Gaza, il papa e quella domanda di giustizia, di Alberto Bobbio

Ancora una volta sbaraglia convenzioni e tra le più consolidate. Guerra e casa, due drammatiche circostanze con le quali l’umanità fa i conti. Eppure su entrambe la ragione scivola e s’incarta su soluzioni precarie per cui la pace e il tetto sono sempre meno considerati un bene per tutti. Papa Francesco come sempre si schiera dalla parte antagonista della storia, all’opposizione dei conflitti, di quelli non ci stanno ad accettare le soluzioni semplici di chi governa, che di solito sono due: da una parte i buoni dall’ altra i cattivi. Bergoglio ieri ha stupito solo gli stolti, quelli che nel Vangelo non riconoscono di essere parte di una vita e di una convivenza che ha bisogno della pace personale e dei popoli, pace sociale e pace spirituale.

Quanti sono gli stolti oggi nel mondo? E quali sono? Sono i governanti che stritolano i popoli, i dissipatori di un’economia che genera diseguaglianze, chi dilapida e chi fallisce, perché costruisce sulla sabbia. Il Papa ha chiesto una cosa molto semplice e cioè di indagare se quanto sta accadendo a Gaza possa essere connotato come genocidio. Ha il sospetto che qualcuno si giri dall’altra parte e forse ritiene che ormai siano una moltitudine. Qualcuno ha già alzato il dito e ha promosso azioni legali presso le Corti internazionali. Il Papa ha solo chiesto di appurare se le loro preoccupazioni, cioè le preoccupazioni di schiere di giuristi, avvocati internazionali, alcuni governi e soprattutto molti cittadini di tutti i Paesi siano fondate. Così come ha chiesto a chi possiede case e le ha vuote, soprattutto parrocchie, ordini religiosi, diocesi le destini ai senza tetto sempre più numerosi. In entrambi i casi ha suscitato perplessità. Naturalmente soprattutto per il genocidio.

Tuttavia se osserviamo bene casa e conflitti sono due delle tante facce di quel poliedro della sofferenza che è il mondo e che ha bisogno di un altrettanto poliedro di soluzioni, dove nulla deve essere mai dato per scontato. Le reazioni sono state feroci, perché la questione di Gaza è sensibile più di altre. Il problema è proprio questo. Il Papa non ha mai escluso nulla dalla sua agenda in questi anni di Pontificato. Ha solo dimostrato che è possibile vedere le cose da un altro punto di vista e poi che c’è sempre un punto di vista in più. La questione palestinese e la questione israeliana vanno considerate insieme. Sono entrambe un problema per il mondo. Invece il mondo distingue buoni e cattivi. Il concetto di genocidio è da trattare con attenzione e accortezza. Proprio questo ha suggerito il Papa. Solo restituendo al concetto un valore e un significato non ideologico si fa il bene dell’umanità e si restituisce dignità alla parola e ai popoli vittime innocenti. Non dovrebbe scandalizzare questo ragionamento. Eppure accade.

Quando contano gli stolti del Vangelo in questa temperie? Quanto conta chi ragiona sulla base della diffidenza, dell’indifferenza, sotto la pressione della paura o in cerca di vantaggi elettorali? Quanto chi ha fatto della violenza e del suprematismo politico, religioso, etnico e identitario la sua visione dell’oggi e del futuro? La guerra in Medio Oriente è uno intreccio drammatico di ogni tragedia personale e politica. La storia pesa come un macigno e nessuno può certificare per sé di essere il migliore. Occorre un giudice che sappia guardare con occhi in grado di indagare un orizzonte più vasto. È o non è un genocidio? Domanda semplice, risposta complessa, ma risposta necessaria. Il Papa ha chiesto solo questo. È o non è uno scandalo che qualcuno non abbia un tetto, mentre molti tetti non proteggono nessuno? Domande dettate dalla precarietà della vita. Trovare risposte è un segno di speranza.

*Giornalista vaticanista, Roma

Fonte: L’Eco di Bergamo

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