La Parola fatta carne, le parole vuote, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
( Gv 1, 1-18 – messa del giorno).

     

Penso che gli auguri che ci inviamo, per lo più messaggi via cellulare, spesso sono frutto di una ricerca per scegliere la frase o la poesia o il video più belli e significativi. Ho sempre associato questa ricerca alla preoccupazione di dare un senso, non banale, all’augurarsi “Buon Natale”. Eppure c’è qualcosa che non mi convince: è quello che scriviamo che dà senso oppure il Natale lo ha già in sé?  

Gesù, dall’evangelista Giovanni, è definito il Verbo, la Parola (logos in greco). È la Parola per eccellenza, perché è la Parola di Dio. E, quindi, tutte le parole umane se non attingono e portano a questa Parola, che è Gesù, sono chiacchiere, vano parlare o, a volte, spade affilate che uccidono più delle armi. 

La Parola di Dio si fa carne (sarx egeneto, nel testo greco). “Carne” è più forte di “uomo”. Lo è, in modo particolare, di questi tempi perché “il corpo – come scrive William Davies – è diventato una delle principali aree di scontro degli esperti e delle loro prospettive morali, emotive e politiche”. Ma il corpo oggi è purtroppo sottoposto ad estremismi di ogni genere: da un parte il culto di esso (cosmesi, chirurgia estetica, ricerca fanatica del peso forma); dall’altra l’offesa della sua dignità (violenze, mutilazioni, abusi, omicidi, pornografia, discriminazioni sessuali ed etniche). Quel Bambino che giace nella mangiatoia non è un estremista: vuole la salute, non l’idolatria del corpo; vuole la pace non la distruzione del corpo.

Gesù si fa carne perché in Dio dire e fare sono indissolubili, come nella creazione dove Dio “dice” la luce “è – si fa – si concretizza” (Gen 1). E qui la sfera pubblica, politica in primis, è il regno delle parole vacue: pochissime parole autentiche legate a gesti benefici; un mare immenso di chiacchiere stucchevoli con gesti ambigui e dannosi. Una vecchia malattia che già Hannah Arendt aveva ben stigmatizzato: un potere fatto di “parole vuote e gesti brutali, di parole usate per nascondere e gesti usati per violare e distruggere”. Fino a non provar nessuna vergogna per questo modo di fare. La Arendt aggiunge, poi, che parole e gesti sono autentici se servono “a stabilire nuove relazioni e creare nuove realtà”. Per Giovanni, infatti, Gesù è pienezza che dispensa grazia e verità, parole e gesti autentici.

La Parola di Dio, come in ogni Natale, ci giunge, si fa carne, mentre siamo immersi e circondati da tante, tantissime parole umane, di ogni tipo e di diverso valore. Si potrebbe dire che la Parola si incarna nella confusione… in noi e attorno a noi.  Allora lo sforzo è preparare luoghi – fisici e relazionali – in cui impariamo a dominare la nostra realtà con la Parola fatta carne. 

L’incarnazione di Gesù non diventa banalizzata se, abbandonandoci totalmente in Lui, iniziamo a comprendere come la Parola di Dio si fa carne sempre e ovunque, senza chiacchiere e brutalità. Anche in noi.

Rocco D’Ambrosio

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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