avanti ideologie che dividono, che calpestano i valori e la fede dei popoli. Si tratta infatti di una vera colonizzazione ideologica che, secondo programmi studiati a tavolino, tenta di sradicare le tradizioni, la storia e i legami religiosi dei popoli. Si tratta di una mentalità che, presumendo di aver superato quelle che considera “le pagine buie della storia”, fa spazio alla cancel culture; non tollera differenze e si concentra sui diritti degli individui, trascurando i doveri nei riguardi degli altri, in particolare dei più deboli e fragili”. Delle due critiche bergogliane a me interessa e riguarda molto di più la prima, ma va tenuto conto anche dell’altra, perché qui c’è una critica implicita alla cultura woke che se non viene compresa crea un pericolo-boomerang enorme. Essendo sempre stato un “minoritario” non ho alcunché contro le minoranze, ma credo che questa tutela debba tener conto dei diritti propri delle maggioranze; che non discrimini, ma non che sparisca, che si senta in colpa per il fatto stesso di essere.
Limmagina di Trump che alla Casa Bianca prega circondato da soggetti oranti verso di lui, quasi fosse la figura centrale di una tela leonardesca, oltre a farmi paura dovrebbe farci riflettere e auspicabilmente bene. Il Presidente stava istituendo l’ufficio della fede presso la Casa Bianca, con una task force incaricata di scovare le sacche di un pregiudizio anticristiano negli States. Bisogna pensarci bene prima di relativizzare tutto, di dire che gli Usa sono sempre stati così. Qualcuno, con i capelli bianchi come me, non avrà dimenticato i tempi di Martin Luther King, dell’impegno per archiviare la pagina nera della segregazione. Chi ne fu protagonista è stato un figlio dello stesso  male di oggi?
Queste voci dovrebbero farci chiedere perché certo “pensiero critico” a mio giudizio grossolano abbia sempre diritto di tribuna, e altre voci, diversamente critiche, non dico giuste ma diverse, mai o quasi mai. Rispondere agli estremismi con opposti estremismi è sempre un errore per me, soprattutto se stravolge la storia.
Quando Trump cerca Putin e ricorda che russi e americani hanno perso milioni di uomini nella II guerra mondiale non dice una bugia, ma un’inesattezza: furono americani e sovietici a perdere milioni di uomini. Infatti l’Unione Sovietica fu fondata nel 1922. Forse dietro quella inesattezza c’è un desiderio nascosto: scegliersi il “nemico migliore”, come si fece a Yalta, quando si diede all’ex Urss tutto ciò che poteva desiderare per farne l’altro potere che serviva per essere la potenza maggiore e regolare i conti con i concorrenti, cioè Francia e Gran Bretagna. Questo non vuol indicare alcun merito, ma cercare di farsi un’idea per capire che se Biden ci ha lasciato in un mare di guai, non è perché l’America è sempre stata il male, ma perché lui ha sbagliato decisioni che oggi pesano come macigni. Ma se oggi una bacchetta magica portasse Kamala alla Casa Bianca non penso che staremmo peggio o come oggi. No. Liberasi dall’estremismo davanti agli estremisti è difficile, ma a me sembra indispensabile, per tornare a parlare col mondo, senza la pretesa di essere il “bene”, ma sperando di migliorare un po’ la storia di molti. Un’America anti-immigrati, essendo l’America un paese di immigrati, mi fa strano, come un’America anti americana.

articolo21.org/2025/02/un-pensiero-critico-e-preoccupato-sul-trumpismo/

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