I vincitori e i vinti della globalizzazione si sono ritrovati. E oggi sono alleati nella nuova destra. L’ascesa di Fpo in Austria al governo, la crescita dei consensi per Afd in Germania, le affermazioni dei partiti di destra radicale in Norvegia, Belgio, Olanda, oltre al caso Italia con Giorgia Meloni e alla lunga rincorsa di Marine Le Pen in direzione Eliseo non dicono solo che l’Europa è cambiata. Raccontano che la nuova destra sta facendo proseliti un po’ ovunque e che, dall’America all’Europa, non esita a trovare un alleato inedito nei nuovi poteri forti. Anzi, fortissimi. Chi sono? Sono i grandi ricchi della Silicon Valley, innanzitutto. È come se, fatte le debite proporzioni, ci fosse un’altra “M” a determinare in questa fase storica la via della destra populista. È la “M” di Musk, l’uomo del nuovo secolo, il guru tecnologico desideroso di dettare l’agenda del consenso politico, unendo nella sua visione le due sponde dell’oceano e facendo sintesi tra protesta di piazza e interesse di Stato.
Il nemico comune
Come chiamare, allora, la nuova destra? C’è chi l’ha definita tecno-destra, chi si sofferma sulla componente estremista, chi rilancia la caratteristica populista e illiberale. «Un obiettivo comune tra pulsioni anti-sistema dei partiti al potere e paladini delle nuove tecnologie c’è» osserva il politologo Marco Valbruzzi. «Entrambe le parti vedono le liberaldemocrazie come un ostacolo e hanno come obiettivo proprio l’indebolimento degli assetti attuali. In questo senso, siamo di fronte a un’alleanza spuria: le forze politiche basano la loro legittimazione sul voto di ceti sociali che chiedono protezione dall’incubo globalista nelle sue diverse sfumature, mentre la super élite mondialista ha saputo cavalcare per tanto tempo i vantaggi del mercato selvaggio e senza regole». Ora i grandi gruppi della finanza e dell’industria passano all’incasso della politica. È l’immagine di un’aristocrazia elitaria che «si è presa il mondo», per usare le parole di Stefano Zamagni, sapendo intercettare il vento impetuoso che spinge le formazioni di destra al potere, e chi da destra il potere deve ancora conquistarselo.
Per capire come è cambiato lo scenario, Mattia Zulianello, professore associato di Scienza politica all’Università di Trieste, racconta un aneddoto. «Ogni anno, all’inizio dei corsi che tengo ai miei studenti, aggiorno la mappa dei partiti nati e cresciuti a destra, spesso grazie a spinte populiste. Dieci anni fa, alcuni Paesi ancora non avevano forze rilevanti di tipo sovranista. Oggi c’è un proliferare di sigle, partiti, leader, anche nello stesso Paese. E se l’offerta politica aumenta, è perché sotto c’è una forte domanda». Pesa quello che lo stesso Zulianello definisce come “nativismo”, un fenomeno in base al quale è la popolazione autoctona di un determinato territorio a poter rivendicare diritti prima e in misura maggiore rispetto a chi è arrivato dopo. Si innesca qui, evidentemente, l’uso strumentale del tema dell’immigrazione, che porta consensi immediati a chi lo utilizza come vessillo identitario. «Il populismo è la spolverata che si dà in superficie – aggiunge Zulianello – ed è l’elemento che sui social funziona di più, perché rappresenta un modo morale di vedere la politica». Usa proprio la parola «morale», il professore di Trieste, perché è un aggettivo che consente di enfatizzare qualcosa in chiave manichea, «separando il bene dal male in modo netto, come fanno con successo tanti testimonial di questa area politica per catturare gli elettori». Una distinzione manichea che polarizza e che la destra radicale ha saputo utilizzare molto bene nella comunicazione e nella propaganda, «basta pensare ai meme fatti circolare con efficacia da Alternative fur Deutschland nell’attuale campagna elettorale tedesca» aggiunge Zulianello.
Le sirene autoritarie
Per lo storico Domenico Guzzo, che insegna all’Università di Bologna, «l’ascesa delle destre a livello globale diventa solitamente uno scenario plausibile quando il tempo delle riforme inizia a tramontare. La primissima fase, a seguito di cambiamenti epocali, normalmente si configura nel tentativo di cavalcare una nuova stagione attraverso il cosiddetto progressismo riformista. Quando questo sforzo non riesce nell’impresa, tutto si devìa verso una risposta d’ordine. In fondo, è quello che sta accadendo oggi».
Anche l’Europa, in tale prospettiva, diviene allora un simulacro dell’establishment di sinistra, facile bersaglio per i leader emergenti delle nuove destre, come si è visto. «In Germania e Austria, il fatto di non aver saputo affrontare la crisi economica e sociale degli ultimi anni ha portato alla ricerca di risposte carismatiche». Personalità come Alice Weidel dell’Afd o come Herbert Kickl di Fpo nascono da un humus molto forte, prepolitico, quasi inimmaginabile alcuni anni fa. Quando i modelli saltano, riemerge infatti la voglia di un leader forte, com’è già accaduto in Paesi come l’Italia o l’Ungheria. «Gli elettori non sono nostalgici – spiega Valbruzzi -, hanno semplicemente voglia di ristabilire ordine anche in modo autoritario. E una democrazia che non garantisce sicurezza e protezione, per questo tipo di persone, diventa semplicemente un impedimento».
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