Il viaggio ai confini del mondo di papa Francesco si è appena concluso, ma uno dei suoi tratti, fondamentale, non è stato colto. Questa distrazione potrebbe costare, perché molto ci dice che stiamo arrivando al bivio e non è logico far finta di nulla: ce lo indica il fatto che molto si parli di estensione del conflitto mediorientale, citando una guerra in Libano che coinvolgerebbe l’esercito israeliano e quindi la milizia khomeinista di Hezbollah.
Quali dimensioni questo nuovo conflitto avrebbe, se ci fosse? Cosa comporterebbe in termini di distruzioni e vite umane? Anche questo non può essere detto non avendo idea di che forma e limiti avrebbe la guerra. Ma che sarebbe grave è fuor di dubbio. L’azione dei guerriglieri khomeinisti yemeniti, gli Houti, che hanno lanciato un missile ipersonico contro Israele sembra voler avvertire che non ci si limiterebbe al Libano.
Israele certamente risponderà. Ma la questione non è azione e reazione, ma il contesto: imboccando questa strada andremmo verso la Guerra Santa? Evitandola si darebbe fiato alla speranza di una Santa Alleanza, questo è il punto rimosso. Per cercare di capirsi bisogna capire cosa sarebbe questa Santa Alleanza che si intravede chiaramente nell’azione ormai decennale di Francesco, e che è proceduta anche in questi giorni.
Per una Santa Alleanza
Francesco ha operato, con un coraggio e una visione evidenti, per spingere il mondo verso l’alternativa alla Guerra Santa, che qui viene chiamata Santa Alleanza. Lo ha fatto anche in queste ore che viviamo, a Giacarta, nel cuore cioè di quello che è il paese musulmano più popoloso del mondo, firmando un nuovo documento per l’umanizzazione e la difesa del creato con l’imam della grande moschea di Istiqlal. Non sono questi i due nodi mortali che si stanno stringendo al collo del mondo? Disumanizzare l’altro è una condizione indispensabile per le Guerre Sante, che con l’estrema violenza contribuiscono a mettere in crisi la casa comune.
Giustamente, dal Bahrein, il vicario apostolico competente per tutta la penisola arabica ha definito questa firma un atto che si pone nella scia della firma ad Abu Dhabi del Documento sulla fratellanza umana, sottoscritto da papa Francesco e dal grande imam dell’università islamica di al-Azhar.
Dunque è evidente che Francesco ha lavorato e lavora da molti anni per portare il cuore del mondo sunnita sulla via di una Santa Alleanza che propone di vivere insieme. È un’operazione che ha contribuito a progressi importanti e lo si vede nel complesso processo politico: il cuore politico sunnita oggi si muove, pur tra mille difficoltà, contro l’estrema violenza di ispirazione religiosa, preferendo la visione di una Santa Alleanza per il vivere insieme, sebbene gli avvenimenti spingano molti a chiedere di imboccare l’altra strada. A favore della prospettiva di questa Santa Alleanza si può vedere nitidamente l’azioneh di quelle significative parti di Israele che manifestano per il raggiungimento di un cessate il fuoco a Gaza.
Alla Guerra Santa pensano i grandi attori nel mondo, non solo in Medio Oriente: vediamo il patriarcato di Mosca, che lavora nel nome di una presunta «santità» della terra russa, indivisibile, anche con il ricorso all’estrema violenza. Poi certi ambienti ucraini, sempre legati all’estrema violenza, quindi quella destra israeliana che persegue con l’estrema violenza il disegno di prendere il controllo di tutta la terra che rivendica, completamente, e infine, ultimi ma non ultimi, gli ayatollah di Tehran, che fanno dell’estrema violenza la via maestra per rifare l ’impero persiano, con il quale conquistare al loro islam, quello sotto guida teocratica, lo spazio che un tempo si chiamava «mezzaluna fertile», che va da Baghdad al Mediterraneo.
E cosa ci sarebbe alla base di questa Santa Alleanza? È questo l’obiettivo di Francesco, profeta di pace in un mondo distratto? Di certo vediamo una semplice idea che si sviluppa: tutte le fedi possono unirsi per favorire grazie alla piena cittadinanza la possibilità di vivere insieme.
Cittadinanza
Il cammino cominciò a dimostrarsi possibile con la pace di Vestfalia, che pose termine alla guerra religiosa europea, quella dei Trent’anni. E cosa fece di Vestafalia una svolta epocale? La cittadinanza. Certo, venne confermato il deleterio cuius regio eius religio(«la religione sia quella di colui cui appartiene la regione»), ma lo si affiancò con il riconoscimento del diritto di andare in esilio per i dissidenti, di cui si potevano però confiscare i beni solo dopo tre anni. Inoltre, si parificarono i diritti civili di tutte le confessioni. Nasceva dunque una prospettiva nuova; la cittadinanza.
La pari cittadinanza è l’idea che Francesco propone con la sua opera di questi anni pontificali, dal 2019, quando a coronamento di un lungo lavoro, ha firmato il Documento di Abu Dhabi con l ’imam al Tayyeb, poi ha promulgato l’enciclica Fratelli tutti, nel 2020, e ora il Documento di Giacarta, del 2024.
Sulla cittadinanza si legge nel documento di Abu Dhabi:
«Il concetto di cittadinanza si basa sulla eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia. Per questo è necessario impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli».
A Giacarta il discorso è proseguito: convenuto sulla cittadinanza si può procedere nella cura dei legami, senza dover «cercare a tutti i costi dei punti in comune tra le diverse dottrine e professioni religiose», ma piuttosto creando un collegamento tra le diversità. Non è la Santa Alleanza per il vivere insieme?
Libano: lo Stato della convivenza
La nuova emergenza bellica che potrebbe coinvolgere presto il Libano assume così un significato valoriale. Il Libano infatti, con tutte le sue gravi carenze, è l’unico Stato complesso, non confessionale perché multiconfessionale, che propone un modello: lo Stato della convivenza, cioè del vivere insieme, cioè della cittadinanza. Affossare questo Libano, con tutte le sue gravi carenze evidenti, vorrebbe dire affossare il solo modello per costruire un altro Medio Oriente.
Così mi colpisce molto che questi venti di guerra di cui molto si parla emergano nelle ore in cui ricorre l ’anniversario del massacro di Sabra e Shatila; pagina di buio pesto e nota della guerra civile libanese e dell’invasione israeliana. Questa pagina merita qui, nel dolore che riporta a galla, di essere ricordata per un aspetto raramente richiamato: la convergenza. Il massacro nel campo profughi fu compiuto, come è noto, da miliziani cristiani.
Loro uccisero i profughi, con le loro mani, con l’assenso tacito dell’esercito israeliano che stazionava fuori dei campi. Ma la copertura politica ai massacratori fu data dal regime siriano, alleato dell’Iran; non fu implicato in alcun modo nel massacro, ma quando finì la guerra il capo della milizia cristiana che perpetrò la strage, Elie Obeika, fu nominato dai vincitori, cioè dai siriani, ministro. Gli affidarono il ministero che doveva prendersi cura degli sfollati.
Gli opposti estremismi, qui in particolar modo quello islamofobo cristiano e quello totalitario siriano, alleato dei teocratici di Teheran, sanno capirsi: i fautori della Santa Alleanza devono urgentemente imparare a riconoscersi. Questo a me sembra che sia il grande merito del grandissimo lavoro di papa Francesco.
Articolo di SettimanaNews del 15 settembre 2024