Cosa possiamo imparare in Italia dagli incendi di Los Angeles, di Elena Granata

Hanno fatto il giro del mondo le immagini delle ville di attori e produttori cinematografici lungo la costa di Los Angeles, dove è bruciato Pacific Palisades, piccolo paradiso di case unifamiliari circondate dal verde. Qui sono andati in fumo più di 22.000 acri di terreno, e l’incendio a Pasadena e Altadena ha bruciato 14.000 acri nella San Gabriel Valley, secondo i numeri di CalFire, mentre 150.000 persone sono state sottoposte a ordini di evacuazione obbligatoria. Si tratta del più grande incendio mai registrato in questa area del pianeta.
Hanno perso casa in tanti, compresa una larga parte della comunità nera residente ad Altadena, ma certamente, quando a perdere la casa sono Paris Hilton o Mel Gibson e le loro ville da milioni di dollari, il messaggio che arriva è chiaro: nessuna ricchezza privata, nessuna villa di lusso è salva dalla potenza del fuoco e della crisi climatica.
Capire le caratteristiche di questo modello insediativo – questo modello di non-città – può aiutarci a leggere dietro i dettagli della cronaca. Quelle caratteristiche che hanno garantito il successo di questo piccolo paradiso per ricchi sono le stesse che ne stanno determinando l’estrema fragilità: un modello urbano a bassissima densità – in gergo tecnico parliamo di sprawl, di espansione suburbana incontrollata che produce molto consumo di suolo – con case unifamiliari, solitamente costruite in legno e prefabbricate, immerse nella vegetazione, piccole o enormi ma tutte dotate di un giardino di pertinenza, con pochissime strade di accesso, strette e a senso unico, che conducono alle singole case e garantiscono la privacy. È una città fortemente dipendente dall’uso intenso delle automobili private e caratterizzata dall’assenza di mezzi pubblici. La forma più spinta di città privata, potremmo dire, ricca di servizi legati al benessere individuale (così si legge nei numerosi siti di compravendita immobiliare che fanno riferimento a ristoranti, pub, piscine, spa) ma carente di strutture e infrastrutture collettive.
Non possiamo non correlare il cambiamento climatico con queste singolari caratteristiche morfologiche: il riscaldamento globale intensifica la siccità e prolunga le stagioni degli incendi. La combinazione di decenni di siccità, seguiti da forti piogge negli ultimi anni e poi da un ritorno alle condizioni di siccità questo autunno e inverno, ha fornito carburante per l’incendio, mentre i potenti venti di Santa Ana hanno rapidamente seccato la vegetazione e propagato le fiamme attraverso canyon e colline.
La morfologia del territorio, con strade strette e tortuose, ha complicato ulteriormente le operazioni di evacuazione e soccorso. Durante gli incendi, residenti e soccorritori si sono spesso trovati intrappolati in un dedalo di vie congestionate, dove il traffico alimentato dal ricorso al mezzo privato ha creato blocchi e ingorghi pericolosi. In alcune zone, i sistemi idrici non sono in grado di fornire acqua a sufficienza per alimentare gli idranti, lasciando i vigili del fuoco senza risorse essenziali.
La lezione è drammatica ma purtroppo chiara: nessuna ricchezza individuale mette al riparo dai rischi ambientali di questo tempo e solo sistemi di autoprotezione collettiva ci possono salvare.
È necessario sviluppare una nuova cultura del rischio. Un esempio è il programma Firewise Usa che promuove comunità progettate per convivere in sicurezza con il rischio di incendi. Prevede la riduzione della vegetazione infiammabile vicino alle abitazioni, spazi verdi progettati per interrompere la diffusione del fuoco, costruzioni con materiali ignifughi e una gestione sostenibile delle risorse naturali.
Più in generale, è utile individuare alcuni criteri per la pianificazione di quartieri suburbani più resiliente agli incendi: evitare lo sprawl urbano e promuovere una maggiore densità abitativa nelle aree urbane centrali, riducendo la necessità di costruire in aree boschive e, quando possibile, creando aree prive di vegetazione altamente infiammabile (firebreaks) attorno ai quartieri (una norma in vigore anche a Los Angeles ma spesso è stata trascurata). Progettare una rete stradale con più collegamenti e alternative di accesso, evitando vicoli ciechi e punti di strozzatura che ostacolano evacuazioni rapide e interventi di emergenza, e introdurre corsie riservate ai mezzi di soccorso e al trasporto pubblico, utili durante evacuazioni di massa.
Evitare la costruzione in aree collinari o vicino a vegetazione altamente infiammabile, identificando e proteggendo le zone ad alto rischio. Gestire la vegetazione attraverso incendi controllati e rimozione periodica di erba secca, cespugli e alberi morti. Anche in un contesto culturale che costruisce in legno, con sistemi industriali e di prefabbricazione avanzata, prevedere tetti e grondaie ignifughi, eliminare materiali infiammabili dalle facciate e installare sistemi di irrigazione automatizzati.
Progettare reti idriche con serbatoi e pompe sufficienti per supportare gli interventi antincendio, anche in condizioni di emergenza. Implementare reti elettriche decentralizzate che possano mantenere la funzionalità durante emergenze e ridurre il rischio di blackout. Promuovere il trasporto pubblico come parte dei piani di evacuazione, con percorsi dedicati per autobus e mezzi pubblici.
Educare i residenti su come prepararsi agli incendi, con percorsi di evacuazione chiari e pratiche per ridurre i rischi nelle abitazioni. Organizzare esercitazioni di evacuazione per testare l’efficacia dei piani di emergenza.
È assolutamente evidente che la sicurezza pubblica rappresenti un bene comune fondamentale, da proteggere e sostenere attraverso politiche adeguate, investimenti mirati e un coinvolgimento attivo della comunità. Cominciare a parlarne nelle nostre aree più a rischio (penso alla Sicilia dell’emergenza idrica) è il solo modo per prevedere l’imprevedibile.

avvenire.it/opinioni/pagine/la-lezione-di-los-angeles

PRESENTANDOCI

Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.


 

 

VOLONTARI CERCANSI

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Cerchiamo giovani che desiderano fare domanda per i nostri progetti, evidenziare sui siti la ricerca dei volontari, promuovere incontri informativi.

Al seguente link trovate tutte le schede sintetiche dei progetti finanziati promossi da CIPSI e pubblicati sul nostro sito, anche quello di Cercasi un fine:

Progetti ITALIA: https://www.cipsi.it/2024/12/progetti-scu-cipsi-italia-2024-candidati-con-noi/ oppure progetti ESTERO (sempre nello stesso sito)

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