La foto di famiglia è impressionante. Scattata al Palazzo del popolo in piazza Tiananmen, a Pechino, mostra sullo sfondo un affresco che rappresenta la Grande muraglia, costruita per tenere i barbari lontani dalla Cina. Davanti all’opera sono in posa i leader di quasi tutti i paesi africani, disposti attorno al leader cinese Xi Jinping e alla sua consorte Peng Liyuan.
Il momento è stato immortalato il 4 settembre, a Pechino, dove il 6 settembre si tiene il nono vertice del Forum sulla cooperazione sino-africana, il Focac, uno strumento d’influenza cruciale a cui la Cina attribuisce una grande importanza. Da due giorni la prima pagina del Quotidiano del popolo, giornale del Partito comunista cinese, è dedicata al vertice. Xi ha concesso incontri bilaterali ai principali capi di stato africani, mentre i rapporti con diversi paesi, a partire dalla Nigeria e dalla Repubblica Democratica del Congo, sono stati elevati al rango di “partenariati strategici”.
Questa attenzione è il riflesso di oltre vent’anni di diplomazia cinese in Africa, attraverso cui Pechino è diventata il primo partner del continente superando le ex potenze coloniali e tutti quelli che oggi corteggiano il continente, dagli americani ai turchi passando per gli indiani e gli iraniani.
Inizialmente la Cina si è presentata nel continente con un enorme libretto degli assegni. A colpi di miliardi, Pechino ha costruito strade e ferrovie, investendo nel settore minerario. Al contempo centinaia di migliaia di cinesi si sono trasferiti in Africa. È l’essenza del progetto della Nuova via della seta, basato sulla diplomazia d’influenza cinese.
Vent’anni dopo, non tutto sembra essere andato per il verso giusto. Attualmente si percepisce una certa delusione, soprattutto in merito all’indebitamento che indebolisce diverse economie africane, come quelle dello Zambia o del Kenya.
L’euforia sinofila degli inizi ha ceduto il passo al pragmatismo disilluso con cui i leader africani stanno gestendo il rapporto con Pechino, nonostante gli investimenti in calo a causa del rallentamento dell’economia cinese. La Cina promette di importare sempre più prodotti dall’Africa e pratica la non-ingerenza negli affari interni. “Al contrario di quegli ipocriti degli occidentali”, si sottintende. Il messaggio è ben accolto sui cinque continenti.
L’interesse cinese è duplice. Da un lato la Cina trova in Africa le materie prime e gli sbocchi di crescita di cui hanno bisogno le sue aziende. Dall’altro, “acquista” un’influenza diplomatica significativa nel momento in cui l’ordine mondiale viene rimesso in discussione.
Nei suoi incontri con i leader africani, Xi ha sottolineato che la Cina e l’Africa sono la punta di diamante del “sud globale”, concetto dai contorni ancora poco chiari che evidenzia la divisione del mondo tra gli occidentali e tutti gli altri. Pechino si considera leader di questo sud globale, una posizione che le permette di far presente agli Stati Uniti che i loro tentativi di “contenere” la Cina sono destinati al fallimento.
Nel frattempo tutti i leader africani manifestano a Pechino la loro “ammirazione” nei confronti del leader Xi Jinping e il loro sostegno alla politica “di una sola Cina” rispetto a Taiwan. È un ottimo ritorno per l’investimento iniziale cinese, in un continente che gli occidentali hanno trascurato troppo a lungo. L’Africa non è “allineata” alla Cina, ma si rifiuta di “scegliere uno schieramento” davanti alle richieste occidentali nel quadro della nuova guerra fredda del ventunesimo secolo.
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