Quello che Gesù propone, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno»
(Gv 6, 51-58 – XX TO/B).

Cosa ci dovrebbe dare il buon Dio? Ci dovrebbe dare quello di cui abbiamo bisogno, o quello che gli chiediamo, o ciò che ci fa veramente bene? Ci dovrebbe dare molto, o poco, o niente del tutto? Sono convinto che ognuno di noi avrebbe una lunga lista di cose da chiedere al buon Dio e forse penserebbe di avere anche qualche diritto per riceverla. Ma il buon Dio ci deve qualcosa? Abbiamo un diritto a ricevere? Il buon Dio ha dei debiti con noi?

Non so se questo approccio aiuti a capire il riferimento evangelico: i “Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?»”. Gesù voleva dare se stesso, cibo da mangiare; ma a loro dovette sembrare come qualcosa di inaccettabile – antropofagia, la chiamano gli esperti, cioè nutrirsi di un essere umano. Forse si aspettavano tutt’altro, o niente proprio. Comunque la loro resistenza fu grande. Gesù sembra non prenderli molto in considerazione e insiste sul nutrirci della sua carne per rimanere in lui, per avere la vita.

In altri termini d ci chiede di abbandonarci completamente in Lui, di “scommettere tutto” su di Lui. Del resto se non facciamo questa scommessa, con che spirito riceviamo l’Eucarestia che apparentemente è solo un pezzo di pane? Ho sentito tante volte meditazioni sull’abbandono nelle mani di Dio. Anche la stessa saggezza popolare contiene delle tracce di ciò, quando afferma che “l’uomo propone e Dio dispone”. Niente da osservare sulla validità di questa linea spirituale: vera quanto autenticamente cristiana. Eppure noi opponiamo resistenze, più o meno diverse da quelle dei Giudei. Per cui molte volte non dovremmo tanto insistere sull’abbandono nelle mani di Dio quanto su ciò che non ci porta ad abbandonarci nelle sue mani; a non scommettere sull’Eucaristia tanto da riceverla in noi.

Il brano evangelico è incentrato sulla dinamica del cibo. Siamo adulti e raramente accettiamo consigli su cosa mangiare o meno, tranne quando, in piena malattia, è il medico a proporli. Eppure sta forse proprio qui il punto: non ci abbandoniamo nelle sue mani perché pensiamo di sapere già tutto. Per restare nella metafora del cibo, crediamo di essere i migliori medici di noi stessi, di possedere la dieta infallibile e di non dover imparare niente. 

Mi piace pensare al buon Dio che continua a ripeterci che dobbiamo mangiare ciò che lui propone e non quanto mangiarono i nostri padri, e morirono. E noi, superbi e ostinati, li a mangiare quello che vogliamo. E forse Lui a guardarci con un benevolo sorriso, aspettando che ci decidiamo a cambiare dieta… ci auguriamo!

Rocco D’Ambrosio

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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