«Bau, bau». Dopo il confronto a suon di urla, strepiti e sovrapposizioni, il talk show italiano inaugura la nuova stagione del latrato. Un passo avanti nel dibattito pubblico, un salto quantico nel linguaggio della politica. Siamo ufficialmente entrati nell’era del canile. I fatti: in diretta su La7, nel salotto di Tagadà, si parlava di argomenti seri, come quello del generale Almasri. La deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli, trovandosi in disaccordo con il collega del Pd Marco Furfaro, ha scelto di non ribattere con argomenti, ma con un più incisivo, ripetuto, martellante «bau, bau».
Un modo come un altro per disarticolare il confronto e aggiornare il repertorio dialettico della politica italiana. «Bau, bau». Lo scopo, pare, era alludere a una vicenda di cronaca riguardante un tesoriere dem finito nei guai e soprattutto a una senatrice dello stesso partito, Monica Cirinnà, il cui cane (o meglio, la cui cuccia) avrebbe custodito una cifra imbarazzante: 24 mila euro. Ma, a quel punto, la discussione era già degenerata in un canile in prima serata.
Ora, il problema non è tanto il contenuto della polemica ma il metodo. Se il talk show è ormai un format di intrattenimento, perché limitarsi al latrato? C’è un intero zoo di possibilità ancora inesplorate: barrire per accusare il governo di essere pachidermico, ruggire per denunciare la ferocia delle opposizioni, gracchiare per evocare la saggia cornacchia della politica di un tempo.
E a proposito del caso del generale Almasri, serissimo, mimare il verso delle tre scimiette all’indirizzo del governo accompagnandolo dai tipici suoni gutturali dello scimpanzé. Con un unico fine: dare sulla voce dell’interlocutore per non far ragionare lo spettatore. Nei talk show di solito, soprattutto quando è in difficoltà e si è a corto di argomenti, l’ospite comincia a strepitare, insultare, divagare, insomma la butta in caciara. Dalla caciara alla cagnara il passo è breve. Un tempo, in questi salotti, si discuteva (male) di politica. Ora si ulula. Tra l’altro l’espressione «Bau bau, micio micio» è stato reso celebre dal comico Ezio Greggio nel programma televisivo Drive In, andato in onda su Italia 1 negli anni ’80. Greggio lo usava ironicamente per prendere in giro atteggiamenti e dichiarazioni ritenute ambigue o poco incisive. Ora la realtà ha superato il cabaret.
Già che ci siamo, si potrebbe chiudere la puntata con un bell’inno corale: «Ci son due coccodrilli e un orango tango…» tutti in piedi, mano nella mano. E vista la vacuità del dibattito si potrebbero inventare animali immaginari, come il Lonfo, e declamarli, come nella poesia metasemantica di Fosco Maraini: «Il Lonfo non vaterca né gluisce e molto raramente barigatta, ma quando soffia il bego a bisce bisce sdilenca un poco e gnagio s’archipatta».
Sarebbe comunque più sensato di molti dibattiti politici di oggi. Ma forse è chiedere troppo. Forse, tra un guaito e un ululato, dovremmo fermarci a riflettere in questo bestiario. A che servono, esattamente, questi talk show? Informano qualcuno? Servono alla democrazia? O sono solo il ring per un wrestling verbale, dove vince chi urla – o abbaia – più forte? Magari è il momento di cambiare canale. O di spegnere la tv.
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