“Information. Information is all… is it not?” Passeggiando lungo un torrido deserto sudamericano, Ernst Stavro Blofeld descrive così il mondo del controllo, del potere. Con una mano controllare l’informazione, con l’altra il mondo. L’arcinemico di James Bond si era convertito, nato Franz Oberhauser, era divenuto un visionario, che aspirava al controllo dell’informazione. Un controllo totalitario, globale. Il Blofeld di Sam Mendes agita uno spettro sul mondo dell’informazione. L’informazione è tutto, forse non è così? L’informazione si agita in maniera dispotica, ogni giorno con maggiore intensità. Uno spettro fatto di dati, computer, server, modelli linguistici, macchine, algoritmi, intelligenze artificiali, schermi.
La tecnologia dell’informazione e gli information networks digitali non rappresentano più una realtà parallela, come nel Novecento. Non più cera calda, colata a freddo sul mondo; distinta, opaca e separata dalla forma della realtà del mondo esterno. Il dominio dell’informazione esiste negli scambi intersoggettivi del quotidiano, regola questi scambi e suggerisce i modi migliori per ottimizzarli. La tecnologia dell’informazione ha cambiato il mondo. E quindi ha cambiato anche la filosofia.
Luciano Floridi ha sistematizzato, ordinato e massaggiato questa nuova “terra reclamabile”. Una terra fragile. Il filosofo dell’informazione, che da poco si è trasferito a Yale per guidare il Digital Ethics Center, ha nel suo mirino la creazione dei Principia Philosophiae Informationis. Uno sforzo tetralogico, che batte i confini del pensiero e lotta per una “espansione della frontiera filosofica”. La filosofia dell’informazione ne è il suo cuore.
Il mese scorso, Raffaello Cortina Editore ha pubblicato la traduzione di un testo, Filosofia dell’informazione, uscito in inglese nel 2011, che rappresenta il primo volume della tetralogia. Floridi descrive, dischiude e include “nuove aree di indagine filosofica”, in opposizione allo scolasticismo – quella “proficua e inevitabile dialettica tra innovazione e conservatorismo” –, al movimento inerte e alla degenerazione della filosofia istituzionale.
La critica e condanna dello scolasticismo sono un attacco alla “canonizzazione scolastica”, che costruisce limiti rigidi nella disciplina. Canoni per una filosofia conservatrice. Ma, guardando da un’altra terra, da una terra non ancora promessa, anzi incompiuta, i limiti diventano ponti per il superamento della canonizzazione e della scolarizzazione delle coscienze. Quei limiti rigidi chiudono le vie che il discorso filosofico richiede aperte, distrutte, e impongono al discorso pensante di costruire nuovi ponti da gettare oltre. Poiché “ogni movimento intellettuale genera le condizioni della propria senescenza e sostituzione”. Allora sappiamo che il nostro pensiero è il sentiero già incompiuto della nostra fine, il nostro destino – la filosofia è il destino del pensiero.
In questa terra fragile, i filosofi diventano sentinelle mandati a perlustrare i confini del pensiero sensato e a presiedere le frontiere distaccate, ghiacciate: a vigilare sulla semantica. La filosofia dell’informazione richiama le sentinelle al loro luogo pubblico, in vista, sotto le torri d’avorio, sulle mura del dialogo conflittuale; riporta il pensiero nella materialità della società (dell’informazione) e tra le tecnologie che regolano la vita e nell’ambito dell’infosfera – all’insegna di un “progetto costruttivista”. Il pensiero rientra dal suo inverno filosofico:
«La filosofia mainstream non può fare a meno di essere conservatrice, non solo perché i valori e gli standard sono di regola meno fissi e chiari in filosofia che nella scienza, e per questo più difficili da sfidare, ma anche perché […] questo è il contesto in cui una posizione culturalmente dominante è conquistata alle spese di approcci innovativi o non convenzionali.»(Floridi, Filosofia dell’informazione)
Ma l’informazione è anche il dominio della lotta dell’intelligenza artificiale. Un’informazione che selcia la strada per il potere e il controllo visionario forse? Seguendo una visione dell’informazione definita “populista” da Yuval Noah Harari nel suo ultimo libro Nexus, sì, poiché si crede che una maggiore quantità d’informazione porti a più potere. Invece, dice lo storico, sono gli snodi degli information networks a essere più importanti. Chi ha accesso a quegli imbuti delle reti informative, assume il potere. Ovvero, chi ha il controllo degli snodi ha la capacità di centralizzare il potere su di sé.
Harari nota come l’imperatore romano Tiberio diventò un burattino di Lucio Elio Seiano, il comandante della guarda pretoria. L’imperatore era il centro dell’impero, ma Seiano ne controllava gli snodi delle reti informative. Chi controllava il potere secondo Harari? Il secondo, poiché era filtro e selettore dell’informazione. Oggi, quegli snodi sono fatti di silicio.
In Nexus, Harari fornisce anche un’interpretazione differente, rispetto a quella di Floridi, della disinformazione e della misinformazione. Concetti scapestrati e maltrattati sulle riviste scientifiche, quanto sui social networks e sui media tradizionali. Il filosofo italiano definisce la misinformazione come dati ben formati e dotati di significato, ma falsi. Dei tipi di misinformazione sono i dati errati o delle false proposizioni. Una pseudo-informazione, una anti-informazione: un movimento che agisce contro la conoscenza. Invece, lo scrittore israeliano sostiene che la misinformazione e la disinformazione siano informazione: errori e rappresentazioni errate della realtà la prima, spudorata menzogna costruita per cambiare una visione del mondo la seconda:
«La filosofia non è un’aspirina concettuale, una superscienza o la manicure del linguaggio, ma un’ingegneria concettuale, cioè l’arte di identificare problemi concettuali e disegnare, proporre e valutare soluzioni esplicative.»(Floridi, Filosofia dell’informazione)
Nel suo essere ingegnoso, l’essere umano ha costruito il dispositivo filosofico per delimitare la cultura, per dare dei confini al linguaggio, per esternalizzare e condividere le “narrazioni concettuali progettate” dal sé. La filosofia, ovvero, intesa come “l’ultimo stadio della riflessione”. Uno stadio che costruisce una trama semantica fragile. L’informazione è fragile ed esposta ad attacchi e distruzioni interni ed esterni.
La filosofia costruendo, pensando e criticando, lascia dietro di sé della “segatura”, del “disordine”; masticando, ruminando, attraversando e tagliando i problemi partoriti dall’epoca, produce un offcuts lasciato indietro, un rifiuto del pensiero – ma è questo rimasuglio a produrre confusione? e il pubblico invitato nelle stanze del pensiero, guarda la segatura (o polvere) invece che l’opera filosofica?
Ogni opera di costruzione lascerà ai suoi piedi della segatura, degli scarti, degli avanzi, dei frammenti. E il dotto mostra alla sua allieva gli avanzi del pensiero, indicando in che cosa consista il processo del pensare – ma l’allieva ribelle capirà che nei frammenti si nascondono i passi della filosofia più profonda.
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