In seguito alla vittoria di Donald Trump, ciò che mi ha più stupito è la polarizzazione selvaggia su qualsiasi dettaglio elettorale, con le conseguenti analisi spesso fuori fuoco e trainate dal sensazionalismo. Per esempio: il fatto che Trump abbia avuto più voti nelle zone con il tasso di istruzione più basso. La statistica nuda e cruda è stata estrapolata da Elon Musk per farne un motivo di vanto e attaccare le università più prestigiose, e dalla sinistra mondiale per indicarla come una sorta di parametro di valore e conseguenza della decadenza culturale della società, ponendosi sul solito piedistallo. In modi diametralmente opposti, e a prescindere dai giudizi personali, entrambe le vedute mi fanno paura.
Quella di Musk non è altro che la crociata della galassia MAGA contro un presunto elitarismo, nonché il manifesto dell’anti-intellettualismo. Intanto è bizzarro che a scagliarsi contro l’élite sia l’uomo più ricco del mondo in appoggio a un altro multimilionario in procinto di diventare per la seconda volta presidente degli Stati Uniti. Lo stesso può valere anche per Jeff Bezos, che tra l’altro come proprietario del Washington Post ha impedito al suo quotidiano di sostenere Kamala Harris: gli intellettuali fanno parte di un gruppo elitario lontano dal popolo, però per viaggiare con Bezos nello spazio un biglietto costa 28 milioni di euro e lo stesso Musk è pronto a portare la sua cerchia su Marte. Dunque gli scrittori, scienziati o artisti dem sono, nell’ottica repubblicana, degli ipocriti che si lanciano in endorsement non recepiti dall’americano medio, in quanto distanti dalla realtà di provincia e tutta la retorica sui sacrifici. E a spiegarcelo sono Musk e Trump, ovvero la faccia più spudorata del capitalismo, i magnati che da soli detengono un patrimonio più alto del Pil di diversi Stati in cui hanno vinto i repubblicani.
Il vero problema, a mio avviso, è però la deriva dell’anti-intellettualismo che dagli Stati Uniti ha ormai raggiunto tutti i Paesi occidentali. Sull’argomento c’è un illuminante articolo dello scrittore Isaac Asimov, pubblicato sulla rivista Newsweek nel 1980 e perfettamente attuale già dalla tesi iniziale: “C’è un culto dell’ignoranza negli Stati Uniti, e c’è sempre stato. La tradizione dell’anti-intellettualismo è stata una tendenza costante che si è fatta strada nella nostra vita politica e culturale, alimentata dall’idea sbagliata che la democrazia significhi che la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza”. Tutti i politici populisti, soprattutto i sovranisti di destra, hanno fatto leva in questi anni proprio sull’esaltazione dell’ignoranza e sullo svilimento della conoscenza. Anche in Italia. Penso all’uno-vale-uno del Movimento Cinque Stelle o alle battaglie della destra contro i “professoroni”, appellativo dato a qualunque testa pensante che osasse confutare le tesi di Salvini, Meloni e compagnia bella. Economisti, scienziati, letterati: per i sovranisti-populisti erano e sono dei nemici del popolo, personaggi di cui non potersi fidare. È incredibile come quarantaquattro anni fa Asimov scrivesse proprio questo: “Ora abbiamo un nuovo slogan da parte degli oscurantisti: Non fidarti degli esperti”.
Asimov, inoltre, spiegava come l’uso improprio del termine “elitista” creasse fratture sociali mirate a ridicolizzare persino la competenza di un individuo, fino a portare la massa a non volersi informare. Secondo il maestro della fantascienza, infatti, “capita che la lettura sia proprio uno di quegli argomenti elitistici di cui parlavo, e che il grosso del pubblico americano, preso dalla sua diffidenza verso gli esperti e dal suo disprezzo per i professori con le teste appuntite, non riesca a leggere e non legga”. I “professori con le teste appuntite” non sono altro che l’equivalente dei “professoroni” di Salvini, e a quanto pare la preveggenza di Asimov non si è limitata ai robot e ai temi scientifici, ma a uno spettro sociale che ai giorni nostri determina i movimenti politici del pianeta. Siamo arrivati al punto di considerare un insulto la parola “intellettuale” e di affidarci a rappresentanti che vogliono mostrarsi come noi – ma io vorrei che fossero migliori di me! – quando invece non sono altro che ricchi che detengono più soldi di una percentuale enorme della popolazione. Può valere oggi negli Stati Uniti per Trump e Musk, e in passato con Berlusconi in Italia.
L’articolo di Asimov si chiude con la sua proposta per superare questo problema: “Potremmo cominciare a domandarci se l’ignoranza sia davvero così meravigliosa e se abbia senso che si continui a combattere l’elitismo. Credo che ogni essere umano possa imparare molto e possa essere sorprendentemente intellettuale. Ciò di cui abbiamo tremendamente bisogno è l’approvazione sociale verso i processi di apprendimento e un giusto riconoscimento del valore dell’istruzione. Possiamo tutti essere membri dell’élite intellettuale”. E invece non abbiamo mai appreso questa lezione. Si contrastano le idee con l’abusata accusa di essere un “radical chic”, e i conservatori di tutto il mondo tendono a mantenere nell’ignoranza il proprio popolo perché in questo stato è più utile, meno pericoloso, di certo più addomesticabile. Così la conoscenza e la cultura diventano marchi d’infamia, caratteristiche di persone “distanti dal Paese reale”.
Non aiuta il fatto che Musk sia uno degli alfieri del longtermism, ovvero una pseudo-filosofia che mira a considerare le vite delle persone non ancora nate importanti quanto quelle di chi abita già questo pianeta. Musk intorta dunque il suo gregge spiegando che colonizzeremo Marte e sarà fondamentale per i nostri figli e i nostri nipoti, ma allo stesso tempo il suo “lungo termine” si scontra con la cecità sul presente, come per esempio l’indifferenza per i cambiamenti climatici. Qui la tattica usata da Trump e Musk è la stessa già descritta da Asimov: gli scienziati che ci mettono in guardia sui pericoli per l’ambiente vengono screditati, considerati “esagerati”, e la negazione del problema attuale è collegata alla promessa, ben più allettante, di un futuro Eden. Perché è più utile elettoralmente parlare di un futuro su Marte piuttosto che informare i cittadini sui rischi del nostro pianeta. Si punta quindi sulla disinformazione che fa breccia dove l’ignoranza è dilagante, e quindi Trump può permettersi di dire durante un comizio che “con il riscaldamento globale avremo più ville con vista mare”. Da un lato l’idiozia di chi arringa la folla, dall’altro gli allarmi e i dati scientifici degli esperti. Il problema è che l’idiozia continua ad avere la meglio sulla competenza, e i risultati sono le vittorie dei Trump in tutto il mondo.
L’altra faccia della medaglia è la risposta non del tutto centrata della sinistra su questo argomento. Negli Stati Uniti come in Italia e in tutto l’Occidente, troppo spesso i progressisti hanno demonizzato l’ignorante e non l’ignoranza, la vittima e non la piaga. Così facendo si è allontanata dalle categorie sociali appartenenti alla vecchia sinistra. Quando si commentano i risultati elettorali ed emerge come nelle città vinca la sinistra e nelle campagne la destra, invece di chiedersi il motivo per cui i ceti medio-bassi abbiano abbandonato le ideologie di un tempo, i dem a stelle e strisce e nostrani commettono lo stesso sbaglio: ergersi a entità superiori, rimarcare con orgoglio il nuovo primato tra gli elettori benestanti e giustificarsi lasciando intendere che “gli ignoranti votano la destra perché non capiscono niente”. Ci si concentra più sull’egemonia culturale che su quella che un tempo era proletaria, poi operaia e adesso un frammento di anime confuse perché non più rappresentate dai vecchi punti di riferimento. L’intellettuale è tale se è in grado di uscire dalla propria torre d’avorio e parlare non soltanto del popolo, ma “con” il popolo. E oggi i Pasolini sono sempre meno, si preferisce incolpare l’elettorato e non le lacune di una classe dirigente che dovrebbe recuperare un intellettualismo organico, aderente alla realtà in cui viviamo. Altrimenti l’andazzo degli uomini più ricchi del mondo a fingere di proteggere i più poveri continuerà senza alcun tipo di contrasto, l’ignoranza sarà un metro di riconoscimento sociale e la sinistra resterà imbolsita, immobile nelle sue analisi che tengono conto di tutto, ad eccezione delle persone stesse. E allora forse ci meritiamo Elon Musk.
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