A quasi un mese esatto dal ritiro di Joe Biden dalla corsa alla Casa Bianca, sembra proprio che l’operazione Kamala Harris sia riuscita e che la sua campagna si basi su un concetto preciso: l’unità. Intesa sì come unità del partito, ma anche del paese. Il margine complessivo nei sondaggi premia la vicepresidente, che alla Convention nazionale democratica di Chicago ha incassato il sostegno di tutti i grandi nomi dell’area Dem, congedato con onore (non senza incidenti) colui che l’ha portata alla Casa Bianca, e permesso alla base di conoscere meglio sia lei che Tim Walz, governatore del Minnesota candidato alla vicepresidenza, che come Harris dovrà condurre una campagna elettorale lampo per convincere non solo la base del Blue Party, ma anche gli indecisi. La discesa in campo di Harris, oltre a favorire un’impennata da mezzo miliardo di dollari in un mese nei finanziamenti alla sua campagna, ha rimesso in discussione le preferenze nei cosiddetti swing states, gli stati in bilico tra democratici e repubblicani che di solito fanno la differenza alle urne per via del sistema elettorale americano. Donald Trump, intanto, studia le contromosse e lancia strali infuocati all’indirizzo di Harris, etichettandola come una radicale e paventando enormi danni a livello interno e internazionale qualora dovesse essere eletta il prossimo novembre. Quella appena conclusa è stata in sostanza una buona settimana per Harris, ma la sfida per USA2024 è tutt’altro che chiusa e si giocherà probabilmente sul filo di lana.
Grande successo a Chicago?
Durante manifestazione democratica in Illinois, ultimo grande appuntamento del Partito dell’asinello prima dell’Election Day, tutti i big dell’area Dem sono saliti sul palco a esprimere il loro sostegno per la vicepresidente. L’apertura della Convention nazionale democratica è stata dedicata al saluto di Biden che ha parlato a lungo e molto tardi – soprattutto per gli spettatori collegati dalla East Coast – forse per problemi organizzativi, forse per tenerlo lontano dalla fascia della prima serata, quando la maggioranza degli americani sono davanti alla televisione. Con il suo discorso ha commosso i delegati e ha simbolicamente passato il testimone alla sua vice. Sul palco dello United Center, il celebre palazzetto dello sport di Chicago, si sono poi alternate le figure più importanti del Partito Democratico: da Hillary Clinton – sconfitta da Trump nel 2016 – ad Alexandria Ocasio-Cortez nella giornata di lunedì, passando poi per l’enorme entusiasmo tributato a Michelle e Barack Obama il giorno successivo. Nella serata di mercoledì è toccato invece all’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, all’ex presidente Bill Clinton e al numero due di Harris, il candidato democratico alla vicepresidenza Tim Walz. Spazio anche a personalità non politiche, con la musica di Stevie Wonder e l’appello al voto di Oprah Winfrey.
Un buon vice?
Walz, democratico moderato noto per il suo impegno nelle politiche sociali e per la sua esperienza nel campo dell’istruzione e della sicurezza, è la carta che Harris ha deciso di giocare in risposta a J.D. Vance, senatore repubblicano dell’Ohio ed ex marine scelto come numero due da Trump, considerato una voce populista su temi come economia e immigrazione. Come evidenzia Aaron Blake sulle colonne del Washington Post, per tutta la settimana della convention i democratici “hanno cercato di rivendicare il mantello del patriottismo dopo decenni di cessione di questo tema ai repubblicani”. Dalle cronache e dalle foto emerge che i simboli dell’identità americana sono stati ovunque, l’inno scelto per la convention è stato “Freedom” di Beyonce e Walz, per parte sua, ha cercato di riprendere il più possibile il tema della libertà durante il suo intervento. “Quando i repubblicani usano la parola libertà, intendono che il governo dovrebbe essere libero di invadere lo studio del tuo medico, le aziende libere di inquinare la tua aria e la tua acqua e le banche libere di approfittarsi dei clienti”, ha detto Walz. “Ma quando noi democratici parliamo di libertà, intendiamo la libertà di creare una vita migliore per te stesso e per le persone che ami”, ha aggiunto.
Presidente di tutti?
Harris, come da tradizione per il candidato del Blue Party, ha chiuso la manifestazione con un discorso incentrato sul tema dell’unità ma di netta contrapposizione con il suo sfidante. La vicepresidente ha accettato ufficialmente la nomination presidenziale, presentando le prossime elezioni come un’opportunità per la nazione di “tracciare una nuova strada da seguire”. Promettendo di essere “presidente di tutti”, Harris ha aperto il suo discorso dicendo: “Per tutta la mia carriera, ho avuto un solo cliente: la gente. E quindi, a nome della gente, a nome di ogni americano indipendentemente dal partito, dalla razza, dal genere o dalla lingua. A nome di tutti coloro la cui storia potrebbe essere scritta solo nella più grande nazione sulla terra, accetto la candidatura a presidente degli Stati Uniti d’America“. Harris ha espresso aspre critiche nei confronti di Trump, contrastando i suoi tentativi di dipingerla come una radicale.
Corsa al centro (o fuga)?
Quella che ci aspetta, dunque, sembrerebbe proprio una campagna di contrapposizione, in cui entrambi i candidati cercano di dipingere l’avversario come un pericolo o, nell’ipotesi meno rissosa, come inadatto a guidare il paese. Non a caso, Trump ha scelto di bollare come “comunista” la sfidante democratica, in quello che sembrerebbe un ritorno di fiamma del Maccartismo (fuori tempo massimo). Paul Krugman del New York Times parla apertamente di redbaiting, cioè la pratica di accusare qualcuno associandolo al comunismo o al socialismo, con l’obiettivo di screditarlo. Il tema, in ogni caso, c’è. Harris, da parte sua, si è data da fare per respingere queste accuse di estremismo ideologico, cercando di presentarsi come il tipo di democratica di cui gli elettori moderati, tra i quali si annidano molti degli indecisi, possono fidarsi. Ma si tratta della stessa Harris che nel corso degli anni si è detta a favore della decriminalizzazione dell’attraversamento non autorizzato delle frontiere. Ha inoltre auspicato di sostituire tutte le assicurazioni sanitarie private con Medicare-for-all, predicato politiche restrittive sulla vendita di armi d’assalto ed elogiato il movimento “defund the police”, nato nell’ambito per le proteste dopo l’uccisione di George Floyd nel 2020. Sono tutti ‘scheletri nell’armadio’ su cui Trump è pronto ad avventarsi, anche se sembra voler allargare il suo consenso a destra più che verso il centro moderato, tanto da ipotizzare una collaborazione con Robert F. Kennedy Jr, noto cospirazionista e no-vax, che secondo le indiscrezioni sarebbe pronto a ritirarsi da candidato indipendente proprio per sostenere Trump.
Cosa dicono i numeri?
Secondo i sondaggi di agosto del New York Times – Siena College, la discesa in campo di Harris ha rimesso in discussione alcuni Stati della cosiddetta Sun Belt, la regione che si estende lungo la fascia meridionale del paese e caratterizzata da un clima generalmente caldo, che in precedenza erano assegnati dai sondaggi a Trump. La vice di Biden sarebbe ora in vantaggio in Arizona, con il 50% contro il 45%, e avrebbe addirittura superato Trump in Carolina del Nord, uno stato in cui Trump ha battuto Biden quattro anni fa, mentre ha ridotto significativamente il suo svantaggio in Georgia e Nevada. Questo, spiega il quotidiano, rappresenta un miglioramento significativo per i democratici rispetto a maggio, quando Trump era in vantaggio su Biden – 50% vs 40% circa – in Arizona, Georgia e Nevada. Tuttavia, secondo sondaggi condotti grossomodo nello stesso periodo da Navigator Research, in Arizona Harris è ancora dietro rispetto a Trump, come anche in Pennsylvania, mentre i due sono alla pari in Michigan, Carolina del Nord e Wisconsin.
Che succede ora?
Al netto dei sondaggi, che bisognerebbe comunque riconsultare dopo la Convention di Chicago, la strada verso USA2024 è ancora lunga. I pezzi sulla scacchiera sono posizionati e non cambieranno più, salvo clamorosi colpi di scena. Harris porta a casa il sostegno della base e degli alti papaveri del partito senza incidenti, salvo le manifestazioni pro-Palestina per le strade di Chicago e le decine di fermi di polizia effettuati durante la Convention. Del tema, peraltro, Harris ha parlato durante il suo intervento, trincerandosi nella linea della prudenza tracciata da Biden (Israele ha il diritto di difendersi, ma la situazione umanitaria a Gaza è disastrosa). Anche se le urne si apriranno ufficialmente solo il 5 novembre, che come da tradizione è un martedì, gli elettori della Carolina del Nord saranno i primi a ricevere le schede per il voto via posta e inizieranno le operazioni il 6 settembre, ben due mesi prima dell’Election Day. Ma il principale appuntamento del mese prossimo è certamente il primo dibattito Harris-Trump, in programma per il 10 settembre ai microfoni dell’emittente ABC News. Seguirà, il primo ottobre, il duello tv tra i due candidati vice, Walz e Vance e la campagna di Harris ha già fatto sapere di aver accettato di tenere anche un secondo dibattito con Trump, ma la data non è ancora stata ufficialmente fissata.
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