Mercoledì pomeriggio, alla vigilia di quella che era stata annunciata come una notte di fuoco, nel quartiere londinese di Walthamstow uffici, musei e negozi avevano chiuso i battenti in anticipo. All’imbrunire, i primi arrivi. Comuni cittadini, chi con fiaccole, candele, luci dei cellulari, chi con cartelli: «Il razzismo qui non è benvenuto», «La diversità è ricchezza», «Ci vogliamo bene», «Siamo tutti emigrati», «Dove l’odio parla, l’amore deve parlare più forte».
Una fiumana di gente che gradualmente ha riempito le strade, persone normali dal cuore grande che, sotto gli sguardi stupefatti delle forze dell’ordine, hanno impedito a chi voleva seminare divisione e paura di portare a termine la missione. Dopo più di una settimana di scontri e violenze a sfondo razziale, è sembrato quasi un miracolo. Scene simili si sono verificate anche a Liverpool, Bristol, Newcastle, Sheffield e in diverse altre città.
A volte una crisi aiuta a tirare fuori il meglio di sé: in un momento di grande tensione, il Regno Unito ha mostrato la sua essenza di paese democratico, tollerante, aperto e inclusivo, ricordando a se stesso e al mondo che il razzismo esiste, la violenza anche, ma che a praticare entrambi è una minoranza. È la fine dei problemi? Governo e polizia rimangono cauti. È presto per cantare vittoria. Bisognerà vedere cosa succederà durante il weekend. Sicuramente, però, le contro-proteste dell’altra sera rappresentano un punto di svolta in cui si può cominciare a pensare al dopo, a come evitare che disordini simili si ripresentino.
«Non dimentichiamo ciò che è successo», ha chiesto l’Economist. «Bisogna punire i violenti, difendere i meriti dell’immigrazione, migliorare i servizi pubblici». È negli spazi comuni che si incontra, si conosce e si impara ad apprezzare chi è diverso. È nelle biblioteche, nei centri giovanili, nei parchi gioco, nelle scuole che si costruiscono inclusione e comprensione: ingredienti essenziali per un futuro migliore.
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