Di ritorno dalla Siria: riflessioni, di Barbara Schiavulli

È ora di tornare, ma di sicuro questi sconvolgimenti mediorentali non smetteremo di raccontarli.

Vivere la fine della dittatura in Siria è stato un momento storico, non certo paragonabile alla gioia di centinaia di migliaia di persone che hanno tirato un sospiro e buttato fuori libertà.

Mancava elettricità, acqua calda, tutto quello che per noi è comodo e scontato, ma c’era quell’idea di possibilità e cambiamento che non si ha la fortuna di vivere spesso.

Il prezzo è stato alto, migliaia di vite spezzate, distrutte, un decennio di guerra che non è ancora veramente finita e nessuna certezza perchè ormai lo sappiamo, questo mondo malato non guarda alla vita della gente, ma agli interessi dei potenti che ora neanche ci provano più a mostrare che almeno qualcosa la fanno per gli altri.

Stamattina, prima di venire qui all’aeroporto di Beirut, parlavo con un amico umanitario a Gaza. Demoralizzato perchè la gente continua a morire come se fossero pedoni di una scacchiera dove si perde solamente. E io non so come consolarlo. Come consolare me, come consolare chiunque importi.

Non interessa a nessuno veramente. Non interessa il momento, le conseguenze, non interessa la mancanza di voce in capitolo dei popoli. Non interessa all’informazione che forse ha capito prima di me che non c’è nulla che possiamo scrivere che faccia sollevare un sopracciglio alla gente.

Riusciamo a fare nel piccolo, tra di noi, tra ong, giornalisti indipendenti, cittadini non indifferenti, ma i massimi sistemi non si spostano perchè si è completatamente perso il valore della vita umana.
Piano piano le si è tolta l’essenza trasformandoci in esseri non veramente reali, che se spariscono come un video scrollato.

Gente che si accanisce su malati che vogliono morire dignitosamente o che mettono becco nel diritto legittimo e legale di abortire e non parlano di quello che sta succedendo a Gaza, o in Libano o in Darfur o in decine di altri posti dove si viene uccisi ogni secondo.

Non c’è giustizia, non c’è rispetto, non c’è nessuna visione futura. Politicanti capaci di discutere per ore sul significato del genocidio, senza aver le palle o le ovaie per guardarlo in faccia e riconoscerlo.

E allora perchè continuo a scrivere, a partire non volendo mai tornare? Perchè mi sembrano più vivi i morti di Gaza che tutti quelli che sanno solo aggredire online.
Quelli che procedono con le loro vite come intorno a loro non ci fosse un enorme cimitero dove coltivano i prodotti biologici, mettono a stendere al sole i panni.
Forse è solo sopravvivenza. Se si vedesse veramente il mondo per quello che è, non saremmo in grado di sopportarlo.

Perchè continuiamo a tentare di fare la differenza, allora?
Perchè esiste quel vecchietto di 77 anni in una cittadina del sud est della Siria che dopo essere stato torturato per 17 anni, mi ha detto che la sua vendetta contro chi gli ha fatto del male, è essere un uomo di pace.

Perchè c’è un medico a Gaza, tra i tanti, arrestato dagli israeliani che fino a che ha potuto dopo aver perso un figlio ed essere stato ferito ad una gamba, ha continuato a dirigere un ospedale assediato e a curare i pazienti che non ha mai abbandonato.

Perchè c’è una donna in Afghanistan che in segreto insegna alle ragazze anche se è vietato. Perchè ovunque ci sono eroi che i giornali non vogliono raccontare, perchè definiscono la poca umanità che abbiamo dentro e a nessuno piace guardarsi allo specchio e vedersi per quello che si è.

Per questo, forse, non si smette di scrivere e partire, e sperare di ripartire, perchè le parole servono.

E forse perchè siamo dannati, destinati a non trovare mai pace, pur continuando a cercarla nella vita degli altri.
Ci si vede!

Barbara Schiavulli

[giornalista di guerra, direttrice di www.radiobullets.com, Roma]

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