Un operaio che da anni chiamiamo ad eseguire i lavori periodicamente necessari alla nostra casa e che in questi anni ci ha insegnato tanto per coerenza ed umanità, con un delicato sorriso, oggi ci ha detto che bruciando le stoppie, come si faceva una volta, si liberavano i campi di grano dai semi indesiderati e si dava spazio ad alcune erbe selvatiche mangerecce dalle radici resistenti, come ad esempio la rucola. Adesso si usano i diserbanti, anche se negli ultimi due anni si sono poste alcune limitazioni al loro uso, per merito della politica europea, e bruciare le stoppie è praticamente proibito, in specie nel mese di giugno o, per farlo in alcune zone, comunque ci vuole un’autorizzazione speciale del comune. È giusto che non si attenti all’ambiente con il fuoco così come è giusto non usare i diserbanti quando si può usare invece un ecologico tritaerba. Ma di fronte alla proibizione di accendere fuochi in campagna o persino di usare stufe a legna è inevitabile pensare a quanto costi all’ambiente una guerra con il suo fuoco ed i suoi fumi. C’è un abisso tra noi e chi, ovunque nel mondo, può decidere del destino della Terra? Le regole valgono solo per noi nel nostro piccolo e mai nelle grandi dimensioni? Guerre, deforestazioni, sfruttamento di risorse idriche e minerarie non dovrebbero seguire regole e penalizzazioni almeno come le seguiamo noi comuni abitanti della Terra a casa nostra?
Ma l’operaio, di fronte a queste mie riflessioni, mi chiede quanto costa piuttosto una guerra in termini di vite di bambini bombardati addirittura mentre sono ricoverati in un ospedale. Quanto vale oggi una vita umana? Quanto quella di un bambino?
La Svizzera sancisce i diritti del mondo vegetale, degli alberi, perché si tratta di esseri viventi, lo stesso molti altri Paesi, compreso il nostro, riconoscono diritti agli animali. E i diritti umani? Quelli sanciti dalla dichiarazione universale del 1948, cosa valgono per tutti noi o anche per i decisori che sono a capo dei nostri governi? Sappiamo che la Costituzione italiana promulgata nel 1947, cui i nostri ministri giurano fedeltà, ne conteneva già tutti i fondamenti? Quei diritti bisognerebbe studiarli non solo a scuola ma anche sui banchi del parlamento, e andrebbero ripetuti spesso. Sembriamo invece inebetiti al riguardo. Con il più votato dagli italiani che rivendica il diritto ad odiare ed a disprezzare, in un partito il cui segretario sventola il rosario in piazza. Un nonsense stridente. Dobbiamo riabituarci a sentire che essere umani significa qualcosa, forse tutto.
Chagall dipingeva figure umane fluttuanti su tante città, piccole e grandi, quasi sempre un gallo sembrava in quei dipinti volerci tenere svegli, non farci addormentare, perché, come diceva lo stesso artista, uno solo è il colore, quello dell’amore. Senza questo colore nulla ha senso.
Attraversiamo un tempo senza senso? In parte sì ed in parte assolutamente no.
Un abisso divide quegli ambiti fortemente intrisi di fraternità universale, come, cito un esempio per tutti, il nostro conservatorio Nino Rota a Monopoli o associazioni teatrali e culturali in cui la musica e le continue attività concertistiche e drammaturgiche ci rendono ragione di come esista un solo linguaggio dell’anima che non conosce confini geografici, né culturali, un abisso, dicevo, divide tutto questo da altri ambiti pervasi da intolleranza che ci vengono proposti addirittura come fossero moralisti! Un paradosso!
Altro abisso è tra il volontariato in cui, persone che non restano affacciate alla finestra a guardare la disperazione altrui, si fanno prossime ai poveri, ai senza tetto, ai rifugiati ed ai fuggiaschi cogliendo proprio quel messaggio sul solo colore, un colore che dona felicità immensa a tutti, e dall’altro lato invece ambiti in cui alcuni si crogiolano nella convinzione di poter classificare gli esseri umani in categorie apprezzabili oppure disprezzabili in base alla collocazione geografica o a quella di censo o a quella sessuale (grande artifizio del nostro tempo). Un abisso incolmabile, lo dico a chi si proclama cristiano, come quello tra il povero Lazzaro ormai in Paradiso e il ricco che brucia in una eterna fornace. C’è un abisso a volte tra chi si dichiara cristiano e chi lo è veramente.
Se ci sentiamo orgogliosi, almeno così diamo a vedere, di pronunciare quella frase del credo in cui si parla della Chiesa una santa cattolica ed apostolica, dovremmo altrettanto essere orgogliosi di credere che tutti i popoli della Terra sono fratelli, figli di un unico Padre, altrimenti sarebbe vano ed effimero il nostro credere. Lo stesso dovrebbero ammettere senza ombra di dubbio tutte le altre religioni monoteiste. Ed in effetti a rigore lo fanno, lanciando tutte un messaggio di amore e di pace universali. Lo zelo religioso dovrebbe manifestarsi in questo invece che nelle divisioni in cui è evidente la tentazione di sostituirsi a Dio e di decidere al posto Suo chi abbia ragione e chi abbia torto, di decidere al posto Suo chi sia figlio e chi no, se questi zelanti sono veramente credenti, perché non sembra.
Ma, tornando al cristianesimo, di cui oggi molti potenti si dicono paladini: questo è il cristianesimo, quello che in una tavolozza di tanti colori vede un solo colore, quello che vedeva Chagall che così spesso ha dipinto il Cristo in croce, pur appartenendo ad un altro Credo.
Si tratta di una porta stretta? Sì. Una porta attraversando la quale ti accorgi che i tuoi stereotipi vanno rivisti completamente. Ma è anche bene sapere che negli ambiti in cui apri il tuo cuore all’altro vivi il paradiso in terra.
Il paradiso sulla Terra mi sa che sia la fratellanza, che dite? Provare per credere.