Gli Stati Uniti e il vizio di tirare sempre in ballo Dio in campagna elettorale, di Riccardo Cristiano

Chiunque abbia preso in mano un dollaro, almeno una volta nella sua vita, avrà notato (spero stupito) che sopra vi è scritto “In God We Trust”. E Dio rimane un ospite decisivo di ogni campagna elettorale americana. In questi ultimi giorni ha cominciato, come era ovvio, Joe Biden, che davanti alle richieste di ritirarsi viste le sue condizioni di salute, ha detto “solo il Signore può chiedermi di ritirarmi”. E perché Dio dovrebbe scomodarsi a occuparsi di lui? Poi è sceso in campo The Donald, che ovviamente ha riconosciuto in Dio colui che lo ha salvato da morte certa in occasione del recente, folle attentato.
Con buona pace dell’idea bideniana di ritenere l’America il paese-guida del mondo democratico in lotta con le potenze totalitarie, l’uso improprio di Dio prosegue imperterrito da parte di una politica che fa torto, torto marcio all’America. Non esistono Paesi prediletti, non esistono depositari della verità: e soprattutto Dio non si occupa dei loro candidati alla Presidenza.
E’ un’America evangelica e catto-integralista quella che avanza? Non lo so, ma la continua evocazione di Dio preoccupa. Non è pregiudizio, è amore per un Paese che ha dato tanto a sé e al mondo, con scrittori, poeti scrittrici, poetesse, cantanti, cantautori, manager, immigrati che hanno avuto enorme successo, nativi che ne hanno avuto altrettanto, il melting pot, che poi è l’incontro con l’altro senza assurde pretese di superiorità.
E allora occorre dire che se il genio uscisse davvero dalla bottiglia sarebbero dolori per tutti, a cominciare da loro stessi. Non servono medici pietosi, occorre qualcuno in grande di aiutare una nazione, l’America, in evidente difficoltà.
Si può leggere sul periodico statunitense dei gesuiti, America: “ ll vero servizio al bene comune richiede molto più della retorica su di esso. Per abbracciare il bene comune in modo più completo, vale la pena osservare come spesso viene distorto. “La mancanza di preoccupazione per i vulnerabili”, dice Papa Francesco, “può nascondersi dietro un populismo che li sfrutta demagogicamente per i propri scopi, o un liberalismo che serve gli interessi economici dei potenti”. Entrambe le tendenze si ritrovano nella politica americana, spesso rafforzandosi a vicenda. Gran parte del Paese ha sofferto economicamente e culturalmente a causa di accordi che servono gli interessi delle persone già potenti e sicure, che troppo facilmente ignorano le preoccupazioni di coloro che sono in difficoltà o addirittura li deridono come pregiudicati e “deplorevoli”. Questo ha fornito terreno fertile per attacchi demagogici sia verso gli immigrati visti come minaccia alla sicurezza e alla prosperità americana, sia nei confronti dei media e dell’élite politica indicati come “nemici del popolo”.»
La grande deportazione annunciata da Trump alla sua Convention l’ha sentita anche Dio? Qualcuno lo ha chiesto? Siccome non è stile dei gesuiti parlare a suocera perché nuora intenda nell’articolo si legge anche questo passaggio: “ Prima delle elezioni del 2020, i redattori di America avevano messo in guardia sul pericolo che Trump rappresentava per l’ordine costituzionale, soprattutto a causa del suo rifiuto di riconoscere le legittime limitazioni al proprio potere. Dopo la rivolta del 6 gennaio al Campidoglio, abbiamo chiesto il suo impeachment, la sua condanna e l’interdizione da futuri incarichi federali. Purtroppo, la sua condotta negli ultimi tre anni e mezzo, e fino ad ora nella campagna elettorale attuale, non ci ha dato motivo rivedere queste preoccupazioni. Se il suo tentato assassinio può servire – e noi preghiamo che possa servire – come catalizzatore per gli Stati Uniti per cercare una politica più unificante, allora egli dovrà dimostrare di essere disposto a essere uno degli attori principali di tale cambiamento”.
Ha scritto con grande visione su un autorevole sito cattolico il teologo Marcello Neri: “ La secessione americana del XXI secolo non solo è iniziata, ma ha probabilmente già raggiunto un punto di non ritorno. Con una grande differenza, che rende impropri i tanti parallelismi proposti da molti organi di informazione, rispetto alla Guerra Civile del XIX secolo: lì era questione di stati, ossia di un conflitto che rimaneva in un qualche modo interno al quadro istituzionale, oggi non è così. Oggi sono saltati tutti i confini istituzionali, e quindi gli strumenti di contenimento, perché la secessione taglia in due case, quartieri, città, scuole, università… il nemico è lì, a due passi da te, anonimo – gode dei tuoi stessi diritti, e questo è del tutto insopportabile”. Forse è questa la prima conseguenza della grande deportazione annunciata dal “salvato da Dio” e che è meglio considerare insieme alle tante altre lacerazioni che si possono già immaginare per il dopo-novembre. Certo, la Chiesa cattolica americana, non è immune da colpe, tutt’altro.
Ha scritto sempre Marcello Neri al riguardo: “ Sono decenni che la Chiesa cattolica statunitense ha scelto di essere parte del problema, anziché luogo di una sua possibile elaborazione pacifica. La scelta di cavalcare le culture wars, unita all’incapacità di trovare un common ground interno alle comunità verso cui far convergere la disseminazione delle sensibilità politiche e sociali dei cattolici, ha reso la Chiesa americana complice della deriva della nazione. Troppi i suoi silenzi e i suoi assensi più o meno larvati per potersi proporre ora come soggetto conciliatore e di mediazione di un paese in cui oramai il nemico è letteralmente il tuo prossimo. Senza comprendere che questo posizionamento partisan della Chiesa negli Stati Uniti ha ricadute che coinvolgono il destino del mondo intero. Parafrasando Kierkegaard, si potrebbe dire che il cristianesimo è una fede complessa e complicata – troppo per l’anima statunitense in questo momento. E così anche la Chiesa cattolica americana si è messa a offrire una sua versione light: fatta di confini chiaramente individuabili, di demarcatori identitari forti, di collocazione sicura e netta del bene e del male”.
Chi riconosce e apprezza il ruolo decisivo che l’America intesa come Stati Uniti d’America ha svolto e può svolgere non può abbarbicarsi a illusione, ma guardare in faccia i problemi per sperare di non essere il solo a farlo.   
globalist.it/world/2024/07/19/gli-stati-uniti-e-il-vizio-di-tirare-sempre-in-ballo-dio-in-campagna-elettorale/

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